Post in evidenza

"Buon Natale" ai nostri cari lettori. Gloria in excelsis Deo! Oggi è nato per noi il Salvatore, Cristo Signore. Gloria!

"Presepio", di autore toscano, fine XVI sec. Pinacoteca Rambaldi, Sanremo, fraz. Coldirodi  Buon Natale! "Et ecce, Angelus Dó...

venerdì 2 ottobre 2020

Libri. La Sindone tra Vangelo e un Canto di Natale

Un consiglio di lettura per i nostri lettori.
Luigi

di Samuele Pinna, Campari & de Maistre, 16-9-20

«Marley, prima di tutto, era morto. Niente dubbio su questo. Il registro mortuario portava le firme del prete, del chierico, dell’appaltatore delle pompe funebri e della persona che aveva guidato il morto. Scrooge vi aveva apposto la sua: e il nome di Scrooge, su qualunque fogliaccio fosse scritto, valeva tant’oro. Il vecchio Marley era proprio morto per quanto è morto, come diciamo noi, un chiodo di porta».
Tale è l’incipit del famoso libro di Charles Dickens Canto di Natale. E, proseguendo la lettura, si scopre che quel morto, tale Jacob Marley, si rifà vivo, andando a visitare il vecchio tirchio e malmostoso Ebenezer Scrooge, suo ex socio in affari. Quest’ultimo è ammonito dall’anima trapassata della necessità di cambiare modo di vivere per non incorrere nella sua stessa pena eterna. Nell’imminente festività gli veniva offerta un’occasione: i tre spiriti del Natale (Passato, Presente e Futuro) avrebbero visitato le lunghe nottate del vecchio uomo dal cuore raggrinzito. Come ogni buona favola la conclusione ha un lieto fine: Dickens chiude il suo magnifico e immaginifico racconto, spiegando che Scrooge «divenne così buon amico, così buon padrone, così buon uomo, come se ne davano un tempo nella buona vecchia città, o in qualunque altra vecchia città, o paesello, o borgata nel buon mondo di una volta. Risero alcuni di quel mutamento, ma egli li lasciava ridere e non vi badava; perché sapeva bene che molte cose buone, su questo mondo, cominciano sempre col muovere il riso in certa gente. Poiché ciechi aveano da essere, meglio valeva che stringessero gli occhi in una smorfia di ilarità, anzi che essere attaccati da qualche male meno attraente. Anch’egli, in fondo al cuore, rideva: e gli bastava questo, e non chiedeva altro».

Morale: le vere fiabe non raccontano favole. E se è innegabile un legame tra questa storia dal sapore squisitamente natalizio con i valori che trovano la loro ispirazione nel cristianesimo, tuttavia nel Nuovo Testamento vi è un episodio per certi versi simile, ma dal finale assai diverso. La Buona novella, infatti, non è una favoletta, anche se – come scriveva J.R.R. Tolkien – «i Vangeli contengono una favola o meglio una vicenda di un genere più ampio che include l’intera essenza delle fiabe» (Albero e foglia, p. 89).

Sicché, in un brano di Luca (16, 19-31) ci si imbatte nella parabola del ricco epulone e del povero di nome Lazzaro. Salta subito all’occhio il fatto che sia ricordato soltanto il nome della persona indigente, mentre della persona agiata nulla si dice, quasi a voler suggerire una sorta d’identificazione con il lettore (e non tanto a riguardo delle ricchezze possedute). Il brano evangelico racconta, difatti, di questo personaggio vestito di porpora e di bisso che tutti i giorni banchettava lautamente. Al suo desco stava in disparte Lazzaro, il quale non riusciva a cibarsi neppure delle briciole che cadevano dalla tavola del ricco e che, anzi, erano i cani ad andare a leccare le sue piaghe. A bene vedere non si avverte nessuna prevaricazione dell’uomo facoltoso sul misero, ma si legge tra le righe un grande male (ecco ciò che può riguardare chiunque!): ai suoi occhi il povero era semplicemente invisibile. Entrambi i protagonisti della parabola a un certo punto muoiono: il povero Lazzaro fu portato dagli angeli nel seno di Abramo, il ricco fu precipitato nell’inferno, tra i tormenti. Accorgendosi del Patriarca chiede aiuto, ma nessuno può venire in soccorso perché un grande abisso separa i due stati eterni: «coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi» (v. 26). L’ultimo passaggio è di estremo interesse per introdurre un libro da poco uscito per i tipi di Ares (2020): Nuova luce sulla Sindone. Storia. Scienza. Spiritualità, a cura di Emanuela Marinelli, indiscussa esperta di sindonologia. Si legge nel Vangelo: «E quello [il ricco] replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”» (vv. 27-31).

A differenza dei romanzi natalizi di Dickens (di cui Robert Louis Stevenson affermava: «Quanto è vero Dio, sono tanto belli, e mi sento così bene dopo averli letti. Voglio uscire a fare del bene a qualcuno […] Oh, come è bello che un uomo abbia potuto scrivere libri come questi riempiendo di compassione il cuore della gente!»), la pericope evangelica sembra asserire che nessun segno può convertire un cuore perfido, senza fede. Abbiamo chi è risorto dai morti, ma non per questo l’ascoltiamo e cambiamo vita. Monito per i pagani d’allora e di oggi, ma pure per i credenti, perché nessun miracolo apparirà tale per coloro che sono ottenebrati dallo spirito dell’inganno, nonostante i prodigiosi segni del passaggio di Dio nella storia. Tra questi, risalta il mistero della Sindone: un mistero naturale e soprannaturale insieme, di natura scientifica sia naturalistica che teologica. Nuova luce sulla Sindone è un testo che, pur non rinunciando alla ricerca accademica, aiuta a comprendere parte di quella storia che ha in primo piano le vicissitudine lungo i secoli di quel lenzuolo di lino in cui fu avvolto il Cristo dopo la sua morte di croce. Storia, scienza e spiritualità sono richiamati per fare il punto davanti a una presenza ammantata di fascino. Lo stesso Benedetto XVI in una Meditazione tenuta il 2 maggio 2010 davanti all’immagine sacra ha dichiarato: «In diverse altre occasioni mi sono trovato davanti alla sacra Sindone, ma questa volta vivo questo pellegrinaggio e questa sosta con particolare intensità: forse perché il passare degli anni mi rende ancora più sensibile al messaggio di questa straordinaria Icona; forse, e direi soprattutto, perché sono qui come Successore di Pietro, e porto nel mio cuore tutta la Chiesa, anzi, tutta l’umanità».

Scorrendo le pagine del volume (composto da 12 contributi), un’opera preziosa per la Chiesa, si può avvertire la grandezza della presenza di Dio che, ancora e di nuovo ancora, si fa prossimo all’uomo per indicargli la via del bene che conduce al Bene. Insomma di chi – come il signor Scrooge di Dickens – vuole vivere secondo i principi della più rigorosa temperanza, cosicché «Dio ci protegga tutti e ci benedica».