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sabato 24 luglio 2021

Traduzione ufficiale della dichiarazione del Card. Burke sul #TraditionisCustodes


Ecco la traduzione ufficiale di S. Paciolla, approvata da Sua Eminenza, della sua dichiarazione sul Tradizionis Custodes (qui il testo ufficiale in inglese).

Dichiarazione 

In merito al Motu Proprio “Traditionis Custodes

 

Molti fedeli – laici, ordinati e consacrati – mi hanno espresso la profonda angoscia che il Motu Proprio “Traditionis Custodes” ha portato loro. Coloro che sono attaccati all’Usus Antiquior (Uso più antico) [UA], quello che Papa Benedetto XVI ha chiamato la Forma Straordinaria, del Rito Romano sono profondamente demoralizzati dalla severità della disciplina che il Motu Proprio impone e offesi dal linguaggio che utilizza nel descrivere loro, i loro atteggiamenti e la loro condotta. Come membro dei fedeli, che ha anche un intenso legame con l’UA, condivido pienamente i loro sentimenti di profondo dolore.

Come Vescovo della Chiesa e come Cardinale, in comunione con il Romano Pontefice e con la particolare responsabilità di assisterlo nella sua cura pastorale e nel governo della Chiesa universale, offro le seguenti osservazioni:

1. In via preliminare, ci si deve chiedere perché non sia stato ancora pubblicato il testo latino o ufficiale del Motu Proprio. Per quanto ne sappia, la Santa Sede ha promulgato il testo nelle versioni italiana e inglese e, in seguito, nelle traduzioni tedesca e spagnola. Poiché la versione inglese è chiamatatraduzione, si deve presumere che il testo originale sia in italiano. Se è così, ci sono traduzioni di testi significativi nella versione inglese che non sono coerenti con la versione italiana. Nell’articolo 1, l’importante aggettivo italiano “unica” è tradotto in inglese come “unique”, invece di “only”. Nell’articolo 4, l’importante verbo italiano “devono” è tradotto in inglese come “should”, invece di “must”.
2. Prima di tutto, è importante stabilire, in questa e nelle due osservazioni seguenti (nn. 3 e 4), l’essenza di ciò che il Motu Proprio contiene. È evidente dalla severità del documento che Papa Francesco ha emesso il Motu Proprio per affrontare quello che egli percepisce come un grave male che minaccia l’unità della Chiesa, cioè l’UA. Secondo il Santo Padre, coloro che adorano secondo questo uso fanno una scelta che rifiuta “la Chiesa e le sue istituzioni in nome di quella che viene chiamata la ‘vera Chiesa’”, una scelta che “contraddice la comunione e alimenta la tendenza divisiva … contro la quale l’apostolo Paolo ha reagito con tanto vigore”.
3. Chiaramente, Papa Francesco considera il male così grande che ha agito immediatamente, non informando preventivamente i Vescovi e non prevedendo nemmeno la consueta vacatio legis, un periodo di tempo tra la promulgazione di una legge e la sua entrata in vigore. La vacatio legis fornisce ai fedeli e soprattutto ai Vescovi il tempo di studiare la nuova norma riguardante il culto di Dio, l’aspetto più importante della loro vita nella Chiesa, in vista della sua attuazione. La norma, infatti, contiene molti elementi che richiedono uno studio per la sua applicazione.
4. Inoltre, la norma pone delle restrizioni all’UA, che segnalano la sua eliminazione definitiva, per esempio, il divieto di utilizzare una chiesa parrocchiale per il culto secondo l’UA e la fissazione di determinati giorni per tale culto. Nella sua lettera ai vescovi del mondo, Papa Francesco indica due principi che devono guidare i vescovi nell’attuazione del Motu Proprio. Il primo principio è “provvedere al bene di coloro che sono radicati nella precedente forma di celebrazione e hanno bisogno di tornare a tempo debito al Rito Romano promulgato dai Santi Paolo VI e Giovanni Paolo II”. Il secondo principio è “interrompere l’erezione di nuove parrocchie personali legate più al desiderio e alla volontà dei singoli sacerdoti che al reale bisogno del ‘santo popolo di Dio'”.
