Vi proponiamo il ricordo di un grande padre gesuita, Giacomo Martegani, e di quel progetto che fu denominato Civiltà Italica, scritto da Americo Mascarucci e pubblicato sul sito Stilum Curiae.
Con un occhio (ed anche più di uno…) all’attualità.
L.V.
Ogni tanto spunta fuori qualcuno che lancia l’idea di rifondare un «partito unico dei cattolici», con l’intenzione di ridare vita ad una Democrazia Cristiana «riveduta e corretta».
Se ne sono sentite tante in questi anni di proposte, sono stati fatti anche dei tentativi, puntualmente falliti di fronte alla disomogeneità che contraddistingue ormai il mondo cattolico. Il sottoscritto ha pubblicato a gennaio 2020 un libro che parla proprio di come il ruolo dei cattolici in politica sia cambiato dal 1993 in poi, e di come le stesse gerarchie cattoliche abbiano incoraggiato e scoraggiato ad intermittenza detti tentativi di riunificare i cattolici in un soggetto unitario.
Idea osteggiata da Camillo Ruini, che preferiva cattolici in tutti i partiti ma uniti sui valori, sostenuta invece da Angelo Bagnasco con scarsissimi risultati, scartata definitivamente in epoca bergogliana, con i vescovi oggi schierati in larga parte a sinistra.
Ma il tentativo più vero ed autentico di tradurre gli ideali cristiani in formula politica, non fu in realtà quello di don Luigi Sturzo con la fondazione del Partito Popolare, e nemmeno quello che diede origine alla Democrazia Cristiana, che fu sicuramente partito di cattolici, ma non ispirato ai principi cristiani. L’unico tentativo davvero cristiano di costruire un partito ispiratore di una politica, di uno Stato e di un’Italia a forte identità cristiana, fu nell’immediato dopoguerra il progetto di Civiltà Italica che ebbe per protagonisti monsignor Roberto Ronca, che fu vescovo di Pompei e prelato del santuario mariano, e il direttore della Civiltà Cattolica, il gesuita padre Giacomo Martegani.
Quest’ultimo ebbe un ruolo decisivo nel formulare il programma politico del neonato movimento fondato sulla costruzione di un’Italia cristiana che, mantenendo il Concordato del 1929 fra Stato e Chiesa riconoscesse la famiglia naturale come nucleo fondante della comunità e dell’ordinamento giuridico attraverso lo strumento del matrimonio, lasciando ai genitori il dovere e il compito di educare la prole. In più il progetto di Civiltà Italica mirava a costruire un sistema economico basato sulla dottrina sociale della Chiesa, dove la proprietà privata fosse considerata un bene da difendere e garantire in un’ottica sociale e di sussidiarietà, ovvero di equa distribuzione delle ricchezze.
Il progetto di Civiltà Italica andò a competere con la neonata Democrazia Cristiana, e sembrò rispecchiare sul principio la posizione di Pio XII e del cosiddetto «partito romano» che governava la Curia, guidato dal cardinale Alfredo Ottaviani e da monsignor Domenico Tardini, che in aperto contrasto con il sostituto Giovan Battista Montini, futuro Paolo VI, si opponeva al riconoscimento della Dc come unico partito di riferimento dei cattolici italiani.
Martegani si trovò in contrasto all’interno di Civiltà Cattolica con il confratello e vice direttore Antonio Messineo fortemente legato ad Alcide De Gasperi e a monsignor Montini e quindi favorevole ad unire tutte le energie e l’impegno del mondo cattolico a sostegno della Dc. Civiltà Italica fu senza dubbio un laboratorio politico di grande valore, soprattutto perché rappresentò il primo tentativo di dare legittimazione democratica all’area di destra, recuperando lo spirito sociale e concordatario del fascismo, senza ovviamente nascondere e negare le gravi responsabilità del regime, il patriottismo sabaudo e la migliore tradizione conservatrice e cattolica. Guardava con favore ai democristiani di destra come Mario Scelba e Oscar Luigi Scalfaro, ma anche al Fronte dell’Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini, al Fronte monarchico, e successivamente anche al Movimento Sociale italiano (leggi l’operazione Sturzo alle elezioni comunali di Roma del 1952) sostenendo la costituzione di un centrodestra conservatore e cattolico. Una pluralità di forze politiche sulle quali indirizzare il voto dei cattolici contro il pericolo comunista. Progetto che inevitabilmente non poteva coincidere con quello degasperiano, che al contrario riteneva essenziale il rapporto e la collaborazione istituzionale con le sole forze uscite dalla Resistenza, ossia Repubblicani e Liberali.
