Pubblichiamo l'articolo di Paix liturgique france (vedi QUI originale) nella traduzione del nostro MS.
Foto dal profilo facebook.
Claudio
ANDREA
GRILLO, UNO DEGLI IDEATORI DELLA SOPPRESSIONE DEL SUMMORUM PONTIFICUM
INDAGINE
SUI NEMICI DELLA PACE NELLA CHIESA
Nella
nostra lettera 805 del 28 giugno 2021, abbiamo evocato l'offensiva condotta
contro il Summorum Pontificum da un gruppo di pressione che opera all'interno
della Curia e dell'episcopato italiano, a cui stava dando munizioni un
intellettuale impegnato, Andrea Grillo, professore di liturgia all'Università
romana di Sant'Anselmo. Abbiamo citato un importante articolo di questo autore,
"Il peccato dell'Ecclesia Dei si chiama Summorum Pontificum"
(http://www.cittadellaeditrice.com/munera/il-peccato-dellecclesia-dei-si-chiama-summorum-pontificum/),
che abbiamo pensato fosse utile riprodurre, poiché getta luce sui motivi di
coloro che stanno cercando oggi di distruggere, in una o più tappe, lo spirito
e la lettera del motu proprio Summorum Pontificum.
Chi è Andrea
Grillo?
Questo
laico sessantenne, sposato padre di due figli, con un dottorato in legge
all'Università di Genova e un dottorato in teologia all'Istituto di Liturgia di
Padova, molto in sintonia con il mondo episcopale italiano progressista, ha
fatto parte della Commissione della Cei incaricata di tradurre e adattare il
nuovo rito per il sacramento del matrimonio. È stato anche molto attivo nel
sostenere il cambiamento della morale familiare avvenuto durante il Sinodo
sulla famiglia e con l'esortazione Amoris laetitia (la sua trovata è che si
possono ottenere molte aperture se si fa attenzione a distinguere tra
matrimonio e famiglia…).
È
professore di teologia sacramentale presso la Pontificia Università di
Sant'Anselmo, situata sull'Aventino, e docente di teologia presso l'Istituto di
Liturgia Pastorale di Padova e presso l'Istituto Teologico di Ancona. Nel
piccolo ed estremamente bugniniano mondo dell'insegnamento liturgico in Italia,
è una personalità forte (è vicepresidente dell'Associazione degli insegnanti di
liturgia), anche se ha fama di intellettuale un po' ripetitivo. Il suo blog,
Come se non, è ospitato da Munera, «Giornale
Europeo della Cultura»: Andrea
Grillo (cittadellaeditrice.com). Si dice che sia ascoltato dal Papa.
Un articolo-programma
L'articolo che qui riproduciamo, del 21 gennaio 2019, è
molto militante, come tutti quelli di Grillo, e commenta la soppressione della
Commissione Ecclesia Dei, avvenuta pochi giorni prima, il 17 gennaio 2019, per
assorbimento nella Congregazione per la Dottrina della Fede. Vi sviluppa un
tema che è stato martellato nella Curia e nell'episcopato italiano dopo
l'elezione di Papa Francesco, quello dello scandalo rappresentato da questa
Commissione: avrebbe protetto l'esistenza di un mondo liturgico e dottrinale
parallelo alla Chiesa rinnovata dal Concilio.
Ma, a differenza degli ecclesiastici che non hanno osato
attaccare direttamente l'opera di Benedetto XVI, Grillo ha fatto un attacco
frontale al Summorum Pontificum. Un attacco che poi ha dato frutto e ha avuto
successo sfociando nei progetti attualmente sul tavolo.
Nel merito, Grillo sottolinea quella che è la forza e la
debolezza del Summorum Pontificum, cioè la sua affermazione che due forme
rituali (basate su due stati dottrinali notoriamente eterogenei) erano due
espressioni di una identica lex orandi. Di conseguenza, la comunione ecclesiale, nota Grillo,
non è più basata su un'unica espressione della fede cattolica vissuta
attraverso la liturgia.
