"esiste infatti una falsa carità, fatta d'indulgenza colpevole, di debolezza, come la dolcezza riprovevole di quelli che non urtano alcuno perchè hanno paura di tutti. V'è anche una pretesa carità fatta di sentimentalismo umanitario che cerca farsi approvare da quella vera e che spesso contamina col suo contatto.
Uno dei principali conflitti dell'ora attuale è quello che sorge fra la vera e falsa carità. Questo fa pensare ai falsi cristi di cui parla il Vangelo; essi sono assai più pericolosi quando si occultano che quando levano la maschera e si fanno conoscere per veri nemici della Chiesa. Optimi corruptio pessima, la peggiore corruzione è quella che intacca in noi ciò che v'è di migliore, la più elevata delle virtù teologiche. Il bene apparente che attira il peccatore è difatti tanto più pericoloso quanto è più elevato il bene di cui è un simulacro. Tale è l'ideale dei pancristiani i quali cercano l'unione delle chiese a detrimento della fede che una tale unione suppone.
Se dunque per stoltezza o viltà più o meno cosciente, quelli che dovrebbero rappresentare la vera carità approvano qua e là quello che contiene la falsa, ne può risultare un mala incalcolabile, più grande talvolta di quello che farebbero dei persecutori dichiarati, coi quali è manifesto che non possiamo più avere niente in comune"
Réginald Garrigou-Lagrange, Le tre età della vita interiore, vol 1, Edizioni Viverein,199 nota 12
Un altro magistrale articolo di Peter Kwasniewski.
QUI su MiL altri post sul Nostro.
Luigi
2 Luglio 2021 Marco Tosatti
Cari amici e nemici di Stilum Curiae, con grande piacere riceviamo e pubblichiamo il settimo (e ultimo) articolo del dott. Peter Kwasniewski sulla dottrina sociale della Chiesa. Ringraziamo Carlo Schena per il lavoro di traduzione, e la costanza dell’impegno. Buona lettura.
Venga il suo regno: La Dottrina Sociale della Chiesa Cattolica
Parte VI – La Regalità di Cristo, fonte e culmine dell’ordine sociale
Questo articolo è apparso per la prima volta nell’edizione cartacea di ottobre 2020 di Catholic Family News e ripreso il 25 ottobre 2020 dal sito online della medesima testata, alla vigilia delle elezioni americane di novembre e della grande controversia che ne è seguita. Acquista oggi nuova rilevanza per il nostro contesto nazionale, in cui il Parlamento discute di una legge che vorrebbe pervertire l’ordine naturale, traviando ulteriormente le menti più giovani, e perseguire ogni dissenso rispetto a degenerazioni tante volte condannate dalla Chiesa, e sempre e in eterno condannate dalla legge della natura umana.
Sul sito del dott. Tosatti trovate ora la serie completa di articoli del dott. Kwasnieski sulla Dottrina Sociale della Chiesa:
Parte I: Introduzione
Parte II: Gerarchia contro egualitarismo
Parte III: Libertà contro licenza
Parte IV: La proprietà privata è un diritto assoluto? Non secondo la Chiesa
Parte V: La disputa tra distributisti e capitalisti
Parte VI: La religione nella sfera pubblica
Questa serie di articoli sulla Dottrina Sociale della Chiesa ha spaziato tra molti argomenti da quando è incominciata, nell’aprile 2020. Il mondo, nel frattempo, è sembrato voler dimostrare ancora una volta la verità di questi sani principi, mostrando ciò che accade quando essi sono visibilmente assenti. Si avvicinano delle elezioni presidenziali in cui la posta in gioco è impensabilmente alta. Anthony Esolen ha identificato in questi termini i limiti della scelta dinnanzi a noi (nonché l’ovvietà di ciò che dovremo fare):
“Non è poi un grande elogio dire di un partito politico che esso non è totalmente dominato da una pazzia demoniaca. Ma le cose stanno così. Un partito promette di perseguitarti se oserai dire qualcosa contro le più infernali follie. L’altro partito no. Un partito vorrebbe vincolare la Chiesa e imbavagliarne i preti. L’altro partito, per ora, no. E che dire del popolo americano, e delle sue case ormai pressoché in decomposizione? Nulla di duraturo può essere realizzato se non ricostruiamo su solide fondamenta. Ogni scelta pragmatica deve rapportarsi con i grandi principi”.