Pio XII guardò con molta simpatia all’iniziativa di Civiltà Italica e sul principio la incoraggiò infastidito dalla collaborazione istituzionale che nell’Assemblea Costituente si era venuta a creare fra democristiani e comunisti. Ma poi, quando nel 1948 su input degli Stati Uniti la collaborazione con i comunisti si ruppe, il papa spaventato dalla temutissima vittoria del blocco popolare social-comunista, finì per sposare la «linea Montini» e incaricò il presidente dell’Azione Cattolica Luigi Gedda di organizzare la rete dei comitati civici a sostegno della Democrazia Cristiana.
La storia poi ha dato ragione a quanti in quegli anni sostenevano l’esigenza di un voto cattolico compatto per la Dc, ma solo per ciò che ha riguardato le elezioni del 1948. Infatti come Ronca e Martegani avevano previsto con largo anticipo, l’idea di far convivere in un unico partito le varie anime del cattolicesimo si sarebbe rivelato in seguito controproducente. Chiusa la parentesi De Gasperi, al quale va comunque riconosciuto il merito di aver posizionato l’Italia nel fronte occidentale, la Dc è andata sempre più scivolando a sinistra seguendo le idee di Giuseppe Dossetti e recintando il confine sulla destra.
Tornando a Martegani, l’ex direttore di Civiltà Cattolica fu forse uno degli ultimi fulgidi eredi di una tradizione che, con padre Riccardo Lombardi, vedeva la Compagnia di Gesù come un baluardo a difesa della tradizione e dell’identità cattolica dell’Italia. Poi arrivò il Concilio Vaticano II e la Compagnia di Gesù, sotto la nefasta guida dello spagnolo Pedro Arrupe imbevuto di marxismo, scelse di passare dalla difesa dell’ortodossia all’attuazione delle istanze più innovatrici del Concilio. Con il paradosso che i gesuiti sono diventati i portabandiera del cattolicesimo progressista, i principali sostenitori di tutte le politiche di apertura a sinistra.
Martegani, così come lo stesso Messineo con cui era entrato in conflitto ai tempi di Civiltà Italica, non accettò la svolta di Pedro Arrupe e finì così isolato, emarginato, quasi espulso dalla Compagnia, anche con il consenso di un Paolo VI inizialmente infervorato dall’impegno missionario di Arrupe, ma ad un certo punto costretto ad intervenire per correggere la deriva rivoluzionaria attuata dal preposto generale, diventato presuntuoso al punto tale da decidere di cambiare la Costituzione stessa della Compagnia manco fosse un reincarnato Ignazio di Loyola. Soltanto negli ultimi anni di vita Martegani, che morirà nel 1981, avrà la soddisfazione di trovare in Giovanni Paolo II un fiero e tenace censore delle derive marxiste della Compagnia, fino a sconfessare apertamente l’operato di Arrupe che sarà allontanato dal vertice e in seguito sostituito.
Martegani dopo il Concilio fu considerato un irriducibile conservatore, al punto da perdere anche la fiducia e l’amicizia di quanti, ai tempi di Pio XII conoscendo la stima che il pontefice aveva per lui, lo adulavano per riceverne appoggi, raccomandazioni ed entrature in Vaticano presso il «partito romano». Gli anni immediatamente successivi al Concilio furono anni di grande fanatismo progressista, ad opera di vescovi e sacerdoti che interpretarono come una missione quella di distruggere le tradizioni tridentine.
