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mercoledì 23 settembre 2020

Porfiri: "Ego sum Panis vivus" di Palestrina

Un bel commento del Maestro Aurelio Porfiri in tema di musica sacra e del grande Giovanni da Palestrina.
Luigi

Marco Tosatti

[...]

Chiunque a una certa confidenza con la tradizione musicale della Chiesa cattolica, sa bene che i pezzi in onore dell’eucarestia formano una parte cospicua del repertorio stesso. Compositori di tutte le epoche hanno ben pensato di scrivere musiche in onore di questo grande sacramento, questo sacramento che per noi è sorgente di salvezza. In un Angelus del 16 agosto 2009 papa Benedetto XVI affermava: “Ieri abbiamo celebrato la grande festa di Maria Assunta in cielo e oggi leggiamo nel Vangelo queste parole di Gesù: “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo” (Gv 6,51). Non si può non restare colpiti da questa corrispondenza, che ruota intorno al simbolo del “cielo”: Maria è stata “assunta” nel luogo dal quale il suo Figlio era “disceso”. Naturalmente questo linguaggio, che è biblico, esprime in termini figurati qualcosa che non entra mai completamente nel mondo dei nostri concetti e delle nostre immagini. Ma fermiamoci un momento a riflettere! Gesù si presenta come il “pane vivo”, cioè il nutrimento che contiene la vita stessa di Dio ed è in grado di comunicarla a chi mangia di Lui, il vero nutrimento che dà la vita, nutre realmente in profondità. Gesù dice: “Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” (Gv 6,51). Ebbene, da chi il Figlio di Dio ha preso questa sua “carne”, la sua umanità concreta e terrena? L’ha presa dalla Vergine Maria. Dio ha assunto da Lei il corpo umano per entrare nella nostra condizione mortale. A sua volta, alla fine dell’esistenza terrena, il corpo della Vergine è stato assunto in cielo da parte di Dio e fatto entrare nella condizione celeste. E’ una sorta di scambio, in cui Dio ha sempre la piena iniziativa, ma, come abbiamo visto in altre occasioni, in un certo senso, ha anche bisogno di Maria, del “sì” della creatura, della sua carne, della sua esistenza concreta, per preparare la materia del suo sacrificio: il corpo e il sangue, da offrire sulla Croce quale strumento di vita eterna e, nel sacramento dell’Eucaristia, quale cibo e bevanda spirituali”. Sicuramente, un compositore che ha saputo esaltare queste parole di Gesù, è stato Giovanni Pierluigi da Palestrina (1525-1594), il più grande compositore che la Chiesa cattolica abbia prodotto. A servizio della Chiesa in Roma per gran parte della sua vita, egli fu compositore eccelso, in grado di esaltare i testi liturgici con una musica che li sapeva penetrare nella loro essenza più profonda. Per questo fu considerato un compositore teologo, un musicista che sapeva trarre dai testi le loro risonanze più mistiche e spirituali. Dopo la sua morte, fu ammirato da tutti i compositori dopo di lui, considerato un modello di composizione non solo Liturgica ma anche in senso più ampio. Egli seppe raggiungere nell’arte vocale un equilibrio che dopo di lui rimane insuperato. Esempio di questo è il mottetto a 4 voci dispari Ego sum panis vivus, una delle numerose gemme nel suo repertorio. Pubblicato nel Motectorum Quatuor Vocibus Liber Secundus nel 1584, il testo è tratto dall’antifona al Benedictus della feria quarta nel mercoledì nell’ottava di pentecoste (parole tratte dal vangelo di Giovanni 6, 48-50): “Ego sum panis vivus. Patres vestri manducaverunt manna in deserto et mortui sunt. Hic est panis de caelo descendens: si quis ex ipso manducaverit non morietur”. Lino Bianchi, nel suo monumentale libro su Palestrina, dice che le parole di Gesù, proprio riferendosi a questo mottetto, sono richiamate in un’”alta loro rievocazione”. Lo stesso Bianchi più in là aggiunge: “la scaturigine dell’arte di Palestrina è la parola, sentita in tutte le possibili potenzialità; nelle quali essa assume ed esprime, secondo i contesti in cui è inserita, significati, atteggiamenti