Ripercorriamo i nostri passi
Nel primo articolo di questa serie ho dimostrato che la Chiesa ha il diritto di insegnare su questioni di etica sociale in campo politico, economico e culturale, perché la teologia morale abbraccia tutte le libere azioni dell’uomo, azioni che potranno essere virtuose o viziose, portando gli individui più vicini o più lontani dal loro unico fine ultimo, la Visione Beatifica, e le società più vicine o più lontane dal ruolo di supporto che dovrebbero svolgere nel conseguimento della perfezione umana in Cristo. In ogni caso, possiamo esser certi che la Chiesa è autorizzata a dare insegnamenti sull’etica sociale perché essa, di fatto, ha esercitato il suo Magistero lungo il corso dei secoli proprio in questo modo; e in quanto cattolici, noi impariamo dal Magistero, piuttosto che imporgli a priori le materie che può o non può affrontare.
Nella seconda puntata ho indagato la natura necessariamente gerarchica di ogni società, sia essa la famiglia, lo Stato o la Chiesa; e evidenziato come la concezione cristiana dell’uguaglianza, che ha fatto di più per liberare il mondo dalla schiavitù di quanto qualsiasi altro ideale o istituzione abbia mai fatto o potuto fare, sia al contempo incompatibile con l’egualitarismo tipico della modernità. La divisione in classi è un elemento inevitabile della società civile, ed esse sono in grado di lavorare insieme per il bene comune. Dal momento che il mantra illusorio delle moderne rivoluzioni politiche è “Liberté, Égalité, Fraternité”, la parte terza ha spiegato come la vera libertà, la libertà dei figli di Dio di tendere, nella verità, alla perfezione e alla felicità, sia cosa diversa dalla licenziosità che conduce alla miseria e al nichilismo. Il rapporto tra legge e libertà non ha nulla a che vedere con l’idea distorta che agli uomini di oggi è stata imposta con un vero e proprio lavaggio del cervello. Una legge buona, infatti, protegge e alimenta la facoltà del libero arbitrio, guidandolo lungo il cammino di una retta crescita verso la maturità, fino al punto in cui l’uomo desidera il bene e lo abbraccia liberamente. Dal momento che il libero arbitrio, nella condizione dell’umanità decaduta, porta sempre con sé l’esperienza del male, si pone il problema della tolleranza del male. Abbiamo visto che la Chiesa possiede una saggia comprensione dell’equilibrio tra la tolleranza dei mali che non possono essere immediatamente sradicati e il cedimento a una mentalità relativista che rifiuta di condannare i mali e di lavorare con prudenza alla loro rimozione.
Affrontati questi temi più politici, la quarta e la quinta puntata hanno approfondito questioni economiche assai dibattute le quali, dopo tutto, hanno profonde implicazioni politiche: la natura della proprietà privata nel suo rapporto con il bene della famiglia e il bene comune della più ampia società, e il ripetuto appello della Chiesa per una più equa distribuzione delle ricchezze della creazione, cosicché nessuno abbia a soffrire della miseria più disperata mentre un altro va all’ingrasso con le eccedenze (una situazione di cui fin troppo facilmente si approfittano il socialismo e il comunismo). In particolare, ho cercato di mostrare come il distributismo traduce l’insegnamento del magistero in scelte politiche pratiche tese ad aumentare gradualmente la disponibilità di proprietà privata senza richiedere violenti sconvolgimenti o la necessità di espandere la proprietà dello stato. Senz’altro i capitalisti incalliti non si convinceranno mai, ma gli sforzi per spiegare che ci sono alternative reali all’oligarchia plutocratica non sono vani. Prima o poi, la nostra civiltà decadente collasserà e un’altra dovrà prendere il suo posto. Forse, a quel punto, il distributismo troverà il suo posto nella ricostruzione di un mondo cristiano sulla terra bruciata dell’ateismo postmoderno.
