Ogni anno, nella odierna festa di sant’Agnese, la santa Chiesa di Roma rende un grazioso omaggio alla giovane vergine.
Al termine della Messa pontificale celebrata nella Basilica di Sant’Agnese fuori le mura, vengono posti sull’altare due agnelli bianchi, che ricordano insieme la mansuetudine del divino Agnello e la dolcezza di Agnese.
Dopo essere stati benedetti dall’Abate dei Canonici regolari del Santissimo Salvatore lateranense che prestano servizio in quella basilica, una deputazione del Capitolo li porta al Papa, che li benedice di nuovo e li invia nel Monastero benedettino di Santa Cecilia (in Trastevere), dove le religiose li nutrono e li allevano con cura.
La lana di questi agnelli serve per tessere il Pallium che il Sommo Pontefice benedice il 29 giugno (festa dei santi Pietro e Paolo) ed invia, come segno della loro giurisdizione, a tutti i Patriarchi e Metropoliti del mondo cattolico.
Così il semplice ornamento di lana che quei prelati porteranno sulle spalle come simbolo della pecora del buon pastore, e che il Papa prende sulla tomba stessa di san Pietro per inviarlo ad essi, recherà fino agli estremi confini della Chiesa il duplice sentimento della forza del Principe degli Apostoli e della dolcezza virginea di Agnese.
L.V.
Nell’odierna festa della martire romana vengono benedetti gli agnelli, la cui lana sarà lavorata per confezionare i pallii dei nuovi arcivescovi metropoliti, consegnati dal Papa, nella Solennità dei santi Apostoli Pietro e Paolo, il 29 giugno.
Casta e pura, come la radice greca richiama nell’aggettivo «haghnòs». Nel nome Agnese, derivante anche dal latino «agnus», c’è già il destino della giovane martire, trafitta con colpo di spada alla gola, nel modo con cui si uccidevano gli agnelli. Nell’iconografia, Agnese è spesso raffigurata insieme a questi animali, simboli del candore e del sacrificio, e con una palma in mano che richiama il suo martirio. Nell’odierna festa liturgica, il 21 gennaio, giorno in cui si commemora la morte cruenta della martire romana probabilmente all’inizio del IV secolo, si rinnova la tradizione della benedizione degli agnelli nella Basilica minore di sant’Agnese fuori le Mura a Roma.
Il significato del pallio
La lana di questi agnelli verrà poi usata per la realizzazione dei palli, il paramento liturgico d’onore e di giurisdizione costituito da una fascia di lana bianca di circa 5 centimetri, incurvata al centro così da poterlo appoggiare sulle spalle sopra la casula. È decorato con sei croci nere di seta, una su ogni coda e quattro sull’incurvatura, ed è guarnito, davanti e dietro, con tre spille gemmate. I palli rappresentano il legame speciale tra il Papa e gli Arcivescovi metropoliti e vengono benedetti dal Pontefice nella solennità dei santi apostoli Pietro e Paolo, il 29 giugno. Verranno poi imposti dai Nunzi apostolici agli Arcivescovi nelle loro sedi.
Una tradizione antica
«Dalle ricerche che ho condotto – spiega don Franco Bergamin, Abate generale dei Canonici Regolari Lateranensi – nel IV secolo si parla della presenza di un agnello, richiamo ad Agnese, proprio sulla tomba della martire, nel giorno della festa, come a dire: qui c’è la santa. Nel VI secolo si parla della benedizione degli agnelli sempre sulla tomba di Agnese. La tradizione è andata avanti fino ad oggi. Gli animali che dovevano essere procurati dai canonici della Basilica di sant’Agnese venivano donati dal Capitolo di san Giovanni in Laterano per riconoscenza al servizio che i canonici svolgevano in Laterano durante le festività». Solitamente i Papi, prima della consegna alle Suore di Santa Cecilia, benedivano gli agnelli.
