Due precisi articoli sul nuovo messale NOM in vigore dalla Pasqua 2021.
Inter alia, noterete il disincentivo verso la preghiera e Comunione in ginocchio e in bocca. Idem per l'uso del Canone Romano.
Evitiamo di fare commenti sulle illustrazioni del Messale perchè ci sembra di ... sparare sulla Croce Rossa.
QUI una prima analisi pubblicata da MiL.
QUI un'altra analisi della nuova edizione.
Un motivo in più per frequentare sempre più la Messa di sempre!
Luigi
Le preoccupanti novità del nuovo Messale della CEI
21 Ottobre 2020 - Corrispondenza Romana
(Cristina Siccardi) La CEI, prima di giungere alla terza edizione della traduzione italiana del Messale Romano, che sarà obbligatorio dal 4 aprile 2021, ha impiegato ben 18 anni. Risale, infatti, al 2002 l’Editio typicatertia, in lingua latina, pubblicata dalla Santa Sede. Si tratta del Messale che vide la luce nel 1970 per volontà di Paolo VI e il decreto con cui veniva pubblicata questa prima edizione, per conto della Congregazione per il Culto Divino, portava la firma dell’arcivescovo Annibale Bugnini (1912-1982), che ebbe un ruolo determinante, in qualità di segretario della Commissione per la Liturgia, nella rivoluzione liturgica operata a ridosso del Concilio Vaticano II. Consegnandolo a papa Francesco lo scorso 28 agosto, il cardinale Bassetti, presidente della CEI, ha dichiarato: «Ci abbiamo lavorato 18 anni. È un bambino che è diventato maggiorenne. Siamo contenti di poterle dire che questo è il suo Messale, perché lei fa la maggior parte delle celebrazioni nel Messale in lingua italiana.Riteniamo che questo sia un grande dono, e che rappresenti un rinnovamento e uno stimolo ad approfondirlo e studiarlo per tutti i sacerdoti». Un parto molto complesso e difficile, dunque, per un frutto davvero scarso e che sconcerta molte anime sacerdotali, alcune delle quali pronte, orami, a “convertirsi” al Vetus Ordo. Se da un lato ci sono sacerdoti che non battono ciglio sulle novità inserite nel Novus Ordo, altri esternato, fra di loro, il malcontento, tanto che qualcuno, soprattutto fra i giovani, che attraverso il web vengono a conoscenza di realtà liturgiche tradizionali ricche di un patrimonio perenne carico di verità e di bellezze, avanza lodi nei confronti del Vetus Ordo perché sempre più delusi da scelte liturgiche desacralizzanti e protestantizzanti.
Le novità (nelle novità) più grandi sono date dalle «Precisazioni» della Conferenza Episcopale Italiana (da pag. LII) all’Ordinamento Generale del Messale Romano, si tratta di una sorta di adattamento nazionale delle rubriche del Messale stesso. Nel punto 1 viene prescritto di non stare in ginocchio durante l’intera Preghiera eucaristica, bensì per un tempo più ristretto, quasi fosse un aspetto negativo avere e dimostrare pubblicamente un atteggiamento di adorazione di fronte al Corpo e al Sangue di Cristo. Al punto 6 il celebrante è disincentivato ad utilizzare abitualmente la Preghiera Eucaristica I (ovvero l’antico e sempre nuovo Canone Romano, che mai passerà nell’uso della Chiesa), bensì si afferma che dovrà «favorire una proficua alternanza tra le diverse Preghiere Eucaristiche che il Messale riporta, valorizzando appieno la straordinaria ricchezza dei testi», testi che sono di tutta evidenza di sapore protestante. Quanto papa Benedetto XVI aveva insegnato dando l’esempio circa la modalità di ricevere la comunione, come anche permesso dalle norme generali del Messale, i vescovi italiani pongono un freno al punto 13: «I fedeli si comunichino abitualmente in piedi». Si evince chiaramente che la devozione è malvista, tanto che al termine del medesimo punto vengono equiparati preghiere devozionali e avvisi.
