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mercoledì 3 marzo 2021

Note liturgiche: la questione dell' "oremus et pro perfidis judaeis"



 
Riportiamo dalla pagina Facebook dello Spigolatore Romano (vedi QUI), alcune documentate opinioni sui riti della Settimana Santa. Con la speranza che contribuisca al dialogo liturgico.

Claudio

SULLA QUESTIONE DELL' "OREMUS ET PRO PERFIDIS JUDAEIS"
Perfidus nel latino classico significa "sleale", "falso", "traditore" etc. Ma nel latino cristiano dei primi secoli, dei tempi cioè nei quali i due testi della Liturgia dei Presantificati della Feria Sexta in Parasceve furono creati, l'accezione è diversa. In san Cipriano (III secolo) ed in sant' Ambrogio (IV secolo) ad esempio il termine "perfidia" è usato col significato di "eterodossia, eresia", e quindi in senso lato anche per designare chi non ha fede in Cristo (Cypr. Ep- 72,2; Ambr. fid. 4.11.154). Pertanto, al di la' delle molte sfumature che i termini possono avere, noi dobbiamo intenderli nel significato del latino cristiano originario che constata una realta' (i Giudei non credono in Cristo), e non esprime un giudizio (i Giudei sono cattivi). Indubbiamente tale significato specificatamente cristiano s'e' smarrito coi secoli, e nelle traduzioni specialmente otto-novecentesche a volte (non sempre) "perfidus" si rende col termine italiano perfidia. Nel 1926 nacque una associazione clericale, Amici Israel, con l'intento di far abbandonare i toni polemici verso l'ebraismo, e tra le prime richieste fatte da tale associazione vi fu proprio quella di eliminare dalla liturgia del venerdì santo i termini "perfidis" e "perfidia". Pio XI pare fosse favorevole, e di studiare la questione fu incaricato l'abate benedettino di san Paolo fuori le mura, Ildefonso Schuster, favorevole pure lui. Arrivò però un durissimo parere del Sant'Uffizio il cui Segretario, il cardinale Merry del Val fu strettissimo collaboratore di san Pio X nella lotta al modernismo: il Sant'Uffizio non si soffermava tanto sui termini in questione quanto sul metodo che si voleva seguire: manomettere testi di riti antichissimi, ed ammoniva, molto saggiamente, che se si dava avvio a modificazioni liturgiche non ci si sarebbe fermati piu'. Il papa Pio XI dunque non toccò testi così antichi e venerandi, e provvide solo a sciogliere l'associazione con un atto nel quale si condannava, giustamente, l'odio contro il popolo ebraico:
«Come si riprovano tutti gli odii e tutte le animosità fra i popoli, così massimamente essa, la Santa Sede, condanna l’odio contro un popolo già eletto da Dio, quell’odio cioè che oggi volgarmente suole designarsi col nome di antisemitismo» (AAS, XX, 1928 , pag. 103 ).
In seguito la Congregazione dei Riti, interrogata in merito, affermo' che perfidus va inteso nel significato appunto di "non fedele" "che non crede in Cristo".
Nel 1959 Giovanni XXIII espunse "perfidus" e "perfidia". Nel 2008 Benedetto XVI riformulò totalmente i testi------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- Fin qui la storia. Ora qualche piccola riflessione. Va notato come tra il 1926 ed il 1959, cioè in una trentina d'anni, l'atteggiamento romano cambiò radicalmente, e se nel 1926 Pio XI si inchinò alla veneranda antichità dei testi in questione, forte pure dell'intervento del Sant'Uffizio che ammoniva sul pericolo di manomettere una liturgia (cosa invece che la Congregazione dei Riti era incline a fare) che vantava così remota antichità, nel 1959 Giovanni XXIII non si curò di tale antichità e senza pensarci molto pose le mani su testi talmente vetusti che ritroviamo identici già nel libro liturgico più antico che possediamo, cioè il Sacramentario Gelasiano (il quale pur essendo redatto nel VII-VIII secolo contiene testi del V secolo). Per inciso notiamo come il medesimo papa Roncalli manomise pure il Canone Romano, anch'esso di vetusta e veneranda antichità, per inserirvi un riferimento devozionale. In trent'anni cioè l'atteggiamento e la mentalità di rispetto e venerazione verso le tradizioni lasciò il posto a una