5. Apparentemente, la legislazione è diretta alla correzione di un’aberrazione principalmente attribuibile al “desiderio e alla volontà” di alcuni sacerdoti. A questo proposito, devo osservare, soprattutto alla luce del mio servizio come Vescovo diocesano, che non sono stati i sacerdoti che, per i loro desideri, hanno spinto i fedeli a richiedere la Forma Straordinaria. Anzi, sarò sempre profondamente grato ai tanti sacerdoti che, nonostante i loro già pesanti impegni, hanno generosamente servito i fedeli che legittimamente richiedevano l’UA. I due principi non possono fare a meno di comunicare ai fedeli devoti che hanno un profondo apprezzamento e attaccamento all’incontro con Cristo attraverso la Forma Straordinaria del Rito Romano che soffrono di un’aberrazione che può essere tollerata per un certo tempo ma che alla fine deve essere sradicata.
6. Da dove viene l’azione severa e rivoluzionaria del Santo Padre? Il Motu Proprio e la Lettera indicano due fonti: in primo luogo, “i desideri espressi dall’episcopato” attraverso “una dettagliata consultazione dei vescovi” condotta dalla Congregazione per la Dottrina della Fede nel 2020, e, in secondo luogo, “il parere della Congregazione per la Dottrina della Fede”. Per quanto riguarda le risposte alla “consultazione dettagliata” o “questionario” inviato ai Vescovi, Papa Francesco scrive ai Vescovi: “Le risposte rivelano una situazione che mi preoccupa e mi rattrista, e mi persuade della necessità di intervenire”.
7. Per quanto riguarda le fonti, si deve supporre che la situazione che preoccupa e rattrista il Romano Pontefice esista in generale nella Chiesa o solo in alcuni luoghi? Data l’importanza attribuita alla “consultazione dettagliata” o “questionario”, e la gravità della materia trattata, sembrerebbe essenziale che i risultati della consultazione siano resi pubblici, insieme all’indicazione del suo carattere scientifico. Allo stesso modo, se la Congregazione per la Dottrina della Fede fosse stata del parere che una tale misura rivoluzionaria dovesse essere presa, avrebbe verosimilmente preparato un’Istruzione o un documento simile per affrontarla.
8. La Congregazione gode della competenza e della lunga esperienza di alcuni ufficiali – prima in servizio nella Pontificia Commissione «Ecclesia Dei» e poi nella Quarta Sezione della Congregazione – che sono stati incaricati di trattare questioni riguardanti l’UA. Ci si deve chiedere se il “parere della Congregazione per la Dottrina della Fede” rifletta la consultazione di coloro che hanno la più grande conoscenza dei fedeli devoti all’UA?
9. Per quanto riguarda il percepito male grave costituito dall’UA, ho una vasta esperienza di molti anni e in molti luoghi diversi con i fedeli che adorano regolarmente Dio secondo l’UA. In tutta onestà, devo dire che questi fedeli, in nessun modo, rifiutano “la Chiesa e le sue istituzioni in nome di quella che viene chiamata la ‘vera Chiesa’”. Né li ho trovati fuori dalla comunione con la Chiesa o divisivi all’interno della Chiesa. Al contrario, amano il Romano Pontefice, i loro Vescovi e sacerdoti, e, quando altri hanno fatto la scelta dello scisma, hanno voluto sempre rimanere in piena comunione con la Chiesa, fedeli al Romano Pontefice, spesso a costo di grandi sofferenze. Essi, in nessun modo, si ascrivono a un’ideologia scismatica o sedevacantista.
10. La Lettera che accompagna il Motu Proprio afferma che la UA è stata permessa da Papa San Giovanni Paolo II e poi regolata da Papa Benedetto XVI con “il desiderio di favorire la guarigione dello scisma con il movimento di mons. Lefebvre”. Il movimento in questione è la Società di San Pio X. Mentre entrambi i Romani Pontefici desideravano la guarigione dello scisma in questione, come dovrebbero fare tutti i buoni cattolici, essi desideravano anche mantenere in continuità l’UA per coloro che rimanevano nella piena comunione della Chiesa e non diventavano scismatici. Papa San Giovanni Paolo II mostrò carità pastorale, in vari modi importanti, verso i fedeli cattolici legati all’UA, per esempio, concedendo l’indulto per l’UA ma anche istituendo la Fraternità Sacerdotale di San Pietro, una società di vita apostolica per i sacerdoti legati all’UA. Nel libro Ultime conversazioni (Milano, Garzanti, 2016), Papa Benedetto XVI ha risposto all’affermazione: “La riabilitazione dell’antica Messa viene spesso interpretata come una concessione alla Fraternità sacerdotale san Pio X”, con queste parole chiare e forti: “Questo è assolutamente falso! Per me era importante che la Chiesa preservasse la continuità interna con il suo passato. Che ciò che prima era sacro non divenisse da un momento all’altro una cosa sbagliata” (pp. 189-190). Infatti, molti di coloro che attualmente desiderano praticare il culto secondo l’UA non hanno alcuna esperienza e forse nessuna conoscenza della storia e della situazione attuale della Società Sacerdotale di San Pio X. Sono semplicemente attratti dalla santità dell’UA.
