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giovedì 17 marzo 2022

dalla Rivista Cardinalis #4 - Nota Budapest - Slovacchia

foto: ACISTAMPA

Questo articolo di Giuseppe Rusconi è apparso sulla rivista Cardinalis. (si veda qui, e si veda il tag Cardinalis (rivista) , nella colonna di sinistra). 


 Probabilmente quando papa Francesco, al termine del cinquantunesimo Congresso eucaristico di Cebu (Filippine) annunciò in un videomessaggio che l’appuntamento successivo sarebbe stato a Budapest nel 2020, si era lontani dall’immaginare che esso avrebbe suscitato un interesse ormai inconsueto nei massmedia internazionali. Eppure è proprio avvenuto così: rinviato forzatamente di un

anno a causa della pandemia da Coronavirus, l’evento – svoltosi tra il 5 e il 12 settembre [2021, n.d.r.] - ha avuto una risonanza assai ampia in giornali e tv, tanto da essere a momenti anche sulle prime pagine e nei titoli d’apertura.

ATTUALITA’ E URGENZA DEL CONGRESSO EUCARISTICO INTERNAZIONALE

Sotto l’aspetto pastorale certo il Congresso eucaristico, posto sotto il motto “Sono in te tutte le mie sorgenti” (salmo 87) e con il titolo: “L’Eucaristia: fonte della vita e della missione cristiana”, era di stringente attualità, legato a un’urgenza che non si può più ignorare.. Come è noto, in buona parte del mondo (escluse Asia e Africa), la partecipazione dei fedeli alla santa messa è da decenni in calo costante. Da una parte la secolarizzazione, derivata dalla società globale e connotata dalla diffusione capillare del relativismo, ha comportato una mediamente forte diminuzione della frequenza alle celebrazioni eucaristiche, soprattutto in Europa. Dove ci sono Paesi in cui meno del 5% dei cattolici osserva il precetto festivo. Diciamo che l’indifferenza ha preso il posto del fervore. D’altra parte la situazione creata dalla diffusione mondiale del Coronavirus ha ridotto ulteriormente la partecipazione alla messa. Oggettivamente in diversi Paesi le chiese sono state chiuse a lungo oppure aperte ma non per le messe. E, alla riapertura, le prescrizioni statali di contrasto alla pandemia, accolte per adesione o costrizione da tante chiese, hanno fatto sì che – per prudenza – altri diradassero la partecipazione. Inoltre, nei periodi di chiusura, dall’alto si è enfatizzato a volte troppo il valore del seguire individualmente da casa la trasmissione della messa, tanto che non pochi ne hanno dedotto – agendo di conseguenza – che la partecipazione fisica alla messa festiva in fondo fosse un optional. Difficile poi correre ai ripari, quando qualcuno si è disaffezionato a una pratica consolidata di vita.

Ma c’è almeno un altro motivo che ha determinato l’interesse dei media. L’evento si è tenuto nella capitale ungherese, cioè di un Paese le cui politiche da un decennio sono determinate (sostenute dal consenso della maggior parte degli ungheresi) da Viktor Orbán, un politico cristiano (calvinista, con moglie cattolica) che in molti a livello europeo suscita ammirazione, in altri (e in particolar modo nelle istituzioni dell’Unione europea, nelle sinistre e nei laicisti di ogni sfumatura) tanta ostilità. Il fatto è che Orbán e il suo governo promuovono nei fatti (grazie all’approvazione di norme costituzionali e di leggi applicative ad hoc ) l’identità nazionale indissolubilmente legata ai valori del cristianesimo, specialmente incentivando il diritto alla vita e la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, tesa alla procreazione dei figli. Un vero pugno nell’occhio per le élites continentali ‘progressiste’, ulteriormente incattivite per la recente approvazione da parte del Parlamento ungherese di una legge che tra l’altro intende proteggere i minori dalla propaganda lgbt. Aggiungiamoci la politica di Orbán di blocco dell’immigrazione clandestina, considerata nociva per gli equilibri del Paese: il governo ungherese preferisce aiutare concretamente chi ha bisogno (profughi, rifugiati) in loco: ne è testimonianza l’attività del segretariato di Stato per   l’aiuto ai cristiani perseguitati (e non solo), che – in collaborazione con le Chiese cristiane – con azioni mirate in campo educativo, sanitario, esistenziale sostiene la permanenza in Medio Oriente e anche in Africa (Nigeria) di chi ha perso tutto a causa della guerra.

