Vi proponiamo un interessante contributo di Angelo Pellicioli, coordinatore del Comitato permanente per il Rinnovamento liturgico nella Fede, sul senso della tradizione liturgica e sul rispetto per la sua sacralità.
L.V.
Il mondo moderno cammina veloce. Procede talmente spedito che non ha tempo per soffermarsi a ricordare il passato senza tener conto, in alcun modo, delle tradizioni che ne hanno sempre reso vivo il ricordo nel corso dei secoli.
Una riflessione approfondita sull’argomento ci induce a considerare se sia giusto o meno cancellare, senza troppi indugi e riguardi, il tempo passato per dare sempre più spazio ad un presente tecnologico, tanto labile quanto vuoto ed insicuro, che ci sta di fatto introducendo in un futuro pieno di dubbi e di incertezze.
La velocizzazione in essere sembra aver avuto il sopravvento anche riguardo agli usi ed ai costumi, fino a coinvolgere l’ambito religioso, ricco di secoli e secoli di storia e tradizione ecclesiale, arrivando persino ad investire la liturgia ed i sacri riti che la contraddistinguono.
Ogni giorno la Chiesa, attraverso la celebrazione della Santa Messa, ci ricorda, da due millenni, l’ultima cena di Gesù, l’istituzione della Santa Eucaristia nonché la Sua passione, morte e risurrezione. Diamo atto che tali eventi straordinari sono potuti giungere fino ai nostri giorni solamente attraverso la sacra tradizione, la quale ne ha tenuto vivo e fecondo il ricordo.
In buona sostanza la Chiesa ha potuto procedere all’evangelizzazione dei popoli solo in forza del ricordo (che è stato tramandato) sia delle parole pronunciate da Gesù durante la sua permanenza terrena sia dei fatti che lo hanno visto protagonista.
È solo quindi grazie alla tradizione sacra se tale ricordo è potuto giungere fino a noi, fedeli degli anni duemila.
Non per nulla il Magistero ecclesiale, nel corso dei secoli, ha rinsaldato tali avvenimenti costruendo, passo dopo passo, una minuziosa quanto precisa tradizione liturgica in grado di rappresentare degnamente gli accadimenti avvenuti duemila anni orsono. Lo ha fatto con parole, gesti, paramenti e vasi sacri, nonché con musiche appropriate, ammantando il tutto con quella sacralità consona all’importanza degli accadimenti commemorati.
Considerato ciò, facciamo veramente fatica a constatare come la Chiesa, nel corso degli ultimi sessant’anni, abbia potuto stravolgere completamente l’atavica Liturgia delle funzioni sacre fino a farla divenire un evento di routine, metodico, scialbo e privo di un vero significato. In buona sostanza la Chiesa ha ora rinunciato ad attribuire alla Liturgia quel carattere essenziale che la contraddistingue: la sacralità; la quale, essendo insita in essa, ne costituisce, per contro, un tutt’uno inscindibile. Non può esistere, infatti, Liturgia senza sacralità. E neppure viceversa.
Viene così da chiedersi se fosse proprio necessario stravolgere, in modo così inopportuno, una liturgia bimillenaria, nascondendosi dietro il paravento di un (falso e pretestuoso) rinnovamento conciliare ritenuto tale solo da religiosi e laici sedicenti progressisti; i quali continuano a sostenere, attraverso libere interpretazioni dei suoi effettivi dettami, i loro scopi ed interessi.
Tanto per fare un esempio, occorre osservare che negli scritti conciliari non si trova traccia del fatto che la Santa Comunione possa essere somministrata, di norma, sulle mani e stando in piedi, anziché in bocca e genuflessi. I dettami del Concilio statuiscono infatti che la somministrazione sulle mani possa sì avvenire, ma solo in precisi casi e a determinate condizioni; pertanto tale modo di somministrazione costituisce un’eccezione e non certo la regola. Quindi quanto avviene d’abitudine oggi non è altro che il risultato di tendenziose interpretazioni del disposto conciliare.
Ed ancora: sta forse scritto, in qualche testo del Vaticano II, che l’assemblea dei fedeli partecipanti alla Santa Messa venga ad assumere un ruolo primario durante la celebrazione della medesima, tale da offuscare e snaturare il rapporto diretto intercorrente fra il celebrante e Gesù crocifisso che si immola quotidianamente sull’altare? No, non si trova cenno nemmeno di ciò nei disposti conciliari.
L’aver sostituito il termine «popolo» con quello di «assemblea» non significa di certo aver attribuito a quest’ultima di un’importanza maggiore di quella che normalmente le spetta durante la celebrazione della Santa Messa.
Si noti, inoltre, che la liturgia vetus ordo è impostata in modo tale che esiste un solo asse nella celebrazione delle sacre funzioni: asse che, partendo dai fedeli, raggiungeva il sacerdote e da questi si prolungava fino a Cristo crocifisso; con il risultato che (essendo ancora l’altare rivolto verso Cristo e non verso i fedeli) sia il celebrante che il popolo (e non già l’assemblea) fossero tutti rivolti nello stesso senso, meglio ancora se ad orientem.
Banalità? Segni di altri tempi non più proponibili? Sicuramente no, ma solo pieno rispetto per quanto si va a celebrare nel ricordo dei Sacri Misteri della fede: Incarnazione, Passione, Morte e Resurrezione di Gesù.
Non per nulla Papa Benedetto XVI ha sempre auspicato la nascita di un movimento (le «minoranze creative») di riscoperta della liturgia; movimento di concretezze e legato ad un semplice principio: riscoprire con venerazione la ricchezza della nostra ritualità tradizionale, attingendo senza preconcetti anche all’antico per infondere maggiore autenticità e vitalità alle forme un po’ bistrattate della riforma liturgica post conciliare.
Il Concilio non è quindi da intendersi come diga separatrice fra un «prima» e un «poi» nella Chiesa. Essa, infatti, non ha né un prima né un dopo, ma è dotata di un continuum che inizia dalla sua nascita e che durerà fino alla fine dei tempi. E questo non lo ha certo sancito alcun Concilio, ma lo ha riferito esplicitamente Gesù a Pietro.
Angelo Pellicioli
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