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venerdì 29 aprile 2022

Marcello Veneziani: un sogno pasquale sul Papa

Un sogno: "Papa Pasquale cantava in latino e in aramaico, benediceva con grazia, secondo liturgia, e appariva carismatico, senza battute di spirito perché sapeva distinguere lo spirituale dallo spiritoso".
Luigi


Stanotte ho fatto un sogno strano: ho sognato che ieri, nel giorno di Pasqua, si affacciava a sorpresa dal balcone pontificio un nuovo Papa con la testa d’uovo e una grande barba. La gente assiepata intravedeva la sagoma, notava che non corrispondeva a quella di Papa Francesco e si chiedeva spiazzata; ma questo chi è?
E lui dopo una pausa, un saluto e una benedizione in latino si presentava col plurale maiestatis: “Pasquale è il nome da noi prescelto, Pasquale III”. La gente subito pensava che quel terzo stava per rispetto verso gli altri due papi viventi e pensionati, Ratzinger e Bergoglio. Invece erano in effetti esistiti altri due papi benedettini con quel nome, lui era Pasquale III in virtù della tradizione e non per l’anomalo affollamento di papi viventi in Vaticano.

La sorpresa Pasquale si chiamava così non solo in omaggio alla giornata speciale in cui era diventato Papa. Ma perché quel Papa neo-eletto nella notte della Resurrezione aveva un programma santo e grandioso: la Chiesa risorta, come Gesù Cristo nel giorno di Pasqua. Il Risorgimento cristiano era indicato dal Papa nella sua orazione come la sua principale missione. Lo splendore della Verità unito all’umiltà del sacerdozio, l’amore per la Tradizione, il Rito e la Liturgia come ponti d’oro per connettere la Fede ai popoli, Dio agli uomini, la storia al mistero del sacro. Papa Pasquale era festoso nel tono della sua voce, come una campana, sonoro ma solenne; era siriano, parlava l’aramaico ma il latino sembrava la sua prima lingua. Si sapeva poco di lui, era stato folgorato sulla via di Damasco prima di essere perseguitato, sarebbe stato un benedettino, o secondo altre fonti un esorcista e un domenicano. Aveva un debole per il rito bizantino (non a caso quella barba da pope o da patriarca). Quando il Conclave si orientò a eleggerlo, lui avrebbe voluto chiamarsi Celestino VI, per riannodare la vita della Chiesa dopo i due Papi precedenti che come Celestino V fecero “lo gran rifiuto” (Papini, che non era un piccolo Papa ma un grande scrittore, scrisse epistole firmandosi Celestino Sesto). Ma avendo la Provvidenza deciso di farlo eleggere proprio nella notte pasquale, egli pensò di seguire docilmente la simbolica indicazione celeste.

Papa Pasquale si diceva convinto che sarebbe ripartire da un atto di fondazione perché la chiesa, anzi la cristianità, ha riportato molte ferite. Ma risorgere non vuol dire cancellare la storia e la tradizione cristiana. Per Papa Pasquale Gesù Cristo non è venuto solo col Concilio Vaticano II, ma più di duemila anni fa. E i padri della Chiesa non sono Bauman e Scalfari, ma Sant’Agostino e San Tommaso, più l’esercito di santi, martiri e pontefici dei secoli andati. Poi ha nominato come scriveva Rosmini e come testimoniava Santa Maria Francesca, le nuove cinque piaghe della Chiesa: la scristianizzazione dilagante, il rifiuto della civiltà cristiana, l’imitazione passiva del nostro tempo, il desiderio di religioni altrui, l’intolleranza verso chi non la pensa come il papa.

Papa Pasquale cantava in latino e in aramaico, benediceva con grazia, secondo liturgia, e appariva carismatico, senza battute di spirito perché sapeva distinguere lo spirituale dallo spiritoso. Evitava pure di lanciare bianche colombe della pace, col rischio di vederle intercettate e abbattute da corvi e gabbiani, come era accaduto con sinistro presagio al suo predecessore. A differenza sua, per papa Pasquale venivano prima le vittime e poi i carcerati, prima i missionari che rischiano la vita che le Ong e i Casarini che trasportano emigrati. A proposito, che faceva Francesco? Il sogno era sfocato sull’argomento. Forse presiedeva una Ong, si occupava di migranti, scriveva su la Repubblica, giocava a burraco con Ratzinger e con Scalfari al circolo dei Papi in congedo, da loro fondato. Aveva dismesso la tonaca, ma non gli scarponi, e ripeteva all’infinito una gag di Totò: “Ma io non sono Pascquale”. E lì, mi sono svegliato.

MV