Insomma: ce n’è abbastanza perché i media internazionali guardassero con attenzione al Congresso e in particolare alla giornata conclusiva, con la presenza di papa Francesco, cioè di colui che è ritenuto uno dei maggiori avversari del cristiano dichiarato Viktor Orban, a causa soprattutto delle visioni molto differenti in materia di immigrazione (su vita e famiglia invece il papa pare concordare nella sostanza, anche se nella forma lascia capire di divergere, fedele a una sua strategia a volte difficile da decifrare). Del resto Jorge Mario Bergoglio non ha mai nascosto una certa insofferenza verso il premier magiaro: basti pensare alla sufficienza con cui l’ha trattato nella recente intervista alla spagnola Radio Cope o anche nella conferenza-stampa in aereo di ritorno dalla Slovacchia verso Roma.

L’annuncio che il Papa sarebbe restato solo sette ore a Budapest, per poi trasferirsi in Slovacchia (dove sarebbe restato tre giorni) ha comprensibilmente suscitato tanti interrogativi. C’è chi sostiene che Jorge Mario Bergoglio ha rifiutato non solo una visita pastorale in Ungheria, ma – per evitare l’impressione di valorizzare troppo la sosta a Budapest -  addirittura il pernottamento del sabato sera nella capitale ungherese (in tal caso avrebbe certamente guidato la processione del Santissimo Sacramento - straordinaria per numero, fervore, luci e suoni – che si è snodata per 4,5 km tra il Parlamento e Piazza degli Eroi). E c’è chi sostiene che la visita pastorale corposa in Slovacchia sia stata voluta sempre per sminuire l’importanza della sosta magiara.

Si deve comunque osservare che non è abituale che un Papa presenzi alla chiusura di un Congresso eucaristico internazionale. L’ultima volta capitò nel 2000, a Roma, con Giovanni Paolo II, che chiuse l’evento. Nel 1964 e nel 1968 invece Paolo VI fece brevi apparizioni (un saluto) a Bombay e a Bogotà. Che papa Francesco abbia ceduto almeno alle insistenze ungheresi perché fosse presente al Congresso di Budapest è già - a ben vedere – qualcosa di non così scontato. Un risultato che premia almeno in parte il gran lavoro svolto dal cardinale Erdoe e dalle due diplomazie coinvolte.

DAL CONGRESSO EUCARISTICO INTERNAZIONALE DI BUDAPEST

Nati nel 1891 (si incominciò a Lille, l’ottavo fu a Gerusalemme - il primo con un Legato pontificio inviato da Leone XIII - il sedicesimo a Roma con Pio X ), i Congressi eucaristici internazionali si propongono di evidenziare il ruolo dell’Eucaristia nella quotidianità cristiana. Nel 1938, in condizioni storicamente difficili (poco dopo l’Anschluss dell’Austria al Reich tedesco), il congresso fu organizzato a Budapest. L’allora legato pontificio, il cardinale Eugenio Pacelli (poi papa Pio XII), così ne scrisse: “Nella meravigliosa città che giace sulle due sponde del Danubio una folla incommensurabile proveniente da ogni parte del mondo, ha celebrato solennemente davanti al divino Salvatore nascosto sotto i colori del Sacramento attraverso la luce dei sacri riti, con i suoi maestosi raduni,  con la sua variegata ricchezza di discorsi, devozioni e canti, con una tale manifestazione di fede e riverenza per il nostro Redentore che non abbiamo mai visto in nessun’altra parte del mondo” . Sempre in quell’occasione ci fu un altro partecipante d’eccezione: l’allora monsignor Giovanni Battista Montini (poi papa Paolo VI), cui si deve un’altra pennellata d’ambiente: “Ieri sera meravigliosa processione sul Danubio durata fin verso la mezzanotte, in mezzo a fantastiche miriadi di luci e di canti, e a una folla raccolta e tranquilla”.

