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mercoledì 7 aprile 2021

Le Sante Messe del tempo pasquale in dom Prosper Guéranger #6 mercoledì di Pasqua

Continuiamo le meditazioni liturgiche tratte dall’Année Liturgique di dom Propser Guéranger (Le Mans 1841-1866) per il tempo pasquale: mercoledì di Pasqua.

L.V.

MERCOLEDÌ DI PASQUA

La Stazione

A Roma la Stazione è nella Basilica di San Lorenzo fuori le mura. È il principale dei numerosi santuari che la città santa ha consacrato alla memoria del suo martire più illustre, il corpo del quale riposa sotto l’Altare Maggiore.
I neofiti in questo giorno venivano condotti presso la tomba di questo generoso atleta di Cristo per attingervi uno schietto coraggio nella confessione della fede e una invincibile fedeltà al loro battesimo. Durante interi secoli il riceverlo fu come un impegnarsi al martirio: in tutti i tempi è un arruolamento nella milizia di Cristo, che nessuno può disertare senza incorrere nella pena dei traditori.

MESSA

EPISTOLA (Atti 3, 12-19) – In quei giorni Pietro disse al popolo: «Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio dei nostri padri ha glorificato il suo servo Gesù, che voi avete consegnato e rinnegato di fronte a Pilato, mentre egli aveva deciso di liberarlo; voi invece avete rinnegato il Santo e il Giusto, avete chiesto che vi fosse graziato un assassino e avete ucciso l’autore della vita. Ma Dio l’ha risuscitato dai morti e di questo noi siamo testimoni. (…) Ora, fratelli, io so che voi avete agito per ignoranza, così come i vostri capi; Dio però ha adempiuto così ciò che aveva annunziato per bocca di tutti i profeti, che cioè il suo Cristo sarebbe morto. Pentitevi dunque e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati».

Ancora oggi noi sentiamo la voce del Principe degli apostoli proclamare la Risurrezione dell’Uomo-Dio. Quando pronunciò questo discorso era accompagnato da san Giovanni e aveva appena compiuto il suo primo miracolo presso una delle porte del tempio di Gerusalemme: la guarigione di uno storpio. Il popolo si era radunato intorno ai due discepoli ed era la seconda volta che Pietro prendeva la parola in pubblico. Il primo discorso aveva portato al Battesimo ben tremila uomini: con questo ne conquistò cinquemila. L’Apostolo, nelle due presenti occasioni, esercitò effettivamente la sua missione di pescatore di uomini, che il Salvatore gli aveva assegnata fin dal principio, quando lo vide per la prima volta.
Ammiriamo con quanta carità san Pietro invita gli Ebrei a riconoscere in Gesù il Messia che essi attendevano; quegli stessi Ebrei che l’avevano rinnegato. Come cerca di rassicurarli per il perdono, riversando una parte della colpa di quel delitto sulla loro ignoranza! Essi hanno chiesto la morte di Gesù, umiliato e debole: consentano almeno oggi, che è glorificato, a riconoscerlo per quello che è; e il loro peccato sarà perdonato. In una parola, che essi si umilino e saranno salvi.
Dio così chiamava a lui gli uomini retti, gli uomini di buona volontà; e continua a farlo anche ai nostri giorni. Gerusalemme ne fornì un certo numero, ma la maggior parte respinsero l’invito.
Avviene lo stesso al tempo nostro: preghiamo e chiediamo continuamente che la pesca sia sempre più abbondante e il banchetto pasquale sempre più numeroso.

VANGELO (Gv 21, 1-14) – In quel tempo Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberiade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso, detto Dìdimo, Natanaèle di Cana in Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma in quella notte non presero nulla. Quando già era l’alba Gesù si presentò sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non potevano più tirarla su per la gran quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si cinse ai fianchi il camiciotto, poiché era spogliato, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: infatti non erano lontani da terra se non un centinaio di metri. Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso or ora». Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si spezzò. Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», poiché sapevano bene che era il Signore. Allora Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede a loro, e così pure il pesce. Questa era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risuscitato dai morti.

