Un'altra bella riflessione di Peter Kwasniewski.
Luigi
Marco Tosatti
Cari amici e nemici di Stilum Curiae, siamo particolarmente onorati per questo contributo del dott. Kwasniewski, e naturalmente ringraziamo di cuore Carlo Schena per il prezioso lavoro di traduzione. Buona lettura.
[...]
Peter Kwasniewski
Nel 1964, “quarantasei anni dopo la pubblicazione della sua opera fondamentale Lo Spirito della Liturgia, e subito dopo la promulgazione della Sacrosanctum Concilium, Romano Guardini elaborò, in una lettera ad un Congresso sulla Liturgia del 1964, una riflessione sulle sfide del Movimento Liturgico” [1]. Qui troviamo la nota affermazione per cui l’uomo moderno “non è più capace di un atto liturgico”:
“[Non è forse che] all’atto liturgico, e con esso in genere a ciò che si chiama “liturgia”, tanto legata alla storia – dell’antichità classica, o del Medioevo -, si debba interamente rinunciare per motivi di onestà? Ci si dovrebbe forse spingere, dibattendosi (durchringen), fino a capire che l’uomo dell’epoca industriale, della tecnica e delle strutture psicopedagogiche da essa condizionate, sia semplicemente non più capace dell’atto liturgico? E si dovrebbe, invece di parlare di rinnovamento, preferibilmente riflettere in qual modo i sacri misteri si debbano celebrare, affinché quest’uomo d’oggi possa collocarsi entro di essi con la sua verità?” [2]
Nella stessa lettera, Guardini afferma:
“si solleverà anche l’interrogativo se la liturgia in vigore contenga parti componenti che non possono più essere realizzate dall’uomo d’oggi. Mi ricordo d’un dialogo col grande pioniere del rinnovamento liturgico, il defunto abate Ildefons Herwegen di Maria Laach. Riallacciandomi a considerazioni precedenti, io ritenevo che un segno del passare del lavoro liturgico nel vivo, sarebbe stata la “crisi liturgica”, e l’abate Herwegen consentì pensosamente.” [3]
Per quanto lo stesso Guardini appena qualche anno dopo avrebbe liquidato le bozze del Consilium come “lavoro da idraulici”, non si può sottolineare abbastanza il danno che lui stesso causò con le osservazioni fatte nella lettera del 1964, che sembravano suggerire, come già avevano fatto molti altri semi-modernisti, che almeno dai tempi di Costantino, e certamente non più tardi del Medioevo, l’intera liturgia cristiana era ormai diventata irrilevante, inutile, inaccessibile, pronta per la discarica. Ciò che sorprende è che un teologo della statura di Guardini, così in sintonia con la “irrilevanza” e “inutilità” (propriamente intese) [4] della sacra liturgia, abbia potuto abbracciare questo tipo di relativismo cronologico.
Da un lato, possiamo anche simpatizzare fino a un certo punto con il ragionamento di Guardini: la riforma liturgica sembrava fondata sull’idea che se la liturgia così com’è “non funziona”, allora tutto ciò che dobbiamo fare è ridisegnarla – trovare un modello “che funzioni”: impacchettarlo, spedirlo e consegnarlo al popolo in attesa. In quest’ottica, i problemi stanno tutti dalla parte dei riti liturgici; non sono gli uomini che hanno bisogno di essere riformati, ma solo i riti.
E se invece il problema fosse nell’uomo? Se davvero lo giudicassimo incapace dell’atto liturgico, allora dovrebbe essere incapace di qualsiasi liturgia, che essa provenga dallo scriptorium di Gregorio Magno o dalla cattedra di Annibale Bugnini. Potrebbe, certo, essere capace di qualcos’altro – di uno studio biblico, di una mensa per i poveri, della visita ai carcerati o del volontariato per gli scout – ma la leitourgia, l’azione sacrificale dell’uno a favore dei molti [5], non avrà alcuna presa nel suo mondo individualistico. In quest’ottica, i liturgisti d’avanguardia hanno forse sottovalutato la sfida che li aspettava. Il punto è che non si tratta di “ritoccare” qualcosa per farlo “funzionare” meglio, né tanto meno di ammucchiare sempre più Sacra Scrittura così da poter spuntare la casella che dice “Leggere la Bibbia? – Fatto”. Perché il problema non sono la lettura o il testo, il canto o il rituale, ma è la modernità dell’uomo moderno, che gli impedisce di relazionarsi, cosmicamente, simbolicamente, asceticamente e misticamente, con quelle stesse realtà cui la Sacra Scrittura si riferisce, e senza le quali non può che mancare il proprio bersaglio.
Dall’altro lato, in difesa dell’uomo comune, ci si potrebbe chiedere: ma perché anzitutto dovremmo berci questa visione tedesca tipicamente pessimistica, che tanto ricorda il lamento di Wotan per l’ineluttabile crollo del Valhalla, il Götterdämmerung? Affermare che gli uomini moderni non possono essere liturgici nello stesso modo in cui lo sono stati tutti gli uomini prima di loro significa mettersi su una strada che porta alla disperazione: come se adesso l’uomo fosse una specie diversa che richiede una diversa religione, vale a dire un diverso sistema di segni ordinati al culto divino. Questa disperazione carsica era uno degli argomenti alla base del Novus Ordo. Essa portò alla convinzione che una celebrazione semplificata, abbreviata, comprensibile, comunitaria e in lingua volgare, sarebbe senz’altro piaciuta all’uomo moderno, che è incapace di rituali verticali, teocentrici, densamente simbolici, in un linguaggio arcaico. Ma ciò sembra essere fondamentalmente falso, e ha portato a un massiccio allontanamento dei fedeli dalla pratica religiosa, come pure alla sorprendente resilienza degli antichi riti, che si pensavano ormai obsoleti e inavvicinabili.