Il punto 15 impone di celebrare rivolti verso il popolo «ovunque sia possibile» e di lasciare completamente spogli i vecchi altari, una disposizione che va oltre lo stesso papa Francesco, il quale ha celebrato su vecchi altari, in posizione coram Deo, ad esempio nella Cappella Sistina come già Benedetto XVI, ma anche nella Basilica di San Pietro all’altare della cappella laterale dove è sepolto Giovanni Paolo II, nonché sulla tomba di San Francesco ad Assisi e nella Santa Casa a Loreto. Inoltre la CEI vuole i sacerdoti gioiosi e colorati: basta, definitivamente, con il nero! Facendo seguito al nuovo Rito delle esequie (seconda edizione in lingua italiana), anche nel Messale hanno cassato il colore tradizionalmente utilizzato per le Messe di Requiem, rendendo obbligatorio in Italia l’utilizzo del viola. Sono tanti invece i sacerdoti, soprattutto giovani, che amano questo colore liturgico e lo utilizzano, talvolta rispolverando vecchi parati neri rinvenuti nelle soffitte delle canoniche, ma anche acquistandone di nuovi dato che da alcuni anni, in particolare dopo il celebre e storico Motu Proprio Summorum Pontificum (7 luglio 2007) di Benedetto XVI, è tornata in auge la loro produzione.
Se la cosa che più ha fatto notizia, la modifica del «Padre nostro», è consistita in realtà nel recepire nella liturgia la traduzione italiana della Bibbia ormai ufficiale da tempo ed utilizzata per gli stessi lezionari liturgici, dovrebbe fare ancor più scalpore il fatto che sia rimasta invariata la traduzione errata della formula di consacrazione del vino, la famigerata questione del «pro multis» per la quale tanto si era battuto Benedetto XVI e che nelle traduzioni in altre lingue era stata oggetto di revisione. Quell’erroneo «per tutti» continuerà a risuonare nelle chiese italiane. La spinta femminista impressa a questa nuova edizione del Messale è poi innegabile: all’inizio della celebrazione il sacerdote si rivolgerà ai «fratelli e sorelle» e con il nuovo «Confesso» (pag. 311) si renderanno edotti «fratelli e sorelle» del proprio riconoscersi peccatori. Anche all’offertorio il celebrante inviterà alla preghiera «fratelli e sorelle»; perciò: «Ricordati anche dei nostri fratelli e delle nostre sorelle, che si sono addormentati…» (Preghiera Eucaristica II); inoltre, «Accogli nel tuo regno i nostri fratelli e sorelle defunti» (Preghiera Eucaristica III); «i nostri fratelli e sorelle defunti che affidiamo alla tua misericordia» (Preghiera Eucaristica IV). Con queste adulazioni nei confronti delle femministe, i vescovi d’Italia hanno ridicolizzato il Novus Ordo. Nel «Proprio dei Santi» balza all’occhio come tutti i santi sacerdoti siano ora indicati come presbitero, una scelta terminologica che rincorre un cavallo di battaglia di quanti dopo il Concilio Vaticano II si sono spesi per indebolire l’identità del sacerdozio cattolico, laicizzandolo: come vedranno dal Paradiso questa scelta dal portamento letterario scientifico un Santo Curato d’Ars, un San Massimiliano Kolbe, un san Pio da Pietrelcina… ?
Il re francese san Ludovico (così era tradotto il suo nome nelle precedenti edizioni), è stato corretto come san Luigi IX (pag. 623), nome con il quale è abitualmente conosciuto in Italia. Benché il nuovo Messale non si sia avventurato ad attribuire un numero all’imperatore sant’Enrico (pag.591), almeno nel titolo, scade poi nell’errore nella didascalia, definendolo Enrico II, nonostante fino a prima del Concilio Vaticano II il Martirologio Romano preferisse chiamarlo Enrico I, non riconoscendo così quale legittimo Sacro Romano Imperatore quel primo Enrico, detto l’Uccellatore, che ebbe a rifiutare la sacra unzione in occasione dell’ascesa al trono.
