Proponiamo alcuni stralci di un intervento dell'abbé Barthe sull'istinto dei fedeli (sensus fidelium) in risposta alla deriva in corso. Potrete leggerne il testo integrale nel blog di Aldo Maria Valli.
StefanoCosì l’istinto della fede può supplire all’autorità docente
di don Claude Barthe – Blog di Aldo Maria Valli, 13 marzo 2022
Cattolici abbandonati a sé stessi cercano di resistere oggi all’accelerazione delle questioni poste dal Concilio: essi si aggrappano all’istinto della fede, che non deve confluire in una sorta di libero esame tradizionale, al di fuori di ogni autorità, ma deve costituire al contrario un appello pressante al pieno ristabilimento dell’insegnamento della fede nel nome di Cristo.
Fino a questo pontificato, nel disordine del post-concilio, restavano due zoccoli «duri»:
Da una parte l’insegnamento morale simboleggiato dall’enciclica Humanæ vitæ. Ne sono derivati numerosi testi ed anche un clima e quasi un ambiente di «restaurazione», teoricamente al potere, ma concretamente minoritario, che ha trovato il proprio sbocco ed il proprio limite col pontificato di Benedetto XVI.
Dall’altra parte, permaneva l’esistenza, ancor più minoritaria ma molto vivace, di un altro mondo, accanto al precedente, quello dei fruitori della liturgia preconciliare, la cui conservazione ha trovato la propria legittimazione nel motu proprio Summorum Pontificum, esito di un lungo e moderato movimento di riconoscimento.
Tutto questo è stato spazzato via da Amoris lætitia e Traditionis custodes, testi accompagnati da altri «progressi» come la condanna della pena di morte nel Catechismo o, molto recentemente, sia pure per voce di un organismo secondario, la Pontificia accademia per la vita, il semaforo verde dato all’episcopato italiano circa l’incoraggiamento alle «legislazioni imperfette» (il suicidio assistito) allo scopo di bloccare legislazioni peggiori (l’eutanasia pura e semplice).
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Una spiegazione è necessaria. Benché i due termini siano spesso impiegati indifferentemente, si può distinguere il sensus fidei individuale dal sensus fidelium collettivo. D’altronde il sensus fidei di ciascun credente è la prosecuzione del sensus fidelium di tutta la Chiesa, allo stesso modo in cui il bene di ciascun individuo risulta dal bene comune.
a) Il sensus fidelium può essere praticamente equiparato a quel che i teologi chiamano «l’infallibità passiva» o infallibilità in credendo, in ciò che deve essere creduto. La Chiesa nel suo insieme ha una capacità connaturata di ricevere le parole di coloro che insegnano in nome di Cristo. Essa non può cadere in errore in ciò che crede, poiché altrimenti non sarebbe più la via unica e necessaria di salvezza e cesserebbe d’essere la vera Chiesa di Cristo. Tale infallibilità passiva è il contrario, se si vuole, dell’infallibilità attiva, il cui scopo è quello di conservare la comunità dei fedeli nella dottrina immutabile della fede e dei costumi. «È noto infatti che voi siete una lettera di Cristo, scritta per il nostro ministero, scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma sulle tavole di carne dei vostri cuori» (II Cor 3,3). E san Vincenzo di Lérins nel Commonitorium (2, 6): «Noi seguiremo la fede cattolica [l’universalità], se professiamo che quella è l’unica vera fede, che professa tutta la Chiesa in tutto l’universo».
b) In ogni credente il sensus fidei è un istinto, un dono, che accompagna la virtù della fede. Tutte le virtù producono una specie d’istinto connaturale (ad esempio, un istinto di riservatezza e di pudore, che accompagna la castità). Così anche la fede produce una specie d’istinto, che porta il credente a compiere atti di adesione alla verità rivelata.
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Fonte: Aldo Maria Valli
Qui non si parla di "Cattolici abbandonati a sé stessi" ma di cattolici che non riconoscendo i propri pastori, preferiscono scegliersi da sé pastori che la pensano come loro e che li assecondino...
RispondiEliminaDa quando nella Chiesa le pecore si scelgono il pastore che meglio aggrada?
Le pecore non scelgono.
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