La storia degli agnelli
Gli agnelli sono donati oggi al Capitolo di San Giovanni in Laterano dai monaci Trappisti dell’Abbazia delle Tre Fontane a Roma che, fino a venti anni fa, allevavano direttamente gli animali. «Oggi – racconta a Vatican News il priore padre Emanuele Jablczynski – con i cambiamenti urbanistici della città, lo scenario è completamente cambiato. Non alleviamo più gli agnelli ma li compriamo direttamente dai pastori per consegnarli poi alle suore della Sacra Famiglia di Nazareth». Sono loro ad occuparsi degli agnelli, lavandoli e curandoli per prepararli alla celebrazione nella Basilica di sant’Agnese fuori le mura. Una tradizione iniziata nel 1884 grazie alla fondatrice, la beata Franciszka Siedliska. Le suore provvedono anche alla vestizione degli agnelli mettendo loro una specie di mantello sul dorso. Per un agnello è di colore rosso, in ricordo del martirio della santa, per l’altro è bianco, in ricordo della sua verginità. Gli stessi colori vengono usati per le corone di fiori poste sul capo degli animali e non mancano dei piccoli fiocchi sulle loro orecchie. Dopo questa sorta di vestizione, i due agnelli vengono collocati ognuno dentro una cesta e portati nella Basilica di Sant’Agnese fuori le mura.
Agnese, la santa dei giovani
È nella Basilica di Sant’Agnese fuori le mura, nella Messa celebrata dall’Abate generale dei Canonici Regolari Lateranensi, l’ordine che regge la Basilica, che i due agnelli vengono benedetti. «Gli animali sono collocati sull’altare sopra le reliquie – spiega l’abate Bergamin – di Agnese e di Emerenziana che era sorella di latte della martire; lei morì due giorni dopo Agnese, era catecumena e si stava preparando a ricevere il Battesimo, l’hanno trovata a pregare sulla tomba di Agnese e dopo averla portata fuori dalla chiesa, l’hanno lapidata». Agnese, sottolinea l’abate, è la testimonianza di una ragazza giovane, santa dei giovani. «Oggi si parla ancora di lei per la sua testimonianza di fede, di adesione a Cristo – Cristo è l’unico mio sposo: diceva la santa – e di adesione di vita totale fino a non avere paura della morte». «Io sono stato parroco qui a sant’Agnese e tanti giovani da varie parti del mondo hanno sempre visitato la sua tomba».
Le suore che realizzano i pallii
Il viaggio degli agnellini prosegue dalla Basilica di Sant’Agnese fuori le mura fino al monastero delle Benedettine di Santa Cecilia, a Trastevere, dove vengono accolti con il canto Isti sunt agni novelli, e trattati con cura e amore anche allattandoli con il biberon. «Abbiamo uno spazio riservato agli animali fatto da una casetta – spiega la badessa Maria Giovanna Valenziano – paglia per il giaciglio, termosifone elettrico per il riscaldamento, acqua sempre a disposizione e un recinto dove gironzolare». La tosatura avviene in primavera ma la lavorazione dei pallii incomincia subito perché ci vogliono alcuni mesi per la realizzazione. I passaggi sono molti per passare dalla lana grezza al filato; c’è il lavaggio, la cardatura che rende la lana soffice, la pettinatura e poi la tessitura vera e propria che viene compiuta ancora oggi artigianalmente dalle monache. «Il telaio – racconta la Badessa – è uno, ed è particolare per la misura del pallio stesso». Alcuni di quelli in legno presenti nel monastero sono stati costruiti nel secolo scorso a Prato e uno risale al XVII secolo. Al termine del lavoro vengono applicate le croci in seta nere e infine i pallii vengono consegnati all’ufficio delle celebrazioni liturgiche del Papa, il 24 giugno, nella solennità di san Giovanni Battista, il precursore che indicò Gesù come Agnello di Dio. «La lana dei due agnelli – spiega la religiosa – serve per il pallio del Papa, poi usiamo anche altra lana per realizzare gli altri». Un lavoro fatto di attenzione, dedizione e amore per la Chiesa e per il Pontefice.
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