Qui una biografia del Card. Sako. S. B. il Card. Sako
di Babilonia dei Caldei
(foto: Avvenire)
Questo
articolo è apparso sulla rivista Cardinalis.
Sono
nato nel 1948 in una famiglia numerosa. Mio padre era il sindaco di un paese e
poi ci siamo trasferiti a Mosul. Eravamo 11 tra fratelli e sorelle. Ho studiato
a Mosul e poi sono entrato nel seminario di Saint John, dei domenicani
francesi. Sono stato ordinato sacerdote nel 1974, poi vescovo nel 2003,
patriarca nel 2013 e cardinale nel 2018.
Per
quali motivi ha scelto il sacerdozio?
Vivevamo vicino alla cattedrale cattolica caldea di Mosul. Mio padre era suddiacono. Il parroco di Mosul era un uomo molto pio e buono che mi ha ispirato tanto. È per lui che sono stato
affascinato dal sacerdozio. Un giorno poi ho incontrato una suora che recitava il rosario per strada e questo fatto mi ha colpito molto.Com'era
la vita in seminario?
La
disciplina era rigidissima. Faceva freddo d'inverno e il riscaldamento era
scarso. Dovevamo correre o indossare un cappotto per scaldarci, ma questo ci ha
insegnato ad avere pazienza e autocontrollo. Ad ognino di noi veniva assegnato
un numero. Io ero l’ 83. Ho imparato a fare lavori manuali, falegnameria e
tanto altro. Oggi non è più così, ma allora venivamo formati in modo molto
duro. Devo ammettere che mi è stato di grande aiuto quando ero parroco e ora
che sono Patriarca, perché mi ha fornito la pazienza e il coraggio per
affrontare situazioni difficili.
E
la sua formazione spirituale?
Tutti
i giorni ascoltavamo un padre spirituale che ci parlava. Ad un certo punto
volevo lasciare il seminario, ma il mio padre spirituale, un rettore
domenicano, mi ha esortato e incoraggiato a essere forte e sono rimasto. Nella
mia classe eravamo 20 seminaristi. Il seminario minore è durato cinque anni e
io sono stato l'unico a diventare sacerdote. Era il periodo del Concilio
Vaticano II e lo seguivamo sui giornali. I cambiamenti ci hanno segnato non
poco, in particolare il rinnovamento.
A
cosa si riferisce?
Anche
la liturgia caldea è stata riformata. E la pastorale è stata rivista perché un
patriarca deve saper leggere i segni dei tempi. Ritengo che dobbiamo essere
fedeli alla Tradizione da un lato e, allo stesso tempo, saperci adattare alla
modernità. Ci sono cose belle nella Tradizione, ma bisogna mostrarle. Prima del
Vaticano II pregavamo in caldeo. Oggi lo facciamo in l'arabo.
Bisogna
comprendere che la nostra situazione è diversa da quella delle chiese in
Occidente. Dobbiamo tener conto della presenza dei musulmani, che devono poter
capire le nostre preghiere. Siamo una Chiesa cattolica in cui ci sono diverse
chiese, il che è una grande risorsa.
C'è
una liturgia che può essere formulata in modo diverso e contestuale. C'è unità
e c'è diversità. Ciò che è necessario conservare è la fede, che deve essere la
stessa nella Chiesa cattolica. Con gli ortodossi abbiamo una stretta vicinanza,
se non l’autorità.
Cosa
significa essere Patriarca della Chiesa Cattolica Caldea?
È
una chiesa molto antica. La liturgia, la spiritualità e anche la teologia sono
diverse. Non abbiamo un trattato teologico. La nostra teologia è nella liturgia
e nelle omelie. La Chiesa si basa sulla Grazia e la Risurrezione. La Croce è
una croce vuota. Non c'è corpo di Cristo perché è risorto. Inoltre, questo
solleva il morale dei nostri fedeli che sono stati spesso perseguitati. La
nostra spiritualità è quella del Vangelo, basata sulle tappe della vita di
Gesù.
Inoltre,
abbiamo un diritto speciale. Il Sinodo elegge i vescovi e il patriarca. Sono
stato scelto dai padri nel 2013 e il papa ha confermato la nomina.
Cosa
può dare in più la Chiesa caldea alla Chiesa universale?
L'esperienza
delle Chiese orientali può aiutare a dare più peso alle Conferenze episcopali.
Si tratta di nuove istituzioni nate dopo il Concilio. Possono essere una sorta
di sinodo, ma sempre in unione con il successore di Pietro. Con Pietro e sotto
Pietro. I vescovi potrebbero avere maggiori responsabilità, per esempio nella
liturgia. Ma ci vuole tempo.
Come
si vive la fede in un Paese musulmano?
Non
possiamo predicare pubblicamente o convertire i musulmani. La legge lo vieta.
Ma siamo liberi di fare ciò che vogliamo nelle chiese. La visita del papa ha
aiutato i musulmani a rispettare le religioni. È un percorso che va realizzato
quotidianamente. Bisogna presentare le cose in modo che possano venire capite.
La Trinità, ad esempio, è una ricchezza che può essere capita. Possiamo
evangelizzare per mezzo delle nostre testimonianze e le nostre usanze. Le
faccio un esempio. Tra di noi non c'è poligamia. Non sempre lo capiscono, ma è
una vera testimonianza del Vangelo.
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Ogni volta che sento sua Beatitudine dire che la liturgia deve essere modificata affinché i musulmani la possano capire mi sorgono molti dubbi
RispondiEliminaIn primis mi pare che il fine della Liturgia sia onorare Dio Uno e Trino e celebrare la Passione, Morte e Risurrezione del Signore Gesù Cristo, non la didattica e l'istruzione dei non credenti