Eravamo in un altro contesto storico, oggettivamente drammatico per l’incombente minaccia nazista. Oggi ci confrontiamo con un’Europa secolarizzata, guidata da un’élite economico-finanziaria ideologicamente indifferente e spesso anche ostile al fatto religioso: in ogni caso vive come se Dio non esistesse. Anche l’Ungheria patisce i guasti del processo di secolarizzazione. E tuttavia in vista del Congresso eucaristico e nel suo svolgersi il cattolicesimo magiaro ha dato una prova forse inaspettata nelle dimensioni di testimonianza fervida di amore per Cristo e per la Chiesa. 

Il Congresso è stato preparato capillarmente  con cura e passione – in tutti i suoi aspetti liturgici, pastorali, sociali - dall’intero mondo ecclesiale per cinque anni. Un forte impulso è stato dato dal sessantanovenne cardinale Peter Erdoe, un giurista raffinato, di autorità riconosciuta (è stato per dieci anni – dal 2006 al 2016 – presidente del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa/CCEE e anche Relatore generale nel primo Sinodo per la famiglia), in buoni rapporti con il governo ungherese.. Gli obiettivi del Congresso? Confermare pubblicamente – a testa alta - la fede, per rafforzare l’identità cristiana, rinsaldare la solidarietà con i bisognosi e la fratellanza ecumenica e interreligiosa. Rilevava lo stesso arcivescovo di Esztergom-Budapest che “abbiamo bisogno della luce della fede per sentire e approfondire la nostra fratellanza con tutti i popoli e non solo nel bacino dei Carpazi. La professione della nostra fede nell’Eucaristia deve essere coraggiosa, incoraggiante e gioiosa per tutta la nostra società”.

 

Dopo un Simposio teologico di tre giorni a Esztergom, il Congresso si è aperto domenica 5 settembre in piazza degli Eroi a Budapest, preceduto significativamente da un pranzo con centinaia di poveri. 28mila i presenti, tra i quali il presidente ungherese Janos Ader e la consorte (cattolica) del premier Viktor Orbán, 1200 bambini venuti per la Prima Comunione, 3300 allievi delle scuole cattoliche dell’arcidiocesi, un coro di quasi mille cantori. A celebrare – dopo il saluto del cardinale Erdoe – l’odierno presidente del CCEE, cardinale Angelo Bagnasco: “In quest’ora del tempo, le campane della Nazione e dell’Orbe suonano a festa formando un coro che vuole abbracciare l’umanità intera (…) La nostra voce è debole, ma fa eco a quella dei secoli ed è segnata dal sangue dei martiri. A voi, genti che ascoltate, noi annunciamo che la nostra gioia è la più grande, è Gesù! (…) Cari Fratelli e Sorelle, la Chiesa non può tacere, non può lasciarsi ridurre al silenzio: essa deve dare al volto di ogni uomo lo splendore del Cristo risuscitato”.

In piazza domenica 5 settembre, insieme con diversi cardinali, patriarchi, vescovi provenienti pure dal Medio Oriente o di rito greco-cattolico, anche il metropolita ortodosso russo Hilarion. Molto significativa quest’ultima presenza, cui si è affiancata per la conclusione del Congresso quella del patriarca ortodosso di Costantinopoli Bartolomeo. Ambedue le anime odierne dell’ortodossia (che tra loro hanno rapporti assai complicati)  loro) hanno dunque voluto testimoniare nelle giornate di Budapest il valore dell’Eucaristia. Se Hilarion ha svolto il 6 settembre una relazione (in cui ha evidenziato come ortodossi e cattolici condividano la fede nella presenza reale di Cristo in tale Sacramento), Bartolomeo ha portato il suo saluto l’11 settembre davanti al Parlamento, all’inizio della messa presieduta dal cardinal Erdoe: in tale occasione ha auspicato con forza la riconciliazione tra la Chiesa cattolica e quella ortodossa dopo quasi un millennio di separazione. La duplice presenza ortodossa ha confermato come l’Ungheria con la sua Chiesa cattolica sia considerata ponte ecumenico credibile tra Est e Ovest.