11. Sì, ci sono individui e persino alcuni gruppi che sposano posizioni radicali, anche come avviene in altri settori della vita della Chiesa, ma essi non sono, in nessun modo, caratteristici del più grande e sempre crescente numero di fedeli che desiderano adorare Dio secondo l’UA. La Sacra Liturgia non è una questione di cosiddetta “politica della Chiesa” ma l’incontro più pieno e perfetto con Cristo per noi in questo mondo. I fedeli in questione, tra i quali ci sono numerosi giovani adulti e giovani coppie sposate con figli, incontrano Cristo, attraverso l’UA, che li attira sempre più vicini a sé attraverso la riforma della loro vita e la cooperazione con la grazia divina che scorre dal Suo glorioso Cuore trafitto nei loro cuori. Non hanno bisogno di esprimere un giudizio su coloro che adorano Dio secondo l’UsusRecentior (l’Uso più recente), quello che Papa Benedetto XVI ha chiamato la Forma Ordinaria del Rito Romano) [UR], promulgato per la prima volta da Papa San Paolo VI. Come mi ha fatto notare un sacerdote, membro di un istituto di vita consacrata, che serve questi fedeli: Mi confesso regolarmente da un sacerdote, secondo l’UR, e partecipo, in occasioni speciali, alla Santa Messa secondo l’UR. Ha concluso: Perché qualcuno dovrebbe accusarmi di non accettarne la validità?
12. Se ci sono situazioni di un atteggiamento o di una pratica contraria alla sana dottrina e disciplina della Chiesa, la giustizia esige che siano affrontate individualmente dai pastori della Chiesa, dal Romano Pontefice e dai Vescovi in comunione con lui. La giustizia è la condizione minima e insostituibile della carità. La carità pastorale non può essere servita, se non si osservano le esigenze della giustizia.
13. Uno spirito scismatico o uno scisma vero e proprio sono sempre gravemente malvagi, ma non c’è nulla nell’UA che favorisca lo scisma. Per quelli che hanno conosciuto l’UA in passato, come me, si tratta di un atto di culto segnato da una bontà, verità e bellezza plurisecolari. Ho conosciuto la sua attrattiva fin dalla mia infanzia e mi sono anzi molto affezionato ad essa. Avendo avuto il privilegio di assistere il sacerdote come assistente alla Messa da quando avevo dieci anni, posso testimoniare che l’UA è stato una grande ispirazione della mia vocazione sacerdotale. Per coloro che sono venuti all’UA per la prima volta, la sua ricca bellezza, specialmente il modo in cui manifesta l’azione di Cristo che rinnova sacramentalmente il Suo sacrificio sul Calvario attraverso il sacerdote che agisce nella Sua persona, li ha avvicinati a Cristo. Conosco molti fedeli per i quali l’esperienza del Culto Divino secondo l’UA ha fortemente ispirato la loro conversione alla Fede o la loro ricerca della Piena Comunione con la Chiesa Cattolica. Inoltre, numerosi sacerdoti che sono tornati alla celebrazione dell’UA o che l’hanno imparata per la prima volta mi hanno detto quanto profondamente abbia arricchito la loro spiritualità sacerdotale. Per non parlare dei santi di tutti i secoli cristiani per i quali l’UA ha alimentato una pratica eroica delle virtù. Alcuni hanno dato la vita per difendere l’offerta di questa stessa forma di culto divino.
14. Per me e per altri che hanno ricevuto così tante grazie potenti attraverso la partecipazione alla Sacra Liturgia, secondo l’UA, è inconcepibile che essa possa ora essere caratterizzata come qualcosa di dannoso all’unità della Chiesa e alla sua stessa vita. A questo proposito, è difficile comprendere il significato dell’articolo 1 del Motu Proprio: “I libri liturgici promulgati da San Paolo VI e San Giovanni Paolo II, in conformità con i decreti del Concilio Vaticano II, sono l’unica (“unica”, nella versione italiana che sembra essere il testo originale) espressione della lex orandi del Rito Romano.” La UA è una forma viva del Rito Romano e non ha mai cessato di esserlo. Fin dalla promulgazione del Messale di Papa Paolo VI, riconoscendo la grande differenza tra l’UR e l’UA, la continuazione della celebrazione dei Sacramenti, secondo l’UA, fu permessa a certi conventi e monasteri e anche a certi individui e gruppi. Papa Benedetto XVI, nella sua Lettera ai Vescovi del Mondo, che accompagna il Motu Proprio “Summorum Pontificum, ha chiarito che il Messale Romano in uso prima del Messale di Papa Paolo VI, “non fu mai giuridicamente abrogato e, di conseguenza, in linea di principio, fu sempre permesso”.