Il mistero della pesca miracolosa

Gesù la sera del giorno di Pasqua era apparso ai suoi discepoli, mentre stavano riuniti insieme; tornò a mostrarsi otto giorni dopo, come diremo tra poco. Il Vangelo di oggi ci racconta una terza apparizione, a sette soltanto dei suoi discepoli, che ebbe luogo sulle sponde del lago di Genezaret, chiamato anche il mare di Tiberiade per le sue vaste proporzioni.
Nulla di più commovente della gioia rispettosa degli apostoli alla vista del Maestro, che si degna di servir loro quel pasto. Giovanni, per primo, ha sentito la presenza di Gesù: non ce ne meravigliamo; la sua grande purezza illumina l’occhio dell’animo. Sta scritto: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt 5, 8). Pietro si getta tra le onde per far più presto per arrivare presso il suo Maestro; si riconosce subito l’Apostolo, impetuoso, ma che ama più degli altri. Quanti misteri si incalzano in questo ammirevole avvenimento!

I fedeli

C’è prima di tutto la pesca: è la missione di apostolato che svolge la Santa Chiesa. Pietro è il grande pescatore ed è lui che deve decidere quando e come si devono gettare le reti. Gli altri apostoli si uniscono a lui; e Gesù è con tutti: segue con l’occhio la pesca, la dirige, poiché il risultato ne è per lui. I pesci sono i fedeli. Come abbiamo già rimarcato altrove, nel linguaggio dei primi secoli il cristiano è spesso rappresentato da un pesce che esce dall’acqua, dove ha attinto la vita. Abbiamo visto poco fa quanto fu propizia agli Israeliti l’acqua del Mar Rosso. Nel nostro Vangelo troviamo ancora una volta il “Passaggio”: passaggio dall’acqua del lago di Genezaret alla mensa del Re del Cielo. La pesca fu abbondante; e qui v’è un mistero che non ci è ancora dato di penetrare. Solamente nel giorno che segnerà la fine del mondo, quando la pesca sarà completa, capiremo cosa simboleggiavano quei centocinquantatré grossi pesci. Questo misterioso numero significa, senza dubbio, altrettante frazioni della razza umana, successivamente convertite al Vangelo per mezzo dell’apostolato: ma non essendo ancora giunti alla fine del tempo, il libro rimane suggellato.

Gesù Cristo

Ritornati sulla riva, gli Apostoli si riuniscono al Maestro; ma ecco che trovano il pasto preparato per loro: un pane con un pesce arrostito sui carboni accesi. Qual è questo pesce che essi non hanno pescato, che è sottoposto al calore del fuoco e che dovrà servir loro di nutrimento all’uscire dall’acqua?
L’antica tradizione cristiana ci spiega quest’altro simbolo: il Pesce è Cristo, che è stato provato dai cocenti dolori della Passione, durante i quali l’amore, simile a fuoco, lo ha divorato. Egli è divenuto il divino alimento di coloro che sono stati purificati attraverso l’acqua. Abbiamo spiegato altrove perché i primi Cristiani avessero tenuto quale segno di riconoscimento la parola “pesce” scritta in greco¹: le lettere che la compongono, in quella lingua, riproducono le iniziali dei nomi del Redentore.
Ma Gesù vuole unire nella stessa mensa se medesimo, il Pesce divino, e gli altri pesci dell’umanità, che la rete di san Pietro ha pescato dalle acque. Il banchetto pasquale ha il potere di fondere in una medesima sostanza, per mezzo dell’amore, il cibo e i convitati, l’Agnello di Dio e gli Agnelli fratelli suoi; il Pesce divino e quegli altri pesci cui egli si è unito in una indissolubile fraternità.
Immolati con lui, lo seguono soprattutto nella sofferenza e nella gloria. Testimone ne è il grande diacono Lorenzo, che oggi vede radunato attorno alla sua tomba il felice stuolo dei fedeli. Imitando il suo Maestro fino sui carboni della graticola infuocata, ora divide in una Pasqua eterna gli splendori della sua vittoria e le gioie infinite della sua felicità.