Inoltre, questo Messale, appena pubblicato, è già vecchio: non ha fatto in tempo, infatti, a recepire la recente scelta di papa Francesco di inserire al 5 ottobre la memoria facoltativa di santa Faustina Kowalska, ma ha invece soddisfatto il capriccio ideologico dell’episcopato italiano di vedere elevata di grado per il nostro Paese la memoria di san Giuseppe Lavoratore (pag. 556). Da rilevare la grande assenza di Teresa di Calcutta: seppur già canonizzata, il suo nome non ha trovato spazio nel calendario liturgico né per volontà pontificia, né della CEI. Per quanto concerne l’aspetto musicale possiamo segnalare l’inserimento copioso di spartiti all’interno dei testi dell’ordinario della Santa Messa, senza alcuna traccia della tradizione secolare del Canto gregoriano, neppure riproponendo le melodie del Kyrie, del Gloria, del Sanctus e dell’Agnus Dei, scelte che si legano perfettamente con la parte iconografica, vero e proprio capolavoro di semplificazione e di bruttezza, benché create da un noto e internazionale pittore campano, Domenico, detto «Mimmo», Paladino, un «dialogante con il mondo», esponente di spicco della transavanguardia per «un’arte tradizionale che guarda al futuro, che ricalca le figure degli archetipi per poi accentuarli con simboli etruschi, paleocristiani, greci e romani» (Tv2000, febbraio 2018), peccato che un bambino avrebbe creato, gratuitamente, disegni migliori di queste illustrazioni, dove arte e spiritualità cattoliche sono inesistenti. L’incredibile è poi la giustificazione data ad un tale “sforzo pittorico”, ossia assecondare «l’auspicio del cardinal Bassetti (che certamente è proprio a moltissimi pastori zelanti): invitare una volta tanto tutti i membri dell’assemblea a sfogliare il Messale Romano, perché si rendano conto di che poderoso strumento (spesso usato al minimo) è stato disposto alla loro santificazione».
Queste ventitré tavole del commento iconografico al nuovo Messale italiano dovrebbero, quindi, affascinare l’«assemblea» indottrinata da “presbiteri” attenti alle argomentazioni di critici d’arte e intellettuali da salotto… ma tra i fedeli (termine defenestrato da parecchi pastori) c’è anche chi comprende che cos’è attinente al sacro e ciò che non lo è; che cos’è una tavola pittorica meritevole e non classificabile; dove sia davvero il rispetto per la Santissima Trinità e dove, invece, l’adulazione al “pur che sia alternativo”.
Settimo Cielo, 7-9-20, Nuovo messale in Italia. Che cosa cambia e che cosa no
È stato consegnato il 28 agosto a papa Francesco il primo esemplare del nuovo messale della Chiesa italiana, che entrerà obbligatoriamente in uso a partire dalla domenica di Pasqua del 2021.
Questo nuovo messale riguarda naturalmente in primo luogo l’Italia, ma non solo. Già la sua precedente edizione del 1983, infatti, è stata guardata da altri episcopati nazionali come un modello da seguire, sia per la varietà e ricchezza delle preghiere eucaristiche, sia per le circa duecento nuove orazioni d’inizio messa ispirate ciascuna al Vangelo della domenica, sia per le antifone di comunione, anch’esse legate al Vangelo del giorno.
Ma quali sono le novità di questo nuovo messale, approvato dalla conferenza episcopale italiana nel novembre del 2018 con 195 “placet” e 5 “non placet” e confermato in via definitiva da papa Francesco il 16 maggio 2019?
La novità più vistosa, ma anche la più controversa, è la modifica nel “Pater noster” della traduzione della domanda: “et ne nos inducas in tentationem”.
La traduzione “e non ci indurre in tentazione” finora in uso in Italia – al pari della versione inglese in uso negli Stati Uniti: “and lead us not into temptation” – è un preciso ricalco delle parole latine, a loro volta aderentissime all’originale greco: “kai me eisenénkes hemás eis peirasmón”.
Ma a papa Francesco questa traduzione non è mai piaciuta. In più occasioni ha detto che a “tentare” è il diavolo, non Dio, e che quindi era meglio optare per la traduzione già presente nella versione ufficiale della Bibbia edita dalla CEI nel 2008: “e non abbandonarci alla tentazione”, analogamente a come già si prega in Francia e in altri paesi francofoni: “et ne nous laisse pas entrer en tentation”, o in vari paesi di lingua spagnola, Argentina compresa: “e no nos dejes caer en la tentación".
È vero che, a rigor di logica, se Dio non ci può “indurre” nella tentazione, non si vede nemmeno perché invece gli sia consentito di “abbandonarci” ad essa. Per due millenni la Chiesa non si è mai sognata di cambiare questo difficile passo del Vangelo, ma piuttosto di interpretarlo nel suo significato autentico. Come ha fatto anche un biblista dei più autorevoli, il gesuita Pietro Bovati, su “La Civiltà Cattolica” del 3 febbraio 2018, in un dotto articolo che al papa non può essere sfuggito, nel quale spiegava che “il mettere alla prova è nell'intera Bibbia ciò che Dio fa con l'uomo, in vari momenti e modi talora insondabili, ed è ciò che Gesù ha sperimentato al sommo grado nell'orto degli Ulivi prima della passione, quando pregò con le parole: ‘Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice!’”.