La sesta puntata ha trattato una categoria più ampia della politica o dell’economia, vale a dire l’ambiente culturale da cui emergono i regimi politici e le pratiche economiche. Gli uomini sono animali politici che esprimono il loro mondo interiore nelle loro azioni esteriori, nei prodotti, nelle strutture e nei sistemi. Uomini religiosi, se fedeli alla loro religione, generano necessariamente società che sono religiose, e ciò include sistemi di governo e di mercato, nelle loro attività quotidiane. In altre parole, un governo cristiano, e un mercato che privilegi i beni veramente umani rispetto ai “beni” inumani o anti-umani, sono naturali conseguenze di una Fede veramente creduta e vissuta. Quella sintesi di cultura cattolica che fu la Res Publica Christiana europea è la maggiore prova ed esempio di questo processo, ma lo stesso si può notare, nel corso della storia dell’occidente, in vari tempi e in vari luoghi, sia pure in scala più modesta. Peccheremmo di una forma di disperazione se cedessimo allo sconforto di fronte alla crescente ostilità non solo verso la Chiesa cattolica, ma anche verso la legge naturale e la ragione umana, poiché dovremmo essere in grado di vedere, con fede soprannaturale, che quanto più la verità è respinta, tanto più i suoi nemici patiranno deformazione e dissoluzione; e quanto più noi stessi la viviamo e la difendiamo, tanto più il nostro sudore e, se Dio lo vorrà, il nostro sangue, saranno il seme di una futura cultura cattolica dalla quale potrà sorgere, a tempo debito, uno Stato confessionale. “Ecco, la mano del Signore non è troppo corta per salvare, né il suo orecchio troppo duro per udire” (Is 59:1).
Conquistare la vetta
In questo articolo finale, possiamo fare un passo indietro e guardare alla Dottrina Sociale della Chiesa da una prospettiva più alta e completa, ritornando a ciò che è il suo punto di partenza e di arrivo, la Regalità di Cristo. Uno degli insegnamenti più veri, più citati, ma, ahimè, meno seguiti del Concilio Vaticano II (1962-1965) è che la Santa Eucaristia è “la fonte e il culmine della vita cristiana” (cfr. Sacrosanctum Concilium § 10) – o, secondo un’altra traduzione, “fonte e apice” (Lumen Gentium §11). Con una perfetta analogia, possiamo dire che la regalità di Cristo è la fonte e il culmine della famiglia e della società civile, nonché, spingendoci più in là, di ogni singola società umana. Gesù Cristo è il Dio-uomo da cui proviene tutta la realtà e a cui tutti gli esseri razionali dovranno tornare per essere giudicati, avendone così o la glorificazione o condanna. In quanto Verbo eterno di Dio e Immagine del Padre, “per mezzo di Lui tutte le cose sono state create “ (Credo Niceno-Costantinopolitano) – e ciò include la natura sociale dell’uomo, con tutte le sue conseguenze sul piano naturale e soprannaturale. Come insegna papa Leone XIII, la famiglia, come anche l’ordine civile, procedono da Dio e a Lui sono vincolati non meno di quanto lo siano i singoli individui.