La settimana congressuale è stata caratterizzata da messe quotidiane (la prima presieduta dal quasi ottantenne arcivescovo Piero Marini, presidente del Comitato pontificio per i Congressi eucaristici internazionali, che dopo Budapest ha passato il testimone a padre Corrado Maggioni), preghiere comuni, relazioni, accompagnate da mostre, concerti, tante occasioni di carità. Tra i relatori e i testimoni, oltre al presidente ungherese Janos Ader (che ha parlato venerdì 10 settembre di tre sue esperienze personali di fede), anche cardinali come il brasiliano Joăo Tempesta (in videoconferenza), il canadese del Québec Gérald Lacroix (l’aspirazione alla pace non è un’utopia), il patriarca caldeo iracheno Louis Raphael Sako (il dramma dei cristiani in Medio Oriente dura da anni e l’Occidente in genere non ne è consapevole. Grazie però all’Ungheria  per gli aiuti concreti), il birmano Charles Maung Bo (nel Myanmar a febbraio c’è stato un golpe militare con grande sofferenza dei cattolici: solo la pazienza può portare a un mondo di pace), il nigeriano John Onaiyekan (non si può ricevere indegnamente l’Eucaristia), il coreano Andrea Yeom Soo-jung (stiamo subendo una rivoluzione antropologica anti-cristiana), il ceco Dominik Duka (i principi fondamentali della civiltà giudaico-cristiana sono ormai sostituiti da altri, che nascondono marxismo, maoismo e anarchismo). Il già citato cardinale Angelo Bagnasco (italiano, presidente del CCEE) e Jean-Claude Höllerich (lussemburghese, presidente dei vescovi dell’Ue/Comece) hanno parlato di evangelizzazione e di impegno sociale in Europa. Bagnasco ha esortato l’Europa a riconciliarsi con la sua storia e ha difeso “il diritto di ogni credente a partecipare al dibattito pubblico”; Höllerich ha respinto la pretesa di escludere dall’Unione chi non accetta la rivoluzione antropologica (derivata dal ’68) con l’ideologia gender e nel contempo ha criticato l’ Europa “chiusa, paurosa, egoista” in materia di migrazioni.  Il cardinale Robert Sarah (così come l’8 settembre, nel giorno della Natività di Maria il cardinale Michael Fitzgerald ) ha celebrato una santa messa (nell’omelia ha sottolineato la necessità di tornare all’Eucaristia contro l’idolatria materialistica dei nostri giorni). Altri cardinali partecipanti? Josip Bozanic (croato) e Baltazar Enrique Porras Cardozo (venezuelano). Presente anche il cardinale patriarca maronita libanese Béchara Boutros Raï, che, in un’intervista al media cattolico Magyar Kurír   ha evidenziato l’importanza della presenza al Congresso delle chiese orientali (tra l’altro una quarantina di vescovi hanno celebrato una liturgia bizantina nella cattedrale di Santo Stefano re). Ed è rimasto molto positivamente impressionato dal fervore di fede del popolo ungherese. Il patriarca siriano melchita Youssef Absi ha da parte sua presieduto la divina liturgia del 9 settembre, originata dall’incontro della cinquantina di vescovi greco-cattolici d’Europa.

Un momento fondamentale della settimana è stata la processione eucaristica con il Santissimo della serata di sabato 5 settembre, con oltre 200mila partecipanti. Sentiamo ancora il cardinale Erdoe, in un’intervista al già citato Magyar Kurír: “E’ stata un’esperienza fantastica, con una folla di centinaia di migliaia di persone. La gente pregava, cantava, meditava. Non è stata una passeggiata, una manifestazione, ma un evento veramente spirituale”.