In un certo senso, Grillo ha ragione. È stata anche la
stessa scommessa di Benedetto XVI: da un lato, con questo compromesso,
assicurava la pace della Chiesa; dall'altro, sperava che alla lunga la
coesistenza di due riti successivi, descritti come "forme" parallele,
avrebbe contribuito a collegare il nuovo rito alla tradizione della Chiesa
attraverso un arricchimento reciproco (una punta di novità nella forma
tradizionale, prefazi, feste; una massiccia infusione di tradizione nella nuova
forma, significato della celebrazione, comunione, ecc.). Quanto al secondo
punto, Benedetto XVI è stato chiaramente irenico. Quanto al primo - la
pacificazione - aveva ottenuto un risultato evidente.
È proprio questa pacificazione che Grillo e i suoi amici
non sopportano, perché permette alla liturgia pre-Vaticano II di vivere e
prosperare, modestamente in termini assoluti, ma molto sensibilmente da un
punto di vista relativo, a causa del progressivo crollo nel nulla del mondo
"ordinario".
Da qui la sua semplice idea disciplinare (Grillo è un
giurista!): ridurre l'eventuale concessione del rito antico, a seconda delle
circostanze, a una tolleranza messa nelle mani dei vescovi (i quali vescovi
dovranno verificare che i fruitori della tolleranza non mettano in discussione
il Vaticano II). È un tocco geniale, bisogna dirlo: il Summorum Pontificum sarà
così assassinato sinodalmente!
E adesso…?
A Roma, però, e soprattutto sotto questo pontificato
atipico, non si decide mai nulla prima della pubblicazione di una nomina o
della promulgazione di un provvedimento. Fortemente spinta dalla Segreteria di
Stato, l'uscita di questo Motu Proprio "anti-Benedetto XVI" sarebbe
stata rallentata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Inoltre, come
abbiamo detto nella nostra lettera precedente, l'erezione di una parrocchia
personale per la Forma Straordinaria da parte dell'arcivescovo di Ferrara, 15
giorni dopo l'annuncio da parte del Papa del suo provvedimento, suggerisce che
non tutti i prelati italiani, anche quelli considerati progressisti, siano
d'accordo con l’attacco al Summorum Pontificum, che riaccenderà la guerra
liturgica. In conclusione, crediamo che se questo testo dovesse vedere la luce
[il presente testo, datato 15.7.2021, è anteriore di un giorno alla
pubblicazione di Traditionis
custodes - NdT], la
sua portata potrebbe essere limitata da una sorta di "non
accoglienza" da parte dei vescovi amici della Pace e della Carità (cioè
non solo dei "giuristi") e soprattutto dalla massa dei fedeli
tradizionali che, come abbiamo ricordato in una lettera precedente, oggi non
sono più disposti a sottomettersi a decisioni inique.
Il
peccato dell’Ecclesia Dei si chiama Summorum Pontificum
di Andrea
Grillo
Con la
soppressione della Commissione Ecclesia Dei, la Chiesa cattolica ha rimosso un
elemento di scandalo all’interno della Curia romana. Tuttavia, se guardiamo con
attenzione alla storia degli ultimi 12 anni, vediamo che lo scandalo era dovuto
alla citata Commissione solo in quanto “strumento”, ma il cuore della questione
e il principio della distorsione era costituito dal “Motu proprio” Summorum
pontificum, che ha introdotto un parallelismo di forme rituali all’interno
della vita della Chiesa, con la pretesa di non toccarne la dottrina e di non
minare la riforma liturgica. Le parole con cui viene motivata la soppressione
della Commissione chiariscono bene un dato sul quale vorrei soffermarmi: ossia
che le questioni di cui la Commissione avrebbe dovuto occuparsi, e che ora le
sono state sottratte, non erano di carattere disciplinare, ma di carattere
dottrinale. Questo, a mio avviso, determina la esigenza di riconsiderare con
urgenza la disciplina distorta e contraddittoria introdotta nel 2007 da
Summorum Pontificum.