15. Ma il Romano Pontefice può abrogare giuridicamente l’UA? La pienezza di potere (plenitudo potestatis) del Romano Pontefice è il potere necessario per difendere e promuovere la dottrina e la disciplina della Chiesa. Non è un “potere assoluto” che includerebbe il potere di cambiare la dottrina o di sradicare una disciplina liturgica che è viva nella Chiesa dai tempi di Papa Gregorio Magno e anche prima. L’interpretazione corretta dell’articolo 1 non può essere la negazione che l’UA sia un’espressione sempre vitale della “lex orandi del Rito Romano”. Nostro Signore che ha fatto il meraviglioso dono dell’UA non permetterà che venga sradicato dalla vita della Chiesa.
16. Bisogna ricordare che, da un punto di vista teologico, ogni valida celebrazione di un sacramento, per il fatto stesso che è un sacramento, è anche, al di là di ogni legislazione ecclesiastica, un atto di culto e, quindi, anche una professione di fede. In questo senso, non è possibile escludere il Messale Romano, secondo l’UA, come espressione valida della lexorandi e, quindi, della lex credendi della Chiesa. Si tratta di una realtà oggettiva della grazia divina che non può essere modificata da un semplice atto di volontà anche della massima autorità ecclesiastica.
17. Papa Francesco afferma nella sua lettera ai Vescovi: “Rispondendo alle vostre richieste, prendo la ferma decisione di abrogare tutte le norme, istruzioni, permessi e consuetudini che precedono il presente Motu proprio, e dichiaro che i libri liturgici promulgati dai santi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, in conformità ai decreti del Concilio Vaticano II, costituiscono l’unica [sola] espressione della lex orandi del Rito Romano.” L’abrogazione totale in questione, in giustizia, richiede che si studi ogni singola norma, istruzione, permesso e consuetudine, per verificare che essa “contraddica la comunione e nutra la tendenza divisiva … contro la quale l’Apostolo Paolo reagì così vigorosamente.”
18. Qui, è necessario osservare che la riforma della Sacra Liturgia operata da Papa San Pio V, in accordo con le indicazioni del Concilio di Trento, fu ben diversa da ciò che avvenne dopo il Concilio Vaticano II. Papa San Pio V mise essenzialmente in ordine la forma del Rito Romano come esisteva già da secoli. Allo stesso modo, alcuni ordinamenti del Rito Romano sono stati fatti nei secoli successivi da parte del Romano Pontefice, ma la forma del Rito è rimasta la stessa. Ciò che è accaduto dopo il Concilio Vaticano II ha costituito un cambiamento radicale nella forma del Rito Romano, con l’eliminazione di molte delle preghiere, dei gesti rituali significativi, per esempio le molte genuflessioni, e il frequente bacio dell’altare, e altri elementi che sono ricchi dell’espressione della realtà trascendente – l’unione del cielo con la terra – che è la Sacra Liturgia. Già Papa Paolo VI lamentava la situazione in modo particolarmente drammatico con l’omelia che tenne nella festa dei Santi Pietro e Paolo nel 1972. Papa San Giovanni Paolo II ha lavorato per tutto il suo pontificato e, in particolare, durante i suoi ultimi anni, per affrontare i gravi abusi liturgici. Entrambi i Romani Pontefici, e anche Papa Benedetto XVI, si sforzarono di conformare la riforma liturgica all’effettivo insegnamento del Concilio Vaticano II, poiché i fautori e gli agenti degli abusi invocavano lo “spirito del Concilio Vaticano II” per giustificarsi.
19. L’articolo 6 del Motu Proprio trasferisce la competenza degli istituti di vita consacrata e delle società di vita apostolica dedicati all’UA alla Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica. L’osservanza dell’UA appartiene al cuore stesso del carisma di questi istituti e società. Mentre la Congregazione è competente a rispondere a questioni riguardanti il diritto canonico per tali istituti e società, non è competente ad alterare il loro carisma e le loro costituzioni, al fine di affrettare l’apparentemente desiderata eliminazione dell’UA nella Chiesa.

