La gioia della Messa romana tradizionale:
non possono portarcela via
di P. Richard Gennaro Cipolla - Rorate Caeli, 22 gennaio 2022
La settimana scorsa a Messa abbiamo ascoltato il vangelo di San Giovanni che racconta il primo miracolo di Gesù, il cambiamento dell'acqua in vino. Oggi, nella terza domenica dopo l'Epifania, ascoltiamo altri due miracoli compiuti da Nostro Signore: la guarigione dei lebbrosi e la guarigione del servo del centurione. I vangeli, nelle domeniche dopo l'Epifania, si concentrano sui miracoli di Gesù come risposta alla sostanziale, fondamentale domanda posta e risolta nei vangeli: chi è quest'uomo Gesù? Questi miracoli non sono offerti come prova della risposta evangelica a questa domanda, cioè che egli è il Figlio di Dio, la Parola di Dio, il Salvatore del mondo. Ma sono offerti – e in senso storico, non in una sorta di senso simbolico – per indicare la risposta alla domanda fondamentale. Molti di coloro che si definiscono cristiani hanno avuto problemi con questi miracoli per molto tempo, e lo hanno fatto perché molto più di un secolo fa hanno ceduto a una comprensione razionalistica e moralistica della persona di Gesù Cristo. Sono bloccati in una concezione totalmente superata e falsa del mondo fisico: vivono in un immaginario mondo newtoniano in cui la sorpresa è assente. È assente per decreto, poiché non ci possono essere sorprese in una concezione meccanica dell'universo fisico. Non c'è bisogno di essere esperti in fisica per sapere che la realtà è piena di sorprese e che queste sorprese avvengono con una frequenza allarmante. L'ironia sta nel fatto che in un'epoca in cui la scienza è vista come base e pietra di paragone di ciò che è reale, la maggior parte delle persone, compresi i teologi, è bloccata in una visione che non corrisponde in alcun modo al quadro misterioso e in un certo senso folle della realtà che la fisica contemporanea dipinge per noi. E il verbo dipingere è molto appropriato, perché la realtà fisica è molto più simile a un dipinto il cui significato non può mai essere pienamente afferrato rispetto alla visione alquanto noiosa che la assimila a un orologio Patek Phillipe: costoso, tiene bene il tempo, ma alla fine non è molto interessante.
Non c'è dubbio che stiamo vivendo una delle peggiori crisi che la Chiesa abbia affrontato nei suoi ormai più di 2000 anni di storia. Le radici di questa crisi non risalgono a ieri, ma stanno crescendo da almeno tre secoli, secondo alcuni molto più a lungo, e sono saldamente radicate nel terreno di quella visione radicale e miope della realtà che pone l'individuo al centro dell'universo e come senso ultimo di ciò che è reale e vero e buono. Il grido di Martin Lutero: "Qui sto, non posso fare altro", trova la sua logica e inevitabile consumazione nel mondo in cui viviamo, un mondo che ama parlare di comunità solo nei termini di una realtà totalmente circoscritta da una radicale negazione di ciò che ha formato le comunità nel passato: la famiglia, gli amici, i valori condivisi fondati in qualcosa al di là della comunità, in un senso del trascendente. Questo è un mondo in cui si nega qualsiasi oggettività nella moralità. La moralità è definita in termini di libertà dell'individuo di fare tutto ciò che vuole, con l'eccezione di ferire un'altra persona, e questo ferire un'altra persona è visto in termini di rendere quell'altra persona infelice. Anche uccidere un'altra persona non è un ostacolo a questa moralità basata sull'io e su una concezione egoistica della libertà, come possiamo vedere nel doloroso esempio dell'accettazione contemporanea dell'aborto come diritto personale.
