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martedì 7 settembre 2021

Mons. Camisasca: Se accettiamo l’eutanasia poi arriverà la soppressione di persone affette da profonde depressioni

Sui referendum radicali pro eutanasia. Tratta da La Verità: «Ritengo che nella Chiesa di oggi ci sia poca attenzione alle tragiche derive culturali del nostro tempo».
QUI delle improvvide dichiarazioni di mons. Paglia sull'argomento e QUI la Bussola.
Luigi

Di Sabino Paciolla, 31-8-21

«La mentalità mondana è penetrata profondamente nella Chiesa. Ma questo è accaduto in ogni epoca della storia, in forme diverse. Questa sì, è una battaglia continua: contro lo spirito del mondo che vuole distruggere l’uomo riducendolo a una macchina al servizio dei potenti».

Monsignor Massimo Camisasca è vescovo di Reggio Emilia-Guastalla dal 2012. Milanese, cresciuto negli insegnamenti di don Luigi Giussani, ha persino un passato «sportivo»: fu il cappellano del mitico Milan di Arrigo Sacchi. Oggi, pastore attento e scrittore prolifico, è in prima linea nella difesa dei sempiterni principi teologici e morali della Chiesa.

Alessandro Rico, sul quotidiano La Verità del30 agosto 2021 lo ha intervistato sulla scottante questione del referendum proposto dall’Associazione Luca Coscioni che ha già raccolto 750.000 firme per abrogare parzialmente il reato di omicidio del consenziente.

Ecco alcuni stralci dell’intervista

Eccellenza, iniziamo dai concetti basilari: perché la Chiesa si oppone sia al suicidio assistito, sia all’eutanasia attiva?

«Perché l’uomo non è padrone della propria vita. Per comprendere questa affermazione è necessario entrare nelle linee fondamentali che guidano una delle culture prevalenti dell’epoca contemporanea, quella che Giovanni Paolo II chiamava “cultura della morte ” e Francesco chiama “cultura dello scarto”».


Che conseguenze comportano queste culture?

« L’uomo che si sente padrone di sé stesso, anche se non può non avvertire i limiti della propria esistenza quali la malattia e la morte, decide di allontanare da sé il più possibile i segni di tali limitazioni».


Ad esempio?

«Non si parla più di morte, ma di addio. Non si parla più di malattia, nascondendola dietro il diritto alla salute. Siamo invitati a riconoscerci come illimitati e onnipotenti, diventiamo così disumani. L’umanità invece sta nella cura, nel prenderci cura di noi stessi e degli altri».


In che modo?

«Lo Stato dovrebbe in tutti i modi sostenere le cure palliative, le terapie del dolore, aiutare attraverso una presenza infermieristica costante le famiglie segnate dalla drammatica realtà di malati inguaribili. Dobbiamo riscoprire il valore di ogni esistenza, anche la più tormentata».


E chi non sopporta più quei tormenti?

« Be’, questo non significa giudicare il dramma di chi vive, magari da anni, assistendo un proprio caro e non ce la fa più e neppure quello di chi desidera morire, stremato dalle lunghe prove».


Teme che il referendum promosso dai radicali, che mira alla parziale abrogazione del reato di omicidio del consenziente, sia il primo passo in direzione di una legge sull’eutanasia basata sui modelli di alcuni Paesi nordeuropei, come Belgio e Olanda?

«Autorevoli uomini del diritto come Giovanni Maria Flick e Luciano Luciano Violante hanno sostenuto che una legislazione che vorrebbe affrontare alcune problematiche singole finisce sempre per riconoscere dei diritti universali».


Quindi?

«Se noi diamo all’uomo il diritto di uccidere non potremmo più fermare la catena delle morti.
Perché allora combattere la pena di morte? Perché combattere la violenza sulle donne? Tutte lotte sacrosante, ma che possono trovare la loro giustificazione e forza soltanto in una legislazione che riconosca il valore sacro di ogni vita».


La nostra civiltà lo sta perdendo di vista?

«La civiltà borghese è una civiltà schizofrenica, rivendica i diritti di tutti tranne che di coloro che creano problemi. Ripeto: la strada deve essere quella del sostenere in ogni modo chi è in difficoltà, altrimenti si ricade nella barbarie che consiste nell’eliminare chi si pone come ostacolo alla nostra quiete. È la stessa ragione per cui siamo caduti nell’inverno demografico».


Teme, in definitiva, che l’eutanasia cominci a essere applicata ai casi in cui pare davvero più ragionevole concedere un aiuto a morire – i malati di cancro o i tetraplegici – per trasformarsi poi nella soppressione di persone affette da profonde depressioni, ma non invalide né allo stadio terminale?

«Temo purtroppo che sia così».


Nella Chiesa avverte un unanime desiderio di dare battaglia contro queste derive etiche? O crede che certe correnti progressiste finiscano per fare il gioco della cultura nichilista?

«Ritengo che nella Chiesa di oggi ci sia poca attenzione alle tragiche derive culturali del nostro tempo ».

Sì?

«Non si tratta tanto di fare battaglie, quanto di prendere coscienza della tragica svolta antropologica e di ricominciare a tessere, a partire dall’educazione dei più piccoli, l’alfabeto dell’umano che abbiamo quasi completamente dimenticato».


Qualcosa si è incrinato nella capacità della Chiesa di parlare a questo mondo: nel 2005 i cattolici furono capaci di neutralizzare il referendum sulla fecondazione assistita, oggi è già tanto se si riuscirà a rinviare ancora l’approvazione del ddl Zan. Cos’è successo?

«La mentalità mondana è penetrata profondamente nella Chiesa. Ma questo è accaduto in ogni epoca della storia, in forme diverse. Questa sì, è una battaglia continua: contro lo spirito del mondo che vuole distruggere l’uomo riducendolo a una macchina al servizio dei potenti».


Come si può rimediare ?

«Sono fondamentali una predicazione e un insegnamento che non dimentichino le verità fondamentali della vita presente e futura, dell’uomo come creatura, del peccato e della salvezza. Questo non riguarda soltanto i credenti. Il peccato e la salvezza riguardano tutti».

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