La benedizione degli Agnus Dei

A Roma il mercoledì di Pasqua è celebre per la benedizione degli Agnus Dei. Questa cerimonia viene compiuta dal Papa nel primo anno del suo pontificato e, dopo, ogni sette.
Gli Agnus Dei sono dischi di cera sulla quale è impressa da una parte l’immagine dell’Agnello di Dio e dall’altra quella di qualche santo. L’uso di benedirli durante le feste di Pasqua è antichissimo; si crede averne trovate le tracce nei monumenti liturgici, fin dal V secolo; ma i primi documenti autentici rimontano solamente al IX secolo. Il cerimoniale che si usa adesso è del XVI secolo.
Si ha avuto dunque torto di dire che tale istituzione avvenne in memoria del battesimo dei neofiti, all’epoca in cui si cessò di amministrare questo sacramento in occasione della Pasqua. Sembra anche dimostrato che i nuovi battezzati ricevevano ciascuno un Agnus Dei dalle mani del Papa, nel Sabato di Pasqua; d’onde si deve concludere che l’amministrazione solenne del Battesimo e la benedizione degli Agnus Dei sono due riti che sono coesistiti durante un certo tempo.
La cera che si adopera nella confezione degli Agnus Dei è quella del cero pasquale dell’anno precedente, alla quale se ne aggiunge molta altra; anticamente vi si mischiava anche il Sacro Crisma. Nel Medio Evo l’incombenza di impastare la cera e di stamparvi le sacre impronte era affidata ai suddiaconi e agli accoliti di palazzo; oggi appartiene ai religiosi dell’ordine dei Cistercensi, che abitano a Roma nel monastero di San Bernardo.
La cerimonia ha luogo nel palazzo pontificio, in una sala dove si è preparato un grande bacile riempito di acqua benedetta. Il Papa si avvicina e, per prima cosa, recita questa preghiera:

Signore Iddio, Padre Onnipotente, Creatore degli elementi, conservatore del genere umano, autore della grazia e della salute eterna, Voi che avete ordinato alle acque che uscirono dal Paradiso di bagnare tutta la terra; Voi il cui unico Figlio ha camminato a piè fermo sulle acque e ricevuto il battesimo nel loro seno; ha poi sparso acqua mista a sangue dal suo sacratissimo costato e ha comandato ai suoi discepoli di battezzare tutte le nazioni: Voi siateci propizio e spargete la vostra benedizione su noi che celebriamo tutte queste meraviglie, affinché siano benedetti e santificati, per mezzo vostro, questi oggetti che noi immergeremo in queste acque, e che l’onore e la venerazione che porteremo loro meritino a noi, vostri servitori, la remissione dei peccati, il perdono e la grazia, finalmente la vita eterna con i vostri santi e i vostri eletti.

Il Pontefice, dopo queste parole, versa il balsamo e il Sacro Crisma sull’acqua del bacino, domandando a Dio di consacrarla per l’uso al quale essa deve servire. Poi, girandosi verso i cesti nei quali sono accumulate le impronte di cera, pronuncia questa preghiera:

O Dio, autore di ogni santificazione, la cui bontà ci accompagna sempre; Voi che quando Abramo, il padre della nostra fede, si disponeva a immolare il suo figliuolo Isacco per ubbidire al vostro ordine, avete voluto che consumasse il sacrificio per mezzo dell’offerta di un montone che un cespuglio aveva trattenuto; Voi che avete comandato, per mezzo di Mosè vostro servitore, il sacrificio annuale degli agnelli senza macchia, degnatevi, per la nostra preghiera, benedire queste forme di cera che portano l’impronta dell’innocentissimo Agnello, e santificarle mediante invocazione del vostro santo nome; affinché, per mezzo del loro contatto e della loro vista, i fedeli siano invitati alla preghiera, i temporali e le tempeste allontanate e gli spiriti maligni messi in fuga in virtù della Santa Croce che vi è impressa, davanti alla quale si piega ogni ginocchio e ogni lingua confessa che Gesù Cristo, avendo vinto la morte per mezzo del patibolo della croce, regna nella gloria di Dio Padre. È lui che essendo stato condotto alla morte come la pecora al macello, vi ha offerto, a Voi suo Padre, il sacrificio del suo corpo, affinché egli potesse ricondurre la pecora smarrita, che era stata sedotta dalla frode del demonio, e riportarla sulle sue spalle per riunirla al gregge della patria celeste. Dio onnipotente ed eterno, istitutore delle cerimonie e dei sacrifici della Legge, che acconsentiste a placare la vostra collera, nella quale era incorso l’uomo prevaricatore quando vi offriva le ostie d’espiazione; Voi che avete gradito i sacrifici di Abele, di Melchisedech, di Abramo, di Mosè e di Aronne; sacrifici che non erano che delle figure ma che, per vostra benedizione, erano resi santi e salutari per quelli che ve li offrivano umilmente; degnatevi di fare che, nella medesima guisa che l’innocente Agnello, Gesù Cristo vostro Figliuolo, immolato per volontà vostra sull’altare della Croce, ha liberato il nostro primo padre dal potere del demonio, così questi agnelli senza macchia che noi presentiamo alla benedizione della vostra maestà divina ricevano una virtù benefica. Degnatevi di benedirli, di santificarli, di consacrarli, di dar loro la virtù di proteggere quelli che li porteranno devotamente su di loro contro la malizia del demonio, contro le tempeste, la corruzione dell’aria, le malattie, i pericoli del fuoco e le insidie dei nemici e fare che essi siano efficaci per proteggere la madre e il suo frutto nei pericoli del parto. Per Gesù Cristo vostro Figliuolo, Signor nostro.

