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lunedì 29 marzo 2021

Sulla nomina dei vescovi la Cina fa tutto da sola. E il Papa si inchina

«Siccome qualsiasi ideologia - cioè, una teoria di fanatismo politico che promette il paradiso in terra - è illusoria, alla lunga le sue conseguenze saranno riconosciute come disastrose dalla maggior parte della gente; e poi, con l'aiuto di Dio, s'innescherà una sana reazione» 
(Russell Amos Kirk)

Mala tempora currunt.
QUI Tosatti.
Luigi

Settimo Cielo, 16-2-21

“Uno schiaffo sulla faccia del Vaticano”. È così che "Bitter Winter", il giornale on line numero uno al mondo nell’informare sulle religioni in Cina, presenta il testo integrale del nuovo direttorio emesso dall’Amministrazione statale per gli affari religiosi per raccogliere in un unico data-base tutte le informazioni sul personale religioso presente nel paese, e spingerne il controllo a un livello quasi orwelliano:


Nei 52 articoli del direttorio c’è di tutto. Ad esempio che la reincarnazione di un lama buddista deve essere autorizzata dal Partito comunità cinese.

Ma qui basti concentrare l’attenzione sull’articolo 16, quello che riguarda i vescovi cattolici, la loro nomina, la loro consacrazione, il loro riconoscimento ufficiale.

Il 22 settembre 2018 la Santa Sede e la Cina hanno firmato un accordo provvisorio e segreto sulla nomina dei vescovi, rinnovato per altri due anni il 22 ottobre 2020, accordo che papa Francesco – nel discorso dell’8 febbraio di quest’anno al corpo diplomatico – ha definito “essenzialmente pastorale”, con l’auspicio “che il cammino intrapreso prosegua, in spirito di rispetto e di fiducia reciproca, contribuendo ulteriormente alla soluzione delle questioni di comune interesse”.

Ma a leggere il direttorio ora pubblicato dall’Amministrazione statale per gli affari religiosi, di “pastorale” non c’è proprio nulla. Le modalità di nomina dei vescovi sono totalmente in pugno delle autorità di Pechino, tramite quel loro braccio operativo che è l’Associazione patriottica dei cattolici cinesi e quel falso simulacro di collegio episcopale che è la Conferenza dei vescovi cattolici cinesi, non riconosciuta da Roma.

La procedura parte da una “elezione democratica” del nuovo vescovo da parte della “comunità cattolica” del luogo, prosegue con la “approvazione” della nomina da parte della pseudoconferenza episcopale, approda alla sua “consacrazione” da parte di un vescovo allineato ed è coronata dalla registrazione ufficiale del neoeletto nel data-base che lo controllerà fino alla tomba.

E il papa? E la Santa Sede? Non una parola, come se non abbiano alcuna voce in capitolo.

Ecco infatti che cosa stabilisce l’articolo 16 del direttorio:

“I vescovi cattolici sono approvati e consacrati dalla Conferenza dei vescovi cattolici cinesi. L’Associazione patriottica dei cattolici cinesi e la Conferenza dei vescovi cattolici cinesi compileranno, entro venti giorni dopo la consacrazione del vescovo, il modulo per la classificazione di un vescovo cattolico e lo consegneranno per la registrazione all’Amministrazione statale per gli affari religiosi, fornendo i seguenti documenti:

“(a) Una copia dello stato di famiglia del vescovo e una copia della sua carta d’identità.

“(b) Una dichiarazione sull’elezione democratica del vescovo emessa dalla comunità cattolica della provincia, della regione autonoma oppure della municipalità che è sotto la diretta autorità del governo centrale.

“(c) Una lettera di approvazione della Conferenza dei vescovi cattolici cinesi.

“(d) Il certificato della consacrazione del vescovo firmato dal vescovo consacrante.

“Il modulo di registrazione dei vescovi cattolici sarà unicamente quello fornito dall’Amministrazione statale per gli affari religiosi”.

Il direttorio entrerà in vigore il 1 maggio prossimo. Posto il quale, niente fa presagire che il bilancio dell’accordo tra il Vaticano e la Cina sulla nomina di vescovi sarà migliore di quello fin qui registrato: