«Un culto consiste nel riunirsi per adorare - cioè il tentativo della gente di mettersi in comunicazione con una forza trascendente. È da quest'associazione nel culto, cioè dall'insieme dei credenti, che nasce la comunità umana. [...] Una volta riunita nel culto, la gente scopre la possibilità di cooperaare in molte altre cose. La coltivazione agricola sistematica, la difesa armata, l'irrigazione, l'architettura, le arti figurative, la musica, i mestieri più complessi, la produzione economica e la relativa distribuzione, le corti e il governo, sono tutti elementi di una cultura che emerge gradualmente dal culto e dal legame religioso. E soprattutto una rete di valori morali e di regole di condotta umana risulta dalle credenze religiose»(Russell Amos Kirk).
Dall'amico Valerio Pece una bella storia sulle origini dell'Università Cattolica. Ma può ancora definirsi Cattolica?
Luigi
Il Timone 14 marzo 2021,
Valerio Pece
Armida Barelli e la nascita prodigiosa dell’Università Cattolica del Sacro Cuore
Armida Barelli (1882-1952) sarà proclamata Beata. Papa Francesco ha autorizzato la promulgazione dei Decreti che porteranno agli altari la cofondatrice dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Colei che per moltissime donne della prima metà del ‘900 diventò la “sorella maggiore” ha avuto una vita spericolata, tutta da raccontare. «Impressionanti, per quantità e qualità, le opere che ha realizzato», così – su Avvenire – ha scritto il vescovo Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico generale dell’Università Cattolica. “Impressionanti” a partire dalla prima delle imprese titaniche di Armida Barelli, quella di prendere in mano la nascente Azione Cattolica femminile e portarla a 15.700 sezioni e ad oltre un milione di iscritte.
«Ha ragione l’arcivescovo»
Iniziò tutto in un grigio mattino del dicembre 1917, quando la 35enne Armida viene chiamata dal cardinale di Milano Andrea Carlo Ferrari, preoccupato per una propaganda socialista sempre più penetrante. Alla proposta del cardinale di andare nelle parrocchie della diocesi per fondare circoli cattolici, la Barelli oppone però uno scandaloso “gran rifiuto”. Un mese dopo – per uno di quegli episodi che la storiografia ufficiale considera marginali – cambia tutto. Di fronte ad un’insegnante atea che sta bistrattando la pratica religiosa («Chi frequenta la chiesa è un imbecille, ne siete consapevoli?», questa fu la provocazione), alcuni giovani, per protesta, si alzano in piedi, mentre 32 ragazze non osano reagire. Ragazze formalmente cattoliche. Nelle sue memorie (La sorella maggiore racconta, Vita e Pensiero), la Barelli rivela il suo ripensamento: «Quella notte non dormii. Un pensiero mi tormentava. Che sarà delle madri di domani se le giovani d’oggi adorano il Signore nella penombra del tempio e lo rinnegano alla luce del sole? Ha ragione l’arcivescovo: bisogna riunirle, istruirle, dare loro la fierezza della fede».
Un incontenibile apostolato cattolico
Messasi a lavorare con frutto nella più grande diocesi del mondo, e dopo aver organizzato nel 1917, insieme a padre Agostino Gemelli e con il placet del Pontefice, la consacrazione dei soldati al Sacro Cuore di Gesù (siamo nell’anno più difficile della Grande Guerra, quello in cui comincia a serpeggiare il più profondo sconforto, la consacrazione al Sacro Cuore sosterrà non soltanto i soldati al fronte ma anche le loro famiglie), nel settembre del 1918 venne chiamata con urgenza da Papa Benedetto XV. Questi le affida la presidenza nazionale della Gioventù Femminile di Azione Cattolica con queste parole: «La sua missione è l’Italia. Obbedisca, figliola, Dio l’aiuterà, glielo promettiamo». Da quel momento Armida Barelli non smette più di dedicarsi all’apostolato, dedicando la sua vita a stendere articoli, a preparare “Squilli di Resurrezione” (l’organo animatore della Gioventù Femminile), a organizzare convegni, a prodigarsi per le Settimane sociali. Curerà per trent’anni la formazione spirituale e l’impegno civile di milioni di donne, «le stesse – scrive mons. Giuliodori – che hanno costituito l’ossatura portante della rinascita del Paese negli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento». Qualcuno è arrivata a definirla una “protofemminista”. A leggere, però, quanto i biografi hanno scritto di lei (a cominciare dagli scritti di Maria Rosaria del Genio, considerata oggi la più importante studiosa di mistica cristiana) Armida Barelli non ha però mai “rivendicato” nulla per le donne in quanto tali. Fu la sua missione di vita – realizzare il Regno di Dio – a innalzare enormemente la figura delle donne, specie di quelle più povere, donando loro dignità e consapevolezza nuove.
La promessa al Sacro Cuore
Armida Barelli viene ricordata dai più come la cofondatrice dell’Università Cattolica, il vecchio sogno dell’economista e sociologo Giuseppe Toniolo, tra i protagonisti del movimento cattolico italiano, proclamato Beato nel 2012. La rocambolesca conclusione di quel mirabile progetto, citata da più fonti seppur ancora non abbastanza nota, non solo sembra un vero e proprio giallo della Provvidenza, ma è fondamentale per capire la tempra di quella che Maria Rosaria del Genio ha definita una «mistica con il carisma di governo».