Una
doppia ferita
Con quel
documento, infatti, si ripristinava l’uso del Messale di Giovanni XXIII (1962),
come “forma straordinaria” del rito romano. Questa ipotesi, dopo 12 anni,
appare viziata da due errori gravi, sia di carattere dottrinale, sia di
carattere giuridico.
Sul piano
dottrinale, era chiaro, già 12 anni fa, che il tentativo di separare la “forma
rituale” dalla Riforma liturgica e dalla Chiesa conciliare era votato al
fallimento. L’azzardo voluto da papa Benedetto XVI non avrebbe né avvicinato le
posizioni dei lefebvriani, né assicurato la fedeltà dei cattolici
tradizionalisti. E dopo 12 anni abbiamo potuto costatare proprio questo esito.
Ed è giusto riconoscere che la causa di tutto questo non è tanto la gestione
della Commissione Ecclesia Dei – che pure aveva assunto il ruolo di testa di
ponte tradizionalista nel cuore della Curia romana – quanto la normativa
distorta e contraddittoria di Summorum Pontificum che, di fatto, rende
superflua la riforma liturgica per coloro che aderiscono al Vetus Ordo, ossia:
- non
riconosce il dettato di SC sulla necessità di riforma dell’Ordo Missae,
permettendo di celebrare come se il Concilio non ci fosse mai stato;
-
scavalca la autorità episcopale in materia liturgica, rendendo irrilevante il
discernimento “in loco” e sostituendolo con quello della curia romana;
-
contraddice la ecclesiologia conciliare, perpetuando una logica clericale e
priva di partecipazione attiva.
L’adagio lex orandi lex credendi
In
secondo luogo, Summorum Pontificum, introducendo una “forma straordinaria”
dello stesso rito romano, capovolgeva la relazione tra dottrina e liturgia,
ipotizzando che la stessa “dottrina ecclesiale” potesse esprimersi in forme
rituali di cui una era la correzione dell’altra. In tal modo presumeva di far
dipendere la identità cattolica da una “definizione astratta”, che risultava
indifferente rispetto alla forma rituale e che poteva quindi esprimersi
indifferentemente nel NO o nel VO. Ora dobbiamo riconoscere, anche in base a
questo nuovo Motu Proprio del 19 gennaio 2018, che vi è in tutto questo una
questione dottrinale decisiva, e che non può essere disattesa.
La
pretesa che diverse comunità cattoliche possano essere fedeli al Concilio
Vaticano II e celebrare la liturgia secondo il VO non può più essere risolta né
con una decisione universale come Summorum Pontificum, né attraverso il
discernimento interessato di una Commissione come Ecclesia Dei. Se si ritiene
che una comunità possa, per ragioni contingenti, far uso di forme rituali
diverse dall’unico rito romano vigente, questa decisione deve essere presa dal
Vescovo locale competente, che può eventualmente concedere un “indulto”.
La soluzione “universale”, introdotta con una
forzatura dottrinale e giuridica da Summorum Pontificum, genera una chiesa non
“universa”, ma “introversa” e contraddice gravemente le decisioni del Concilio
Vaticano II, che ha chiesto esplicitamente la riforma di quel rito che Summorum
Pontificum vorrebbe rendere universalmente accessibile.
Questo è
il vero nodo della questione. Qui sta il peccato che ha portato alla
soppressione di Ecclesia Dei. E che dovrà condurre ad una ridefinizione della
disciplina, che restituisca alla questione dottrinale la sua centralità e ai
vescovi diocesani la competenza per ogni decisione che faccia eccezione alla
vigenza di un’unica forma del rito romano, così come voluta dal Concilio
Vaticano II e dalla Riforma liturgica ad esso successiva, che deve essere
riconosciuta “irreversibile” tanto sul piano dottrinale quanto sul piano
disciplinare.