Come sappiamo, il riferimento magisteriale per eccellenza a proposito della Regalità di Cristo è l’Enciclica di Papa Pio XI Quas Primas (11 dicembre 1925), che non solo illustrò questa verità a partire dalla Scrittura e dalla Tradizione, ma introdusse anche una festa in suo onore, una festa molto cara, da quasi un secolo, ai cattolici tradizionali:
“L’intenzione di Pio XI, come si evince dal capitolo “L’istituzione della festa di Cristo Re”, è quella di evidenziare la gloria di Cristo come punto di arrivo della sua missione terrena, una gloria e una missione visibili e perpetuate nella storia dai santi. Per questo motivo la festa cade poco prima della Festa di Ognissanti, per sottolineare che ciò che Cristo ha inaugurato nella Sua persona prima di ascendere nella gloria, i santi lo hanno nuovamente concretizzato e portato avanti nella società, nella cultura e nelle nazioni. È una festa diretta principalmente a celebrare la regalità permanente di Cristo su tutta la realtà, compreso questo mondo presente, in cui la Chiesa deve lottare per il riconoscimento dei Suoi diritti, la concreta estensione del Suo dominio a tutti i campi, individuali e sociali”. (trad. da Rorate Caeli, 22 ottobre 2014)
La neutralizzazione postconciliare di Cristo Re
Come hanno fatto notare Mons. Marcel Lefebvre (RIP), Michael Davies (RIP), Michael Foley, io stesso e molti altri autori tradizionalisti, Paolo VI modificò radicalmente la festa istituita da Pio XI, neutralizzandone per molti versi il significato. Anzitutto, la ha spostata all’ultima domenica dell’anno, dandogli una piega cosmica, da “fine del mondo”, come a dire: il Regno di Nostro Signore non entra nella storia permeandola, come il lievito, ma è rimandato alla fine dei tempi, quasi fosse un Deus ex machina. Il modello di lavoro non è un San Luigi IX re di Francia o un Santo Stefano re d’Ungheria, ma il “punto Omega” di Teilhard de Chardin.
In secondo luogo, Paolo VI rimosse dalla Messa e dall’Ufficio divino di quel giorno tutto ciò che si riferiva alla conversione delle nazioni e alla loro sottomissione alla Chiesa. Ancora una volta è bene ribadire, come ho spiegato nella scorsa puntata, che non parliamo di una teocrazia, ma di un corretto ordine tra Chiesa e Stato in virtù del quale, insegna Leone XIII, la prima sta al secondo come l’anima sta al corpo e, Pio XII aggiunge, la prima illumina il senso del diritto naturale di modo che il secondo possa tradurlo al meglio in diritto civile. Consideriamo queste strofe dell’inno Te saeculorum Principem, scritto nel 1925 dal gesuita p. Vittorio Genovesi:
“Te nationum praesides
Honore tollant publico,
Colant magistri, judices,
Leges et artes exprimant.
Submissa regum fulgeant
Tibi dicata insignia
Mitique sceptro patriam
Domosque subde civium”.
(I capi delle nazioni / Ti esaltino con onore pubblico; i governanti e i giudici Ti adorino, le leggi e le arti Ti esprimano. Possano le obbedienti insegne dei re risplendere quando dedicate a Te; soggioga sotto il Tuo mite scettro la patria e le case dei cittadini.)
Nella seconda strofa, il versetto Scelesta turba clamitat / Regnare Christum nolumus (L’empia folla grida: non vogliamo che Cristo regni) ricollega il rifiuto della Regalità di Cristo con il rifiuto, tragicamente dispiegatosi di fronte a Ponzio Pilato, della Sua missione di salvezza che culmina nella Croce e nella Risurrezione; nella ottava strofa, il secondo verso Qui scetra mundi temperas ([a Te] che governi gli scettri del mondo) ci ricorda che in realtà Cristo è, anche in questo istante, il Signore dei signori del mondo, sia che essi Lo riconoscano in questa vita, sia che siano poi costretti a riconoscerLo in quella a venire. Queste strofe e questi versi riflettono l’antico paradigma teologico comune a Gregorio XVI, Pio IX, Leone XIII, San Pio X, Pio XI e a molti altri papi; un paradigma che il Vaticano II alla fine respinse nella Dignitatis Humanae (Dichiarazione sulla libertà religiosa). Così, quando pochi anni dopo fu pubblicata la Liturgia Horarum, le strofe sei e sette, riportate più sopra, furono semplicemente omesse, e gli altri versetti citati furono sostituiti con materiale più “politicamente corretto”. È un episodio assolutamente vergognoso, uno dei tanti che si riscontrano nella c.d. “riforma” liturgica.