mentalità di manomissione e quasi di insofferenza per esse. E così la liturgia, quasi spogliata delle sue vetuste e nobili vesti seriche, fu esposta, qual vergine ignuda, agli sguardi ed alle voglie di tutti coloro che desideravano mettergli le mani addosso. E così' si diede inizio allo stupro liturgico -invero già iniziato sotto Pio XII, proprio ad opera di quella Congregazione dei Riti nata col fine di conservare e difendere le antiche tradizioni liturgiche. e se necessario restaurarne l'antica bellezza e la dignità originaria- che raggiunse il culmine dell'aberrazione e dell'abominio nel 1969. Sull'onda di tale mania manipolatoria, che ha oramai invaso e colonizzato la mentalità cattolica, che vede in ogni tradizione un fardello dal quale liberarsi, Benedetto XVI, che pur disse, all'atto di presa di possesso canonico dell'Arcibasilica Lateranense, che "Il Papa non è un sovrano assoluto, il cui pensare e volere sono legge", agendo proprio da autocrate, per motivazioni estranee alla liturgia, nel 2008 riformulò completamente i testi in questione buttando via quelli consegnatici dalla tradizione.
Come abbiamo già detto altrove, noi non siamo contrari per principio alle modificazioni liturgiche: la liturgia si può modificare, ma solo ed esclusivamente se, dopo studi attenti e rigorosi, si giunge alla ragionevole certezza che un determinato rito o dettaglio del rito, o della sua eucologia è errato o giunto a noi in una forma meno nobile e bella di quella originaria (abbiamo altrove parlato della bruttezza della colletta di Pasqua manipolata ai tempi di san Gregorio Magno e in tal forma alterata giunta in uso fino a noi e della meravigliosa bellezza del testo originario presente nel sacramentario più antico che abbiamo). Ad esempio, nel Sacramentario Gelasiano, la preghiera per i Giudei è accompagnata, come tutte le altre preghiere del venerdì santo, dall'invito del diacono "flectamus genua", un invito invece in seguito scomparso. Si può ben "correggere" dunque il rito giunto in uso fino a noi riportandolo, anche su questo punto, alla forma originaria che non prevedeva eccezioni nell'inginocchiarsi ad ognuna delle "orationes sollemnes". Ma manomettere la liturgia per adattarla a criteri ad essa estranei, o anche solo smontarla e rimontarla come fosse un giocattolo, significa unicamente stuprarla. P.S. Va notato che tra le preghiere giornaliere dei Giudei vi compare una vera e propria maledizione verso i Cristiani "periscano in un istante i nazareni e gli apostati" e che nella tradizione ebraica postbiblica vi si trovano pure racconti blasfemi su Gesù Cristo. Questo per dire che anche dando al termine latino "perfidus" il significato di "sleale, falso e traditore" -che è comunque escluso- è sempre molto più benevolo di ciò che gli Ebrei dicono dei Cristiani e di Gesù Cristo stesso, e quindi la richiesta avanzata da Amici Israel (che contava migliaia di preti tra gli aderenti, compresi centinaia di vescovi e decine di cardinali; lo stesso abate di san Paolo fuori le mura, Ildefonso Schuster, ne faceva parte) nel 1926 non perseguiva un dialogo, ma rappresentava una sottomissione culturale senza senso e senza nessuna utilità, per nessuno, e costituiva un vulnus alla dignità della Liturgia, che all'epoca fu scongiurato, ma che in seguito fu realizzato da un papa, Giovanni XXIII tanto rispettoso verso tutto quanto irrispettoso verso le tradizioni cattoliche. E il pericolo individuato dal buono e dottissimo cardinale Merry del Val nel 1926, cioè che se si inizia a modificare la liturgia non ci si ferma più, ha trovato amplissima conferma nella storia degli ultimi decenni dove la liturgia è continuamente modificata, adattata, manomessa per adeguarla alle esigenze ritenute attuali, le quali, essendo sempre mutevoli, finiscono proprio per far mutare in continuazione pure la liturgia. La liturgia è un mistero in cui entrare, non una tela da tessere e disfare; è un mistero da comprendere e studiare, non un giocattolo da smontare e rimontare.

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