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giovedì 2 dicembre 2021

Marcello Veneziani: "Intervista sulla Messa in latino" #traditioniscustodes

Una bella intervista tratta dal Blog di Marcello Veneziani.
Luigi

a cura di Stefania Briccola

Marcello Veneziani, perché il motu proprio di papa Francesco sulla messa in latino ha limitato, con l’autorizzazione lasciata ai vescovi, non solo i gruppi tradizionalisti, ma anche la libertà di culto?

Mv. Perché ostacolare o sopprimere di fatto un rito antico e una liturgia che ha accompagnato per secoli i fedeli è un gratuito atto ostile verso chi ama la tradizione e la liturgia antica e uno sfregio alla Chiesa in saecula saeculorum. Si può essere progressisti e preferire la messa in lingua nazionale e moderna, ma impedire a chi si riconosce in quel rito di seguire l’ordo missae è una limitazione della libertà e del culto, un impoverimento spirituale e un segno di odio verso quei gruppi e ciò che rappresentano. Che senso ha dialogare con i non credenti, i credenti in altre religioni, i lontani e chiudere le porte della chiesa ai credenti e praticanti della liturgia latina?

Come ricorda la sua partecipazione alla messa in latino e il rito antico ignorato dalle nuove generazioni? (Dove era esattamente ? Quando? È davvero rappresentazione teatrale dal linguaggio criptico… non proprio una messa rock)

Mv. Ero bambino e andavo a messa la domenica mattina con mio padre a Bisceglie, seduti nel coro della cattedrale o in sacrestia. Ricordo il fascino di quel rito e di quella liturgia, il mistero di quelle parole arcane, il senso del sacro nella bellezza e l’odore d’incenso, la convinzione puerile che adorare fosse l’equivalente di odorare… fede olfattiva… Ne ho scritto nel mio ultimo libro, la Leggenda di Fiore.

L’ateo Michael Onfray difende a spada tratta la messa in latino e il senso del sacro di cui si è perso il valore. Perché si ha tanta nostalgia di personaggi come Mircea Eliade e Andre Malraux?

Mv. Perché ci ricordano che non esiste solo il nostro presente, l’uomo a una dimensione; ma ci sono altri mondi che noi abitiamo: il passato attraverso il ricordo e la memoria storica, l’avvenire mediante la speranza e la profezia, l’eterno attraverso il sacro e il mistero… Eliade ci ha pure insegnato a ritrovare le tracce del sacro dissimulate nella vita moderna e profana.

Chi ricorda tra i firmatari degli appelli sottoscritti all’indomani del Concilio Vaticano II che riformavano la liturgia e sopprimevano l’ordo missae (il rito della messa secondo il rito tridentino) nel 1964? (c’erano ortodossi come Ashkenazy ecc.)

Mv. Ricordo tra tanti due figure straordinarie, il poeta Borges che non può definirsi propriamente un fedele ma che ne era tuttavia affascinato dalla bellezza e dall’antico splendore e la scrittrice Cristina Campo (al secolo Vittoria Guerrini) che era salda nella fede e credente e vanamente si impegnò nella difesa dell’ordo missae. Nacque un movimento, vi fu poi Monsignor Lefevbre, una brutta ferita che di recente era stata rimarginata; ora Bergoglio la riapre, e in un’epoca di chiese vuote, messe disertate, vocazioni calanti…

La questione della stretta sulla messa in latino riguarda un problema “politico” all’interno della Chiesa con una minoranza di cattolici da arginare o la reale unità da raggiungere seguendo la linea del Concilio Vaticano II?

Mv. C’è una motivazione politica e c’è anche una concezione personalistica e lievemente dispotica, comunque intollerante da parte di un papa che pure si schermì dicendo: chi sono io per giudicare?… Ma anche sul piano politico è stato un errore grossolano, perché ha ridato fiato e spinta a gruppi davvero minoritari. La Chiesa dell’accoglienza non accoglie i fedeli e i riti di sempre, respinge i devoti che non condividono il discorso politico di Bergoglio.

L’antico messale è cambiato e la nuova liturgia ha conferito un volto nuovo alla Chiesa. Tutto questo cosa ha comportato? (dalla limitazione di una lingua universale, madre della nostra civiltà, a un senso feriale che pervade la liturgia non più solenne. Una specie di caffè decaffeinato…)

Mv. Paradossalmente la chiesa che insegue la globalizzazione rinuncia all’universalità sul piano liturgico e linguistico. Si sostituì il rito comunitario con una riunione assembleare e condominiale; così si perde la bellezza, il mistero e il lindo rigore di una liturgia e si tagliano i ponti con la tradizione, la civiltà cristiana, il legame tra il santo e il sacro.

(l’Ordine, 15 agosto)