DOMENICA 12 SETTEMBRE: ARRIVA IL PAPA…

Partito alle sei di mattina da Roma – nel seguito in particolare i vertici della Segreteria di Stato e dai cardinali Leonardo Sandri (Chiese orientali) e Miguel Angel Ayuso Guixot (dialogo interreligioso) – papa Francesco è giunto a Budapest prima delle otto e, accompagnato dal cardinale Pietro Parolin e dall’arcivescovo Richard Gallagher - ha dapprima incontrato presso il Museo delle Belle Arti il presidente Janos Ader, il primo ministro Viktor Orbán, il vice-primo ministro Szolt Semjen. Nell’atteso vertice – durato quaranta minuti, dieci più del consueto – non si è parlato di politica dell’immigrazione (le diplomazie hanno ben lavorato), ma del ruolo della Chiesa nel Paese (9,7 milioni di abitanti, 61% di cattolici), di impegno per l’ambiente, di difesa e promozione della famiglia. E’ stato soprattutto il presidente Ader a illustrare i temi al Papa. In particolare, quando si è giunti a quello della famiglia, sono stati presentati gli incisivi risultati già ottenuti grazie alle politiche governative: in un decennio i matrimoni sono cresciuti del 30%, i divorzi diminuiti del 25% così come gli aborti (del 30%), la natalità è in crescita costante. Dopo che erano stati fatti presenti all’ospite i continui e feroci attacchi di Bruxelles all’Ungheria in materia di famiglia (anche a causa della recente legge di protezione dei minori, pure dalla propaganda lgbt), il Papa ha reagito dicendo: “La famiglia è padre, madre, figli. Punto!”. Il premier Viktor Orbán ha anche chiesto al Papa di “non far perire il cristianesimo in Ungheria”.

Successivamente Francesco ha incontrato i vescovi ungheresi e a seguire i rappresentanti del Consiglio ecumenico delle Chiese e di alcune comunità ebraiche. Con i vescovi ha insistito sulla necessità di custodire le proprie radici religiose e nel contempo di “guardare avanti e trovare nuove vie per annunciare il Vangelo”. Le nuove realtà multiculturali possono “spaventare”, ma sono “una grande opportunità per aprire il cuore al messaggio evangelico”. Con i rappresentanti ecumenici e dell’ebraismo si è rivolto in particolare a questi ultimi, evocando la minaccia dell’antisemitismo “che ancora serpeggia in Europa e altrove. E’ una miccia che va spenta”.

A Piazza degli Eroi, davanti a circa 250mila persone (molte non pre-registrate) il Papa ha poi presieduto la santa messa e la recita dell’Angelus. Di quest’ultimo va ricordato in primo luogo il richiamo alla Croce, “ponte tra passato e futuro”: “Il sentimento religioso è la linfa di questa nazione, tanto attaccata alle sue radici. Ma la croce, piantata nel terreno (…) innalza ed estende le sue braccia verso tutti”. Per la prima volta poi papa Francesco ha citato tre espressioni in ungherese: “köszönöm” (grazie), “Isten éltessen” (auguri, nel senso di Dio vi benedica), Isten, áldd meg a magyart! (Dio benedici gli ungheresi!). L’accoglienza al Papa è stata festosa e ha raggiunto l’apice quando Francesco ha utilizzato la lingua ungherese.

IL PAPA IN SLOVACCHIADA CIRILLO E METODIO AI ROM. E AL SIGNIFICATO DELLA CROCE

Perché il Papa ha voluto visitare la Slovacchia e invece in Ungheria si è fermato solo qualche ora a Budapest (come ha voluto sottolineare più volte)? Difficile dare una risposta. C’è chi, come già ricordato, ha pensato a una sorta di dispetto verso l’Ungheria di Orbán. C’è chi ha ventilato l’ipotesi che quel “Ma Budapest è a due ore di macchina da Bratislava” (vedi conferenza-stampa in aereo di ritorno dall’Iraq) suggerito da un “collaboratore”  abbia trovato spontaneamente consenziente il Papa. C’è chi sottolinea che la Slovacchia è stata evangelizzata dai santi Cirillo e Metodio, quando ancora la cristianità era indivisa: ottima l’occasione per perorare l’ecumenismo.  C’è chi presume una marcata simpatia politica per la nuova e giovane presidente della Slovacchia, l’ecologista di sinistra Zuzana Caputová. C’è chi fa notare che il Papa in Slovacchia avrebbe potuto battere sui suoi temi preferiti senza creare imbarazzi diplomatici. C’è chi argomenta che il Papa, sensibile com’è alle grandi manifestazioni popolari di pietà religiosa (di cui negli ultimi due anni è stato privato causa Coronavirus), ha voluto prolungare la visita fino al 15 settembre, giorno del pellegrinaggio nazionale a Saštín, alla Basilica della Madonna dei Sette Dolori, patrona della Slovacchia. 

