Un'altra riflessione di musica sacra del Maestro Porfiri.
Il brano in fondo al post.
Luigi
17 Giugno 2021, Marco Tosatti
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DOLCE CUOR DEL MIO GESÙ (Gaetano Capocci)
L’ottocento musicale sacro non è terreno molto battuto dai musicologi. Se questo è vero in generale ancora più vero per quello italiano e in specie romano. Questo è dovuto a varie ragioni, non ultima la damnatio memoriae che fu fatta contro questi musicisti ai tempi della riforma della musica sacra successiva al Motu proprio di san Pio X del 22 novembre 1903. In effetti, in molta di questa musica era evidente un influsso del linguaggio della musica d’opera. San Pio X infatti affermava: “Fra i vari generi della musica moderna, quello che apparve meno acconcio ad accompagnare le funzioni del culto è lo stile teatrale, che durante il secolo scorso fu in massima voga, specie in Italia. Esso per sua natura presenta la massima opposizione al canto gregoriano ed alla classica polifonia e però alla legge più importante di ogni buona musica sacra. Inoltre l’intima struttura, il ritmo e il cosiddetto convenzionalismo di tale stile non si piegano, se non malamente, alle esigenze della vera musica liturgica”. Non v’è dubbio che la musica operistica non si adatta all’uso liturgico, nondimeno bisogna affermare che i musicisti che in quel secolo si dedicarono alla musica di Chiesa erano musicisti veri, di grande preparazione tecnica, quindi si deve dire che almeno la Chiesa si curava che la parte musicale fosse affidata a veri professionisti, non quello che accade oggi. Poi certo, come ho detto, il linguaggio dell’opera lirica e della musica profana (di alto livello) aveva pervaso tutto e questo andava corretto.
Fra i musicisti attivi a Roma una menzione particolare va fatta per Gaetano Capocci (1811-1898), attivo in molte chiese romane ma specialmente nella Patriarcale Basilica di san Giovanni in Laterano. Egli fu musicista di grandi capacità, considerato come il maestro per eccellenza, anche se oggi è praticamente dimenticato, come del resto tutti i suoi colleghi del suo tempo, fra cui valenti musicisti, che potrebbero avere almeno esecuzioni in sede concertistica, penso tra gli altri a Settimio Battaglia, Augusto Moriconi o Giovanni Aldega.
Tornando a Gaetano Capocci (a cui credo di essere l’unico ad aver dedicato un saggio musicologico presente nella raccolta pubblicata dall’Istituto di Bibliografia Musicale nella raccolta chiamata Tra musica e storia), bisogna dire che qualcosa della sua produzione, specie in lingua vernacolare, è sopravvissuta. Penso ad una canzoncina mariana, Nostra Signora del Sacro Cuore, ma soprattutto ad un altra canzoncina al Sacro Cuore di Gesù, Dolce Cuor del mio Gesù. Ritengo che nei canti popolari, Capocci avesse un dono particolare, pennellando piccoli gioielli che veramente posseggono una sana espansività popolare ma sempre circoscritta da una eleganza formale e da una cantabilità spontanea e scorrevole. Come ho detto, un poco questo canto era sopravvissuto, penso per esempio al coro del padre Giovanni Maria Catena, servita ed indimenticato maestro di canto. Un suo allievo divenuto celebre, il tenore Vittorio Grigòlo ha riproposto proprio questo canto di cui ci siamo occupati in una sua recente fatica discografica.
L’ottocento musicale romano attende una attenta riconsiderazione, al di fuori della pertinenza liturgica e con uno sguardo più ampio.