La crisi della Chiesa sta nel rifiuto intenzionale, da parte di coloro che dovrebbero essere i custodi della Fede, di contrastare vigorosamente in modo ecclesiale, cioè basato sulla verità del Vangelo, questa visione distorta di ciò che è reale, di ciò che è vero e buono. Dalla lettura della storia della Chiesa non c'è dubbio che la Chiesa ha ceduto in vari momenti della sua storia a cercare di far pace con il mondo dimenticando deliberatamente il suo ruolo e la missione datale da Colui che è l'ultima contraddizione del mondo. Ma in quei momenti, ci sono sempre stati coloro che chiamiamo santi, specialmente i martiri, che hanno visto al di là di questi tentativi disonesti di venire a patti con il mondo, e la cui vita e morte hanno lo stesso effetto dei miracoli di Gesù: indicano al di là e al di sopra il Dio che è buono, vero e bello. La Chiesa ha spesso avuto difficoltà a trattare con queste persone: come Sant'Antonio [Abate] d'Egitto che fuggì dal mondo per vivere nel deserto; come San Francesco d'Assisi che abbracciò una severa forma di povertà per indicare la realtà della natura radicale del cristianesimo; come Santa Teresa di Lisieux, la cui comprensione della vocazione all'amore che sta al cuore di ciò che significa essere cattolici la portò a una sofferenza così terribile e infine a morire avvolta da un'oscurità che lei percepì come una perdita di fede. O come San Tommaso Moro, quell'uomo mondano e intelligente, quell'eminente studioso e scrittore di un superbo anche se finto latino ciceroniano, quell'uomo ambizioso che salì così in alto nel potere politico e che si trovò abbastanza inaspettatamente e non per scelta a confrontarsi con quella scelta che è al cuore della fede cattolica e tuttavia è negata dalla maggior parte dei cattolici, quella scelta tra il mondo che tollera solo una fede cristiana addomesticata e impotente, e quella fede che richiede di scegliere contra mundum per amore di Cristo che è morto pro mundo. E Tommaso Moro si dicesi per Dio nel contesto della difesa del Papato, nella persona di un Papa che non era un grande modello per il ministero petrino. Il problema è che questi santi e la maggior parte dei santi sono stati così pietizzati e agiografati e sentimentalizzati dai cattolici che il loro significato, chi fossero veramente, è evaporato. San Francesco diventa un personaggio Disney completo di uccelli e di una vasca per gli uccelli. Santa Teresa diventa una dolce e pia bambina francese con le rose in mano. San Tommaso Moro diventa un personaggio di una commedia di Robert Bolt ridotto a un uomo di princìpi.
Ma tutto questo fa parte della storia che ci ha portato a questo momento di crisi. Questo è un tempo in cui i vescovi si rifiutano di condannare la mondanità deformata del loro gregge che occupa posizioni di rilievo nel governo, coloro che osano affermare di essere seguaci di Gesù Cristo, osano proclamarsi cattolici, osano affermare frequentare quotidianamente la messa, e allo stesso tempo sostengono posizioni morali in linea con i tempi, che negano lo stesso Signore della vita. E tutto questo in nome della compassione, ridefinita in nome della libertà dell'individuo. A questo la compassione è stata ridotta. Tanti cattolici non sanno cosa significa compassione: significa soffrire con un altro, non scusare le colpe dell'altro, bensì amare l'altro, e amare qualcuno significa essere disposti a soffrire con quella persona, raggiungere l'altro dalla croce di Gesù Cristo: non c'è altra compassione che quella di Maria ai piedi della croce. Non c'è altra compassione che quella di San Francesco che riceve le stigmate. Non c'è altra compassione che quella di santa Teresa che soffre la sua morte oscura nel contesto della sua vocazione all'amore. Non c'è altra compassione che la terribile realizzazione di San Tommaso Moro di ciò che significa veramente l'amore per il mondo, morendo in nome dell'amore di Cristo per tutti gli uomini, in un contesto molto ambiguo. Significa che non c'è fondamento per la vera compassione se non nell'infinita compassione di Gesù Cristo per i peccatori del mondo.