Sta di fatto che quando la CEI arrivò al voto sul nuovo messale, nel novembre di quello stesso 2018, a chi chiedeva di tener fermo il “non ci indurre in tentazione” fu comunicato dal tavolo della presidenza che la vecchia traduzione andava in ogni caso abbandonata, perché “così era stato deciso”. E il pensiero di tutti, in aula, andò a papa Francesco.
*
Sempre nel “Pater noster”, i fedeli saranno inoltre chiamati in Italia a una seconda variante, per maggiore fedeltà sia all’originale greco che alla versione latina. Dovranno inserire un “anche” in quest’altra domanda: “E rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori”.
*
Un’altra variazione rilevante sarà introdotta nel “Gloria in excelsis Deo”. Invece di “e pace in terra agli uomini di buona volontà” – che ricalca il latino “et in terra pax hominibus bonae voluntatis” – si dirà: “e pace in terra agli uomini amati dal Signore”, con formula ritenuta più fedele all’originale greco del Vangelo, ove “eudokía” non è la “buona volontà” degli uomini ma la “benevolenza” di Dio per loro.
*
Immediatamente prima del “Gloria” torneranno inoltre in uso le invocazioni classiche in lingua greca “Kyrie eleison” e “Christe eleison”, ferma restando la possibilità di continuare a dire: “Signore pietà” e “Cristo pietà”.
*
Nel “Confiteor” d’inizio messa, ai “fratelli” si aggiungeranno le “sorelle”, in ossequio agli odierni imperativi del politicamente corretto: “Confesso a Dio onnipotente e a voi, fratelli e sorelle, che ho molto peccato…”. E così ogni volta che nell’edizione tipica latina del messale compare la parola “fratres”.
*
Alla comunione, subito dopo l’”Agnus Dei”, sarà tradotta con molta più proprietà la formula che nel messale latino dice:
“Ecce Agnus Dei,
ecce qui tollit peccata mundi.
Beati qui ad cenam Agni vocati sunt”.
Attualmente la traduzione in uso in Italia è la seguente:
“Beati gli invitati alla cena del Signore.
Ecco l’Agnello di Dio,
che toglie i peccati del mondo”.
Dalla domenica di Pasqua del 2021 invece si dirà:
“Ecco l’Agnello di Dio,
ecco colui che toglie i peccati del mondo.
Beati gli invitati alla cena dell’Agnello”.
Come si può notare, nella nuova formulazione il celebrante, nell’atto di presentare ai fedeli il pane e il vino consacrati, si riallaccerà al triplice “Agnus Dei” cantato o recitato subito prima, per aggiungervi – con un doppio “ecco” – le parole di Giovanni il Battista nel quarto Vangelo, e poi ancora la benedizione di Apocalisse 19, 9: “Beati gli invitati alla cena di nozze dell’Agnello”, purtroppo con l’omissione del riferimento alle nozze escatologiche – cancellato anche nel testo latino –, opportunamente presente invece nell’ultima edizione del messale francese: “Heureux les invités au repas des noces de l’Agneau”.
*
Infine, tra le altre principali varianti, ne vanno segnalate quattro nella preghiera eucaristica II, la più in uso di tutte le anafore del messale italiano.
La prima variante è nelle parole iniziali, quelle che si riallacciano al canto del “Sanctus” e attualmente suonano: “Padre veramente santo…”. Dalla prossima domenica di Pasqua diventeranno, più in conformità con il “Vere sanctus” delle antiche anafore latine: “Veramente santo sei tu o Padre, fonte di ogni santità. Ti preghiamo: santifica questi doni…”.
La seconda variante è immediatamente successiva. La formula che finora dice: “santifica questi doni con l’effusione del tuo Spirito” si arricchirà della suggestiva immagine presente nell’espressione latina “Spiritus tui rore sanctifica” e diventerà: “santifica questi doni con la rugiada del tuo Spirito”.
La terza variante è all’inizio del racconto dell’istituzione dell’eucaristia. Dove attualmente si dice: “Egli, offrendosi liberamente alla sua passione…”, si dirà: “Egli, consegnandosi volontariamente alla passione…”, con maggiore fedeltà al senso biblico e liturgico del verbo “tradere” e dell’avverbio “voluntarie” del testo latino.