Come ho notato altrove a proposito di questo argomento:
“C’è del materiale comune, ovviamente, tra la nuova festa ideata dal Consilium e la festa originaria istituita da Pio XI, tuttavia non si è voluto affatto riproporre la stessa festa [ma soltanto] in una domenica diversa. […] Mi sembra che l’originaria festa di Cristo Re rappresenti la visione cattolica della società come gerarchia, in cui l’inferiore è subordinato al superiore, e in cui la sfera privata e la sfera pubblica sono unite nel riconoscimento dei diritti di Dio e della sua Chiesa. Questa visione è stata messa da parte nel 1969 per far posto a una visione in cui Cristo è un re del mio cuore e un re del cosmo – cioè del livello più microscopico e del livello più macroscopico – ma non è il re di nulla che sta nel mezzo: non è il re della cultura, della società, dell’industria e del commercio, dell’istruzione, del governo civile”.
Non sarebbe un’esagerazione dire che se rifiutiamo la regalità di Nostro Signore rispetto a qualsiasi dettaglio della nostra vita personale e sociale – se teniamo per noi un qualsiasi pezzetto dicendo “questo campo è nostro e nostro soltanto; non abbiamo alcun re su di esso!” – allora teoricamente stiamo già rifiutando Dio; e questo rifiuto, dapprima impercettibile e astratto, porterà ben presto a rifiutarlo anche nell’ordine pratico. Dio è uno, e la realtà è una: non è possibile biforcare la vita in ciò che appartiene a Lui e ciò che appartiene a noi.
“La primissima espressione della Regalità di Cristo sull’uomo si trova nella legge morale naturale che viene da Dio stesso; l’espressione più alta della Sua Regalità è la sacra liturgia, dove gli elementi materiali e il cuore stesso dell’uomo vengono offerti a Dio in unione con il divino Sacrificio che redime la creazione. Oggi assistiamo all’autodemolizione della Chiesa sulla terra, certamente nelle nazioni occidentali, dal momento che sia i fedeli che i loro pastori fuggono e si nascondono dalla realtà della Regalità di Cristo, che pone così grandi esigenze alla nostra natura decaduta eppure promette benedizioni così immense nel tempo e nell’eternità. L’incessante messa in discussione della dottrina morale fondamentale (soprattutto in materia di matrimonio e famiglia), il continuo annacquamento della teologia e dell’ascesi, la devastazione della liturgia stessa: tutti questi sono altrettanti rifiuti dell’autorità di Dio e del Suo Cristo”. (trad. da OnePeterFive, 25 ottobre 2020)
Dobbiamo tornare ad acclamare Cristo come Re
Dovremmo essere profondamente grati a Mons. Viganò per aver richiamato la nostra attenzione, ancora una volta, sulla necessità urgente che Cristo sia acclamato ancora una volta come nostro Re, anzitutto e primariamente dalla Chiesa stessa (vedi qui e qui). Perché non inganniamoci: anche se Dignitatis Humanae fosse stata concepita come un insegnamento sullo Stato moderno e secolare, divenne ben presto, per una sorta di effetto riflesso, un insegnamento sulla Chiesa modernizzata e secolarizzata. Era la Chiesa, ora, che non poteva più proclamare inequivocabilmente Cristo come l’unico e il solo Salvatore del genere umano; era la Chiesa che non poteva più andare in tutto il mondo per convertire ebrei, musulmani, protestanti o pagani; era la Chiesa che doveva inginocchiarsi, non davanti al Re dei re, ma davanti a presidenti e parlamenti, davanti alle organizzazioni internazionali e ai vertici ambientalisti. La débâcle del COVID-19 ha chiarito ogni dubbio residuo che questo è stato l’effetto, voluto o meno, della detronizzazione sociale di Cristo: la Sua detronizzazione spirituale nella Chiesa.