del gesto e del sentire, allusività, evocazioni, moti del pensiero, nella gamma sconfinata, dalla più immediata e tenera riflessione amorosa del madrigale profano, alla speculazione teologica estaticamente più inaccessibile della messa, del mottetto, del madrigale spirituale. Dal sentire più intimo, personale e personalizzato, al sentire collettivo, innumerevolmente personale, portato fino alle dimensioni stesse dell’inconcepibile“. Questo tentare di entrare dentro la parola, di scavare il suo significato più profondo renderlo in musica, è certamente una delle caratteristiche di Palestrina, una caratteristica che mette la sua arte ad un livello straordinariamente alto, un livello che è difficile raggiungere, dove l’aria si fa troppo rarefatta. Un livello dove probabilmente possono respirare soltanto i mistici, ma che ci fa bene comunque contemplare, anche nelle nostre miserie quotidiane, una musica che ci richiama ad un mondo che un giorno speriamo sarà accessibile anche a noi. Nel dialogo iniziale del mottetto, che stabilisce un modo di tritus, l’esposizione del bicinium (cioè l’entrata delle prime due voci che dialogano scambiandosi la melodia) possiamo osservare due dinamiche, una sequenza discendente seguita da una rapida ascendente sulla parola panis. Questa dinamica ci sembra rappresentare perfettamente quella dell’incarnazione che si abbassa per innalzarci, una dinamica che noi vediamo all’opera nella nostra fede. Gesù è il pane vivo che si offre a noi per portarci a lui. Un gesto di umiltà inconcepibile, ma che noi cristiani crediamo con la forza che ci può dare la fede. In una chiesa romana esiste una statua che rappresenta l’umiltà. È una donna, mi sembra di ricordare, con in mano una palla. Che cosa ha a che fare questo con l’umiltà? Perché la palla con più forza la getti in basso più rimbalzerà in alto. Ecco, questa è una bella immagine dell’umiltà, chi si umilia sarà esaltato. Quindi, questa dinamica di basso e alto la vediamo in azione in tutto il mottetto. Per esempio si veda il trattamento della frase “Hic est panis de caelo descendens”, con quel salto melodico sulla parola “coelo”. In questo, il lavoro di Palestrina riflette perfettamente lo stile del canto gregoriano, come troviamo confermato in un libro chiamato “La melodia palestriniana e il canto gregoriano“ del musicologo rumeno Liviu Comes. In questo libro troviamo una citazione da Richard Wagner che dice che il lavoro di Palestrina era “il modello della suprema perfezione della musica sacra“. Un modello che, non dimentichiamo, fu affermato anche dalla stessa Chiesa cattolica al suo livello più alto. Pensiamo al motu proprio sulla Musica Sacra del 1903 di Papa Pio X. In esso autorevolmente si afferma, dopo aver enumerato le qualità della vera musica sacra: “Le anzidette qualità sono pure possedute in ottimo grado dalla classica polifonia, specialmente della Scuola Romana, la quale nel secolo XVI ottenne il massimo della sua perfezione per opera di Pier Luigi da Palestrina e continuò poi a produrre anche in seguito composizioni di eccellente bontà liturgica e musicale. La classica polifonia assai bene si accosta al supremo modello di ogni musica sacra che è il canto gregoriano, e per questa ragione meritò di essere accolta insieme col canto gregoriano, nelle funzioni più solenni della Chiesa, quali sono quelle della Cappella Pontificia. Dovrà dunque anche essa restituirsi largamente nelle funzioni ecclesiastiche, specialmente nelle più insigni basiliche, nelle chiese cattedrali, in quelle dei seminari e degli altri istituti ecclesiastici, dove i mezzi necessari non sogliono fare difetto“. Una affermazione molto chiara.

Insomma, mi sembra chiaro che brani come questo sono modelli imprescindibili per tutti coloro che si vogliono dedicare alla musica di Chiesa, modelli che bisogna sempre tenere presenti pur nella diversità dei contesti e dei tempi.

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