 

Ci sono molte altre osservazioni da fare, ma queste mi sembrano le più importanti. Spero che possano essere utili a tutti i fedeli e, in particolare, ai fedeli che offrono il culto secondo l’UA, nel rispondere al Motu Proprio “Traditionis Custodes” e alla Lettera ai Vescovi che lo accompagna. La severità di questi documenti genera naturalmente una profonda angoscia e persino un senso di confusione e di abbandono. Prego che i fedeli non cedano allo scoraggiamento ma che, con l’aiuto della grazia divina, perseverino nel loro amore per la Chiesa e per i suoi pastori, e nel loro amore per la Sacra Liturgia.

A questo proposito, esorto i fedeli a pregare con fervore per Papa Francesco, i Vescovi e i sacerdoti. Allo stesso tempo, in accordo con il can. 212, §3, “[i]n rapporto alla scienza, alla competenza e al prestigio di cui godono, essi hanno il diritto, e anzi talvolta anche il dovere, di manifestare ai sacri Pastori il loro pensiero su ciò che riguarda il bene della Chiesa e di renderlo noto agli altri fedeli, salva restando l’integrità della fede e dei costumi e il rispetto verso i Pastori, tenendo inoltre presente l’utilità comune e la dignità delle persone”. Infine, nella gratitudine a Nostro Signore per la Sacra Liturgia, il più grande dono di sé a noi nella Chiesa, possano continuare a salvaguardare e coltivare l’antico e sempre nuovo Uso più antico o Forma straordinaria del Rito romano.

 

Raymond Leo Cardinale BURKE

Roma, 22 luglio 2021

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