“I cattolici si rendono conto di come siamo arrivati a una situazione in cui milioni di bambini non ancora nati vengono uccisi ogni anno nel grembo materno, e la gente pensa che uomini possano sposare uomini, o donne donne? Ciò non è accaduto dall’oggi al domani, come risultato di una valanga di denaro e di pressioni politiche. È il culmine di un lungo processo storico, l’applicazione via via più accelerata di un processo di rivolta contro i principi primi della natura e della grazia: incominciato con la rivolta protestante contro l’autorità ecclesiastica e la sacra tradizione, ha trovato il suo paradigma nella Rivoluzione francese e il suo rifiuto dell’autorità temporale e della tradizione umana, scivolando poi verso quel rifiuto, proprio della Rivoluzione Sessuale, della corresponsabilità sociale e dell’autocontrollo. […]
Se la Regalità di Cristo non viene compresa come avente profonde ramificazioni politiche ed economiche, ramificazioni immediate e inderogabili per tutta l’umanità, ivi inclusi gli americani, allora essa non viene compresa affatto. O meglio, essa è stata addomesticata, le sono stati tolti zanne e artigli dallo Stato moderno auto-idolatra: un cattolicesimo reso innocuo come una vaga spiritualità, a cui nessuno può obiettare fintanto che non ha conseguenze pratiche sul mondo. Questa “religione del volemose bene”, puramente soggettiva, non è la confessione incarnazionale del Figlio di Dio da parte della Chiesa di Dio, che si estende dal primo Adamo fino all’ultimo uomo prima dei sette squilli di tromba; e faremmo bene a sputarla come il veleno che è, senza pretendere che possa esserci un accordo tra Cristo e Belial (cfr. 2 Cor 6,14-17). L’unico antidoto è la Dottrina Sociale della Chiesa – tradizionale, autentica, sostanziosa, sacramentale, incarnazionale – che ha trovato la sua espressione classica e più piena nel magistero di Leone XIII”. (trad. da OnePeterFive, 8 febbraio 2018)
Ancora una volta torniamo a Leone XIII, il “papa della questione sociale”, ma che in realtà è stato molto di più: è stato il papa che ha avuto successo nel portare la Chiesa in un dialogo con la modernità – a differenza di quanto fatto dal Concilio Vaticano II , che col Modernismo ha messo la Chiesa in uno stato di dhimmitudine. L’approccio di Leone XIII non avvenne, però, nello stile di papa Francesco, ma piuttosto di san Francesco, che marciò dritto nel campo nemico (islamico) e iniziò a predicare il Vangelo di conversione per la salvezza delle anime. E per quanto non ebbe successo, fece però ben capire la sua posizione, e si guadagnò un riluttante rispetto per il suo coraggio. La verbosa e mondana enciclica di Francesco, Fratelli Tutti, sparisce davanti alla dottrina pura e luminosa di Leone XIII nella Humanum Genus.
Conclusione
Sappiamo dove trovare le sorgenti incontaminate della Dottrina Sociale della Chiesa; ora sta a noi di abbeverarvici intensamente e di trarne forza. L’unico fondamento su cui oggi possiamo costruire è la chiarezza della verità, proclamata per amore delle anime. La conversione, la cristianizzazione delle nostre società non sarà facile; sono state vaccinate, per così dire, contro Cristo. Il nostro compito, in ogni caso, è piuttosto semplice: dare esempio dei buoni frutti che vengono dall’abbracciare Lui come la Verità, aiutare in ogni modo possibile il nostro prossimo ad avvicinarsi a Lui, ed essere pronti a soffrire, usque ad sanguinem, qualora il Nuovo Ordine Mondiale ci chieda di calpestare l’immagine del nostro Re Crocifisso e Glorioso.