C’è da rilevare che le presenze slovacche sono state inferiori alle attese della vigilia (in alcuni casi non di poco, ad esempio al santuario di Saštín). Può essere dipeso dalla richiesta formulata in un primo tempo di un certificato di doppia vaccinazione per poter partecipare alle messe e agli incontri papali; allentate le certificazioni previste, i numeri sono cresciuti anche se in misura non massiccia.

Gli  incontri in Slovacchia (5,4 milioni di abitanti, 73% cattolici) sono incominciati già il pomeriggio del 12 settembre con quello ecumenico a Bratislava, presso la Nunziatura apostolica. Nel discorso del Papa non poteva mancare un forte riferimento ai “santi fratelli evangelizzatori di Tessalonica”, Cirillo e Metodio, “testimoni di una cristianità ancora unita e infuocata dall’ardore dell’annuncio”: “E’ difficile esigere un’Europa più fecondata dal Vangelo senza preoccuparsi del fatto che non siamo ancora pienamente uniti tra noi nel continente e senza aver cura gli uni degli altri”. E’ seguito poi  una conversazione privata con i gesuiti slovacchi.

Lunedì 13 settembre dapprima l’incontro - sempre a Bratislava - con le autorità, la società civile e il corpo diplomatico. Anche qui il richiamo a Cirillo e Metodio che “si riconoscevano di tutti e cercavano la comunione con tutti: slavi, greci e latini”. Poi l’incontro con vescovi, sacerdoti, religiosi, seminaristi, catechisti nella cattedrale di San Martino: “Non abbiate timore di formare le persone a un rapporto maturo e libero con Dio. Importante è questo rapporto. Questo forse ci darà l’impressione di non controllare tutto, di perdere forza e autorità; ma la Chiesa di Cristo non vuole dominare le coscienze e occupare gli spazi”. Nel pomeriggio una visita privata al Centro Betlemme delle Missionarie della Carità, a seguire  l’incontro con la comunità ebraica: “Il nome di Dio è stato disonorato: nella follia dell’odio, durante la seconda guerra mondiale, più di centomila ebrei slovacchi furono uccisi. (…) Quanti oppressori hanno dichiarato: ‘Dio è con noi’; ma erano loro a non essere con Dio. (…) Anche oggi non mancano idoli vani e falsi che disonorano il nome dell’Altissimo”.

Martedì 14 settembre la santa messa (“divina liturgia” bizantina) a Prešov. Nell’omelia passaggi molto forti (e anche controversi) sul significato della Croce: “Come possiamo imparare a vedere la gloria nella Croce? (…) Non si contano i crocifissi: al collo, in casa, in macchina, in tasca. Ma non serve se non ci fermiamo a guarda il Crocifisso e non gli apriamo il cuore (…) Non riduciamo la Croce a un oggetto di devozione, tanto meno a un simbolo politico, a un segno di rilevanza religiosa e sociale”. Dopo il pranzo a Košice, presso il Seminario maggiore San Carlo Borromeo, l’incontro nel distretto cittadino di Lunik IX con i rom (vivono in oltre quattromila in questa zona periferica) Accolto con applausi fragorosi e da musica zigana il papa ha ascoltato dapprima tre testimonianze e poi nel suo discorso ha sottolineato che “cari fratelli e sorelle, troppe volte voi siete stati oggetto di preconcetti e di giudizi impietosi, di stereotipi discriminatori, di parole e gesti diffamatori. (…) Ma dove c’è cura della persona, dove c’è lavoro pastorale, dove c’è pazienza e concretezza i frutti arrivano. (…) Ghettizzare le persone non risolve nulla. Quando si alimenta la chiusura, prima o poi divampa la rabbia”. Nel tardo pomeriggio il trasferimento allo stadio Lokomotiva di Košice per l’incontro con i giovani. Ai circa 30mila presenti Francesco ha ricordato tra l’altro che “la vera originalità oggi, la vera rivoluzione, è ribellarsi alla cultura del provvisorio (…) Non siamo qui per vivacchiare, ma per fare della vita un’impresa”. Da notare, al termine e prima di tornare a Bratislava, il saluto del Papa al novantasettenne cardinale Jozef Tomko (unico porporato slovacco), oggi il più anziano del collegio cardinalizio. 