Nella quarta variante l’espressione “per averci ammessi alla tua presenza a compiere il servizio sacerdotale” sarà mutata in “perché ci hai resi degni di stare alla tua presenza…”, più aderente alla classica formulazione latina: “stare coram te et tibi ministrare”.
*
Nessuna modifica è invece prevista riguardo al “pro multis” nelle parole di consacrazione del calice “qui pro vobis et pro multis effundetur in remissionem peccatorum”, che in italiano continuerà ad essere tradotto non con “per molti” ma con “per tutti”.
Joseph Ratzinger, da papa, aveva cercato di ricondurre tutti i messali in uso nel mondo nelle varie lingue a una traduzione fedele e uniforme dell'originale "pro multis” del canone romano, a sua volta ripreso testualmente dalle parole di Gesù nel Nuovo Testamento.
Nel 2006 tramite la congregazione per il culto divino e poi nel 2012 con una sua lettera personale ai vescovi tedeschi Benedetto XVI sostanzialmente ordinò a tutte le conferenze episcopali di uniformare su questo punto i rispettivi messali, spiegandone le ragioni:
Ma quando un anno dopo papa Benedetto si dimise, alcune conferenze episcopali, tra cui l'italiana, ancora non si erano allineate all'indicazione e mantenevano nei loro messali la dizione "per tutti", entrata in uso dopo il Concilio.
Con l'avvento di Francesco, si è diffusa l'idea che tale dizione sia più consona all'estensione universale della "misericordia" incessantemente predicata dal nuovo papa.
E così sulla questione, pur molto seria, è calato il sipario.
Dal momento che viene accettata la cosiddetta "nuova messa", come possono esserci preoccupazioni per il nuovo libro? Ormai è crollato tutto, con buona pace dei "tradizionalisti" a targhe alterne.
RispondiEliminaAi " nostri fratelli e sorelle " seguira' ..e cognati e cognate e cugini e cugine e suoceri e suocere e generi e nuore... et affini et affine !?
RispondiEliminadai, potrebbe anche starci, ma coerentemente avrebbero dovuto sostituire nel Canone Romano il 'i tuoi fedeli' con 'i tuoi servi e le tue serve', e invece no...
EliminaSolo due varianti ? Maschio e femmina li creò ? ma ci sono oggi tante belle integrazioni... L G B T e vogliamo aggiungere Q R S Z e tutte le altre lettere, non sia mai qualcunx si offenda !
EliminaAlla fine per opera di pochi che fermeranno molti la verità trionferà
RispondiEliminaPensare che l'invito a una maggiore varietà nell'uso delle preghiere eucaristiche significhi disincentivare l'uso del Canone romano significa essere fuori del mondo. Qualcuno forse pensa che oggi nelle parrocchie si usi esclusivamente o quasi il Canone romano? Si usa per lo più la II, e bene che vada in domenica la III...
RispondiEliminaconcordo con lei
Eliminanelle messe domenicali almeno la metà delle volte, se non di più, si proclama la II
la III segue a ruota nel resto
una tantum si usano la IV o la V
il Canone è già tanto se lo si usa una volta l'anno...
il problema però è principalmente la II, che è nata come anafora feriale, ma avendo il prefazio sostituibile (più le varianti predisposte dalla CEI) di fatto la si può usare in qualsiasi momento
In effetti è una cosa ridicola. È chiaro che "fratelli" è sempre stato riferito a tutti, maschi e femmine (peraltro Bergoglio dovrebbe correggere "Fratelli tutti"...). Così facendo pensano di essere alla moda, pensano di essere politicamente corretti, ma sono soltanto dei patetici ipocriti. E poi nei decenni passati, omettendo le "sorelle", avremmo sempre sbagliato? Com'è possibile che Dio abbia permesso questo? Senza contare che in questo modo, implicitamente, si legittimano ulteriori e future modifiche, si rende intrinsecamente "fragile" l'attuale testo.
RispondiEliminamolti hanno parlato con questa misura di 'linguaggio inclusivo di genere', termine grimaldello con cui tra gli anglicani si sono fatte le peggio modifiche alla liturgia
EliminaComunque voi di messa in latino non cambiate mai. Siete proprio ferrati in messa in italiano. Di che vi preoccupate se hanno cambiato la messa tridentina con un un altro rito e voi ancora oggi a parlare e a scandalizzarvi per quelle che a confronto di ciò che hanno fatto sono leggere banalità.
RispondiElimina