Ma cosa ci ha portato alla particolare profondità della crisi che la Chiesa affronta oggi? La differenza tra le crisi della Chiesa nel passato (e ce ne sono state molte) e la crisi che ci assale ora è questa: la perdita contemporanea del sacro, specificamente nella liturgia della Messa, come forza vincolante che era il contesto fondamentale in cui la vita cattolica è stata vissuta nel corso dei secoli. Era, nelle parole del Concilio Vaticano II, fons et culmen, la fonte e il vertice della vita cattolica. La Messa della Tradizione, la Messa Romana Tradizionale, è il frutto di uno sviluppo organico le cui parole, preghiere, gesti, musica non possono essere identificati con nessuna cultura, nessuna provenienza. La Messa affonda le sue radici nel giudaismo, nel mondo di lingua greca dell'antichità, nel Medio Oriente della Siria e del Libano, nella città e nell'impero di Roma, attingendo a tradizioni lontane, dalla Gran Bretagna alla Francia gallicana, alla Spagna, al Nord Africa, a quello che in generale chiamiamo Oriente: tutto espresso in un linguaggio comune e immutabile che è fondante nel mondo cristiano dell'Occidente. Questa struttura, questo palazzo, questa umile casa, questa casa in cui tutti, ricchi, poveri, uomini, donne, bambini, colti, contadini potevano venire e sentirsi a casa, a casa anche se non capivano intellettualmente cosa significassero tutte queste stanze, eppure venivano in un luogo che era familiare e tuttavia non comune, il luogo che era sempre lì, che non dipendeva dalla moda del mondo, da ciò che era au courant in quel momento, che trascendeva il tempo e lo spazio, che indicava sempre ciò che non si poteva capire ma si credeva. Questo è colto così meravigliosamente in quella scena del romanzo di Graham Green, Il potere e la gloria, in cui i contadini messicani fremono di felicità quando il prete, rischiando la sua vita per loro, celebra la Messa in una povera casa, e quando alza l'ostia sospirano, e in quel sospiro sanno, nonostante la terribile realtà delle loro vite, che Dio è di nuovo con loro nella Messa.
Eppure, quello che stiamo facendo in questo momento è l'antidoto alla crisi che affrontiamo. Offriamo in questo momento e in questa chiesa quella Messa che è cresciuta organicamente attraverso 1500 anni, non come un insieme di preghiere e regole, ma come un organismo vivente che ha preso il meglio nel mutevole ambiente storico dell'ultimo millennio e mezzo, la forma della Messa inculturata da e nei molti ambienti culturali degli ultimi 1500 anni, liberandosi di ciò che era scoria e abbracciando ciò che era consono all'essenza della Messa romana, al cui cuore è la ripresentazione del sacrificio della croce e quindi una fonte di grazia. Il Summorum Pontificum di Papa Benedetto in sostanza non ha semplicemente "permesso" la libera celebrazione della Messa Romana Tradizionale. Quel documento ruppe l'incantesimo della falsa e acattolica finzione che San Paolo VI avesse abrogato la Messa Romana Tradizionale imponendo la forma di Messa del Novus Ordo a tutta la Chiesa, come se essa continuasse la Messa Romana Tradizionale. Come potrebbe una forma di Messa che è stata scritta da un comitato i cui membri hanno fatto ricorso all'erudizione liturgica per i loro propri scopi e che erano determinati a comporre una liturgia che piacesse all'"uomo moderno", una liturgia che è fissata in un tempo e in uno spazio, e che è il prodotto non di una crescita organica ma dell'imposizione dottrinaria di atteggiamenti di un tempo molto piccolo nella storia della Chiesa: come potrebbe questa forma di Messa continuare la Messa Romana Tradizionale?
Il Consilium che ha prodotto la Messa Novus Ordo ha dimenticato che la Messa è per Dio, è il culto di Dio. Non è per il prete né per il popolo. La Messa non è un esercizio religioso per la gente. Non è qualcosa che il prete può inventare per dare importanza e rallegrare la gente. Non è un prolungamento della catechesi, un esercizio didattico. La Messa è il luogo in cui si entra nel Santo dei Santi e ci si abbandona al mistero e all'amore di Dio. Quando sono stato ordinato sacerdote, quasi 38 anni fa, non avrei mai sognato di celebrare questa Messa in questo luogo, circondato da persone di fede di ogni tipo e condizione di uomini e donne. Ma Dio è buono e fedele. E continuerà ad essere fedele nonostante coloro che presumono di mettere fuori legge questa forma di culto che è il prodotto e il cuore della tradizione cattolica. E noi ci rallegriamo di questa fonte di grazia e di verità, di questo tesoro, il tesoro ultimo che è pieno della bellezza di Dio nel distillato del tempo, di quel tempo impregnato dell'evento stupefacente di Dio che si fa uomo, facendosi carne di una donna reale che visse piena di grazia in un tempo e in un luogo specifico nella storia del mondo. E cos'altro possiamo fare in questo giorno se non essere grati e felici, oh così felici, oh così pieni di gioia? E cos'altro possiamo fare se non, prima della Santa Comunione, riecheggiare le parole del centurione dal Vangelo: "Signore, non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma dì soltanto una parola e l'anima mia sarà guarita". E poi ricevere quel Signore con grande gioia.
Padre Richard Gennaro Cipolla
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