Mercoledì 15 settembre il momento di preghiera privata con i vescovi e la santa messa conclusiva presso il santuario nazionale di Saštín: “Davanti a Gesù non si può restare tiepidi, con ‘il piede in due scarpe’ (…) Non si tratta di essere ostili al mondo, ma di essere ‘segni di contraddizione’ nel mondo. Cristiani che sanno mostrare, con la vita, la bellezza del Vangelo. Che sono tessitori di dialogo laddove le posizioni si irrigidiscono”.

 

LA CONFERENZA-STAMPA IN AEREO

Poi il ritorno a Roma, con la consueta conferenza-stampa in aereo. A proposito della sosta a Budapest, papa Francesco ha prefigurato la possibilità tra qualche tempo di una eventuale visita pastorale tra qualche tempo (“il prossimo anno o l’altro”)  in Ungheria. Nella stessa risposta ha anche constatato che “alcuni interessi, forse non europei, cercano di usare l’Unione europea per le colonizzazioni ideologiche e questo non va”. In un’altra risposta - sull’incontro con Ader, Orbán e Sémjen - si è dilungato in particolari di cui si è già riferito.

A chi poi gli ha chiesto che cosa ne pensasse della risoluzione votata nei giorni scorsi da una chiara maggioranza dell’Europarlamento che invita a riconoscere nell’intera Ue il cosiddetto “matrimonio omosessuale”, Jorge Mario Bergoglio ha risposto evidenziando che il matrimonio è un sacramento e la Chiesa non il potere di cambiarlo. Lo Stato, ha proseguito, ha il potere – come giusto, par di capire - di “sostenere civilmente” le unioni omosessuali: l’esempio fatto è quello dei Pacs francesi. Vien da osservare che Francesco con tale esternazione (che fa seguito a una indubbia oscillazione di valutazioni soprattutto a proposito di ‘unioni omosessuali’ ) si differenzia non poco da quanto detto e ribadito in più occasioni sugli argomenti in questione da Karol Wojtyla e Joseph Ratzinger (già in qualità di prefetto della Dottrina della Fede), rinnegando anche le grandi manifestazioni popolari spagnole, francesi e italiane degli anni scorsi. Joseph Ratzinger motiva esemplarmente anche nel suo recentissimo libro “La vera Europa” (ed. Cantagalli), la contrarietà profonda al cosiddetto “matrimonio omosessuale”: “Il concetto di ‘matrimonio omosessuale’ è in contraddizione con tutte le culture dell’umanità che si sono succedute sino a oggi (…) Mai è stata messa in dubbio la comunità basilare, il fatto che l’esistenza dell’uomo – nel modo di maschio e femmina – è ordinata alla procreazione, nonché il fatto che la comunità di maschio e femmina e l’apertura alla trasmissione della vita determinano l’essenza di quello che è chiamato matrimonio. (… ) Anche l’uomo possiede una ‘natura’ che gli è stata data, e il violentarla o il negarla conduce all’autodistruzione. Proprio di questo si tratta anche nel caso della creazione dell’uomo come maschio e femmina, che viene ignorata nel postulato del ‘matrimonio omosessuale’ “. Parole chiare, argomenti di peso che sono condivisi anche al di là del mondo cattolico, tra coloro che non accettano che la natura umana possa essere violentata.

Così si è conclusa una trasferta di papa Francesco molto attesa, ricca in ogni caso di momenti di interesse non solo pastorale. Il Papa è apparso in buona forma fisica, nonostante il pesante intervento chirurgico subito il 4 luglio scorso.

  

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