La verità davvero inevitabile non è il fatalismo di Guardini, ma un onesto riconoscimento delle esigenze della formazione umana. Proprio come non possiamo permetterci di smettere di insegnare a ogni nuova generazione come parlare, leggere, scrivere e pensare, così non possiamo smettere di immergerci in un rito dal carattere irriducibilmente rituale, perché è questa la logica, la grammatica e la retorica della religione rivelata, nell’Antico Testamento come nel Nuovo, e nella storia della Chiesa. Questo rito gode di una base antropologica universale che ne rende sempre possibile l’apprendimento, ma dal momento che esso risulta piuttosto strano nell’orizzonte della modernità razionalistica, è oggi più capace, non meno capace, di metterci davanti alla trascendenza di Dio, che ci chiama fuori dalla nostra comfort zone, come Abramo fu chiamato fuori da Ur dei Caldei. Quando un fedele davvero percepisce la sensazione che attraverso la liturgia sta entrando nel regno del sacro, che quasi sta varcando la soglia del mondo del divino, solo allora le sue orecchie inizieranno ad aprirsi all’ascolto delle parole di Dio nella Scrittura. Il centro d’attenzione, il punto di partenza, deve trovarsi altrove rispetto alla Scrittura. Questo è esattamente il contrario di dove i riformatori, nella loro omotestualità (per così dire), volevano mettere l’accento.
Un altro modo di considerare questo aspetto è guardare alla ripetitività del rito antico, ovviamente assai disprezzata dai riformatori. Nel mio “Repetition is the Mother of a Great Many Things” (“La ripetizione è la madre di un gran numero di cose”, NdT) evidenzio il valore dell’uso frequente delle stesse pericopi e versetti della Sacra Scrittura (e di testi non-scritturali) nella liturgia tradizionale esattamente come metodo per farci entrare in una profonda familiarità con queste parole. Alla fine, queste parole, o comunque molte di esse, verranno memorizzate; esse arriveranno a vivere dentro di noi, dando forma alla nostra coscienza come fossero il pavimento, le pareti e il soffitto della nostra architettura interiore. L’unico modo per far sì che i cristiani di oggi prendano più sul serio la Sacra Scrittura sarebbe di prendere più sul serio la memoria, predicando e illustrando i vari modi in cui il nostro moderno stile di vita sta logorando o svuotando i nostri ricordi di ciò che è divino, riempiendoli invece di ciò che è secolare, profano e, alcune volte, diabolico. Ancora una volta, ciò di cui l’uomo moderno aveva ed ha bisogno è quello che gli donano i riti e le pratiche liturgiche tradizionali, non qualche nuova invenzione alla Guardini.
È anche vero, e sono il primo ad ammetterlo, che senza una catechesi, sia essa esterna alla liturgia o durante la predica, la maggior parte delle persone moderne non sarà in grado di cogliere a sufficienza il messaggio della liturgia per avere quella buona presa, quella buona base d’appoggio, necessarie per fare ulteriori progressi. In quest’ottica, semplicemente, non si può fare a meno di una corretta educazione. Una liturgia dignitosa e bella può fare un bene immenso alle anime, e realizzare perfino conversioni dall’ateismo o dal paganesimo; ma per la maggior parte delle persone, entrare in profondità all’interno di tutto quello che la liturgia ha da offrire richiederà quantomeno un certo investimento in termini di impegno, un lavoro lento e prolungato nel tempo. E così sempre è stato: c’è un motivo per cui San Benedetto parla dell’Opus Dei, del lavoro di Dio. Come sottolinea la Santa Regola, si tratta di un’opera che richiede ripetizione, studio e competenza, ma – come giustamente dice Guardini – è anche la partita di livello in assoluto più alto, perché non ha un motivo ulteriore, un fine per il quale sia soltanto un mezzo.
Torniamo al nostro punto di partenza. Secondo Guardini l’uomo moderno non è più in grado di compiere l’atto liturgico. Questa è stata presa come una verità indiscutibile da molti, nella fase successiva del Movimento Liturgico, e come il mandato per una sperimentazione illimitata, con l’obiettivo di dare alla liturgia gli strumenti necessari per suscitare o sollecitare la “corretta” partecipazione dei fedeli. Ironia della sorte, quello che è invece successo è che l’atto liturgico si è trasformato nel suo opposto: l’auto-celebrazione della comunità stessa. Con una strana svolta degli eventi, il cupo giudizio di Guardini non fu smentito dal Novus Ordo, ma proprio da esso inculcato: quello che era stato un rischio – perdere di vista il senso proprio della liturgia – divenne l’abitudine di perderlo di vista con disinvoltura. In breve, è stata soprattutto la liturgia riformata che ha reso gli uomini moderni, nella misura in cui ciò è umanamente possibile e divinamente permesso, incapaci di compiere l’atto liturgico.
(Traduzione a cura di Carlo Schena)
Note
[1] Introduzione tratta da Corpus Christi Watershed .
[2] “L’atto di culto e il compito attuale della Formazione liturgica”.
[3] Si veda Christopher Carstens, “Romano Guardini Was Careful What He Asked For: A Liturgical Crisis ” [“Romano Guardini sapeva bene quello che chiedeva: una crisi liturgica” NdT].
[4] Si veda p. Daniel Cardo, “At Prayer in the Fields of the Lord: The Playfulness of the Liturgy” [“In preghiera nei Campi del Signore: La Giocosità della Liturgia”, NdT]
[5] Si veda William Daniel, Christ the Liturgy (Brooklyn: Angelico Press, 2020), 1-39, a proposito del corretto significato del termine leitourgia.