I fatti li racconta la storica perugina Maria Sticco nel suo Una donna tra due secoli, opera che in vista dell’ormai prossima beatificazione, a maggio sarà ristampata dall’editrice Vita e Pensiero. La Sticco riferisce che, una volta trovato lo stabile per la sede dell’Università (in Via S. Agnese, l’antico convento delle Umiliate) padre Gemelli, mons. Olgiati, Ludovico Necchi e Armida Barelli per ottenere il prestito fecero ricorso ad una banca fuori Milano. Dopo un primo sì, all’improvviso questa cambiò parere, telegrafando queste parole: «finanzieremo solo a Università inaugurata». Per un momento crollò tutto: il sogno di far nascere una Università cattolica per gli italiani sembrava tramontare per sempre. A poche ore dallo scadere del contratto c’era addirittura chi realisticamente consigliava di rinunciare, per non perdere almeno la caparra. In quello scoraggiamento generale, Armida Barelli avvertì un tranello del nemico. E reagì a modo suo: «Promettiamo di dedicare l’Università Cattolica al Sacro Cuore. Abbiamo bisogno di un miracolo per riuscire». Promisero. E il miracolo avvenne.
«Serve Un milione entro le 15.00»
«Il buon conte Lombardo entrò in quel momento nell’ufficio di Vita e Pensiero – si legge nella biografia di Maria Sticco – vide noi quattro attorno a un tavolino: padre Gemelli, don Olgiati e Vico Necchi con la testa tra le mani per non mostrare che piangevano; io tenevo in mano il famoso telegramma della banca che rifiutava il prestito». Il conte in questione è Ernesto Lombardo, un ricco industriale cotoniero (per inciso, fu proprio nella sua villa di Varallo Sesia che, nell’agosto del 1918, in un momento intimo e carico di pathos, avviene l’ultimo incontro tra i quattro e l’ormai morente Giuseppe Toniolo, il quale, dal suo letto, in un ultimo slancio profetico prega i suoi amici di costituire un istituto universitario per i cattolici italiani). «Quando seppe a che punto stavano le cose – si legge ancora in Una donna tra due secoli – il conte ci disse: “Sono proprio contento che questa utopia dell’Università Cattolica finisca. Venite con me all’Orologio (un ristorante in Piazza del Duomo). Vi invito al pranzo di funerale dell’Università Cattolica”. Risposi io perché gli altri non erano in grado di parlare: “Conte, accetteremo stasera il pranzo di funerale dell’Ateneo Cattolico, se non avremo potuto pagare alle ore 15 il milione per comprare la sede. Ma fino alle tre noi aspettiamo. Se il Signore vuole che facciamo noi l’U.C. ci manderà il milione». Sperare contro ogni speranza. La vera forza della Barelli veniva dalla preghiera: nelle sue grandi imprese il primo e fondamentale scopo restava sempre la santificazione sua e delle persone a lei affidate.
Il conte tormentato
Ecco allora come Maria Sticco, riprendendo i diari della Barelli, racconta la conclusione del thriller della nascita della Cattolica. «Mi pare ancora di vederlo scendere le scale e scuotere il capo dicendo: “L’Università Cattolica ha dato alla testa a tutti e quattro! Aspettare un milione in tre ore…”. Ma proprio mentre scendeva le scale, una frase attraversò fulminea la mente del conte Lombardo: “abbiamo promesso al Sacro Cuore d’intitolare a Lui l’Università…”. In un lampo di luce vide a grandi lettere: “Università del Sacro Cuore”. Università Cattolica non gli diceva nulla, ma Università del Sacro Cuore gli diceva ben altro. Non si vantava lui di essere il cassiere del Sacro Cuore? Come poteva il cassiere rifiutarsi al suo ufficio onorifico? Il conte non resistette all’attacco interiore e poco dopo mandò alla Barelli un biglietto con queste parole: “Da un’ora il tuo Sacro Cuore mi ha messo l’inferno in cuore! Voglio la mia pace, eccoti il milione”». Al biglietto era accompagnato l’assegno.
La notte buia della Barelli
Come per molti dei figli più amati dal Cielo, arriveranno anche per Armida Barelli giorni difficili. Nel 1931, contravvenendo agli accordi precedentemente sanciti, Mussolini ordina la chiusura dei circoli di Azione Cattolica; nel ’39 muore papa Pio XI, che tanto l’aveva sostenuta (fino a chiamarla «la pupilla dei miei occhi»); Padre Gemelli – suo inseparabile compagno di avventure spirituali – sarà vittima dell’incidente stradale che lo costringerà sulla sedia a rotelle. Seguirà un periodo dei malintesi addirittura con l’Azione Cattolica, la sua creatura. Infine, la paralisi bulbare progressiva: Armida Barelli non riuscirà a comunicare se non con qualche segno della mano. Negli ultimi anni soleva dire: «Quando ho un dolore faccio sempre così, lo offro al Sacro Cuore. Non mi appartiene più, non ho il diritto di accarezzarlo».
Il miracolo per la beatificazione
Non un’audace attivista cattolica, insomma, ma una santa. Niente di meno. Tanto che l’incontrovertibile miracolo attribuito alla sua intercessione è stato appena approvato dalla Santa Sede. Il 5 maggio 1989, la signora Alice Maggini, 65enne di Lucca, è stata investita da un camion. Per la commozione cerebrale riportata, l’equipe medica aveva previsto gravissime conseguenze di tipo neurologico. È stato allora che la famiglia della signora, impegnata da tempo nell’Azione Cattolica, ha invocato la Serva di Dio: inspiegabilmente (almeno dal punto di vista scientifico) Alice Maggini si è ripresa perfettamente, tornando – fino alla morte avvenuta 23 anni dopo l’incidente – all’affetto dei sui cari.