Dopo queste preghiere, il Papa, cingendosi di un telo, si siede presso il bacino. I suoi assistenti gli portano gli Agnus Dei; egli li immerge nell’acqua, raffigurando così il battesimo dei nostri neofiti. Alcuni prelati ve li ritirano poi e li depongono su tavoli coperti di teli bianchi. Allora il Pontefice si alza e pronuncia quest’altra preghiera:

Spirito Divino, che fecondate le acque e le fate servire ai vostri più grandi misteri, voi che loro togliete l’amarezza e le rendete dolci e che, santificandole, col vostro soffio, vi servite di esse per cancellare tutti i peccati per mezzo dell’invocazione della Santa Trinità; degnatevi benedire, santificare e consacrare questi Agnelli che sono stati gettati nell’acqua santa, e imbevuti del balsamo e del Sacro Crisma; che essi ricevano da voi la virtù contro gli sforzi della malizia del diavolo; che tutti quelli che li porteranno su di loro restino al sicuro; che non abbiano a temere alcun pericolo; che la cattiveria degli uomini non sia loro nociva; e degnate essere la loro forza e la loro consolazione.
Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio Vivente, che siete l’Agnello innocente, sacerdote e vittima; Voi che i Profeti hanno chiamato la Vigna e la Pietra angolare, voi che ci avete riscattati nel vostro Sangue e che di questo sangue avete marcato i nostri cuori e le nostre fronti, affinché il nemico, passando vicino alle nostre case, non ci colga col suo furore; Voi che siete l’Agnello senza macchia, la cui immolazione è continua; l’Agnello Pasquale divenuto, sotto le specie del Sacramento, il rimedio e la salvezza delle nostre anime; che ci conducete attraverso il male del secolo presente alla risurrezione e alla gloria dell’eternità; degnatevi benedire, santificare e consacrare questi agnelli senza macchia, che in vostro onore noi abbiamo formato di cera vergine e imbevuti dell’acqua santa, del balsamo e del sacro Crisma, onorando in essi la vostra divina concezione che fu l’effetto della Virtù divina. Difendete quelli che li porteranno su di loro dalle fiamme, dalla folgore, dalla tempesta, da ogni avversità; liberate, per mezzo loro le madri che sono nei dolori del parto, come voi avete assistito la vostra, quando vi dette alla luce; e nella stessa guisa che avete salvato Susanna dalla falsa accusa, la beata vergine e martire Tecla dal rogo e Pietro dai ceppi della prigionia, degnatevi di liberarci dai pericoli di questo mondo e fate che noi meritiamo di vivere con voi eternamente.

Gli Agnus Dei sono poi raccolti con rispetto per la distribuzione solenne che dovrà farsene il sabato seguente. È facile scorgere il legame che c’è tra questa cerimonia e la Pasqua: l’Agnello Pasquale vi è continuamente ricordato; allo stesso tempo l’immersione degli agnelli di cera offre un’allusione evidente con l’amministrazione del Battesimo, che formò, durante tanti secoli, l’interesse della Chiesa e dei fedeli in questa ottava solenne. Le preghiere che abbiamo dato più sopra, abbreviandole un poco, non sono molto antiche; ma i riti che le accompagnano mostrano sufficientemente l’allusione al Battesimo, anche se non vi si trova espressa direttamente.
Gli Angus Dei, per il loro significato, per la benedizione del Sommo Pontefice e la natura dei riti impiegati nella loro consacrazione, sono uno degli oggetti più venerati dalla pietà cattolica. Da Roma vengono distribuiti in tutto il mondo; e, molto spesso, la fede di coloro che li conservano con rispetto è stata ricompensata con dei prodigi.
Sotto il Pontificato di san Pio V, il Tevere straripò in una maniera spaventosa, minacciando di inondare parecchi quartieri della città: un Agnus Dei fu gettato nelle acque che si ritirarono subito.
Tutta la città fu testimone di questo miracolo; esso, più tardi, venne discusso durante il processo di beatificazione di questo grande Papa.

¹ ΙΧΘΥΣ = Iesùs Christòs Uiòs Sotèr (Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore).

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