Trento conobbe la furia rinnovatrice di monsignor Iginio Rogger demolitore della messa in latino e delle tradizioni popolari, compreso il culto di San Vigilio, il patrono della città, di cui Rogger arrivò a negare persino il martirio; a Roma l’abbazia benedettina di San Paolo guidata dall’abate Giovanni Franzoni fu trasformata in una sorta di «casa del popolo» dove si faceva apertamente propaganda in favore della legge sul divorzio e si celebravano messe comunitarie aperte a tutti, cattolici e non, in una sorta di «collettivo» sessantottino, mettendo «la parola» al centro di tutto e di fatto relegando ai margini l’Eucaristia; a Firenze l’Isolotto di don Enzo Mazzi diventò il centro della contestazione cattolica, dove in pratica si rileggeva il Vangelo in chiave marxista e si denunciava l’arretratezza di una Chiesa poco aperta alle istanze della modernità; a Torino con la benedizione del cardinale Michele Pellegrino nascevano i primi nuclei dei preti operai; a Venezia il patriarca Albino Luciani scioglieva la Fuci, la federazione degli universitari cattolici, diventata una costola del Pci; i seminari si svuotarono e tanti preti delusi dalla mancata abolizione del celibato sacerdotale che i settori progressisti avevano inutilmente tentato di far passare al Concilio, chiesero la dispensa e si sposarono.
Caduto in disgrazia perché refrattario alle svolte conciliari e al tentativo di riscrivere il Vangelo in chiave progressista, Martegani trascorse gli ultimi anni di vita in un pensionato per religiosi dove prestò assistenza ad anziani e malati e ritrovò proprio qui il senso di una missione. Assistette fino agli ultimi giorni di vita il confratello Messineo, ricoverato nella stessa struttura, anche lui emarginato per le sue idee troppo ortodosse e per essersi espresso pubblicamente contro la deriva di sinistra della Compagnia.
Giacomo Martegani è stato forse l’ultimo fulgido rappresentate dell’Ordine di Padre Ignazio, il rappresentante più autentico del gesuita che mette la propria missione al servizio della Chiesa per difenderla da ogni pericolo, interno ed esterno, e per conservare l’integrità del magistero e della dottrina da ogni forma di modernismo laicista anche attraverso la forza missionaria dell’evangelizzazione. Con l’obiettivo di convertire il mondo e non di lasciarsi convertire.
Dopo di lui sono arrivati i moderni gesuiti che sono oggi i principali alfieri delle politiche liberal e radical all’interno della Chiesa, comprese le battaglie LGBT, sostenute e rivendicate con orgoglio dal gesuita James Martin favorevole al riconoscimento delle unioni gay anche in chiave sacramentale e da molti considerato l’ispiratore delle svolte bergogliane verso i diritti omosessuali e transgender.
E se paradossalmente in Martegani c’era il desiderio di costruire un’Italia e un’Europa cristiane, oggi i gesuiti sono diventati i principali alleati di chi invece le radici cristiane le ripudia in nome dell’ideologia mondialista, che persegue il progetto di un nuovo ordine mondiale, senza confini, sovranità, tradizioni e culture religiose. Un mondo dominato dal pensiero unico laicista e globalista dove il Vangelo è sempre più secondo Soros e sempre meno secondo Cristo. Che a differenza del filantropo ungherese non possiede sedicenti fondazioni benefiche, non finanzia ONG e non elargisce contributi a pioggia in cambio dell’adesione alla sua agenda.
Di Americo Mascarucci
se pensate che Biden e Pelosi sono cattolici, non vi viene l'orticaria ?
RispondiEliminaBiden e Pelosi non sono veri cattolici. Ma tanto in America imploderà tutto, in America non esiste più un centro-destra moderato ma una destra radicale agguerrita. (E poi c'è sempre Putin che ostacola quei pochi finocchietti che vorrebbero comandare il mondo).
EliminaNon solo l'orticaria...se si pensa che il 90% dei vescovi americani (e non solo) scodinzola dietro a questi soggetti e ne sposa le idee viene anche la gastroenterite.
EliminaFolli apostati vestiti da vescovi, sempre alla rincorsa delle mode più mefitiche del mondo. Passerà anche il loro tempo.