QUI l'OMS sulla questione guanti.
Luigi
Cari amici e nemici di Stilum Curiae, l’avvocato Maria Stella Lopinto ci ha scritto per sottolineare la situazione di incertezza e di confusione in cui ci troviamo – grazie alla mancanza di direttive precise della Conferenza Episcopale Italiana – in materia di guanti durante la messa, e non solo. Un altro episodio dello sconcertante comportamento dei vescovi. Buona lettura.
Caro dott. Tosatti,
nonostante l’esplicita dichiarazione di pericolosità dei guanti da parte dell’OMS e della Conferenza delle Regioni (https://www.marcotosatti.com/2020/06/09/basta-guanti-lo-dicono-le-regioni-basta-anche-per-leucarestia/), l’uso dei guanti ancora imperversa nelle chiese e parrocchie. A Roma si è verificato anche oggi in una chiesa in pieno centro, ma il caso non è isolato, visto che negli ultimi giorni vari parroci si sono giustificati dicendo “è la Chiesa che lo dice”!
La Cei evidentemente ritiene che i parroci deducano da soli che, se i guanti sono pericolosi per gli avventori di bar e utenti delle poste, lo sono anche per i fedeli nelle chiese, e assumano così iniziative autonome, bandendo l’uso dei guanti durante le celebrazioni, a prescindere da una precisa direttiva ecclesiastica.
Così non è, soprattutto se è la stessa Diocesi di Roma, per esempio, che distribuisce guanti gratuitamente alle varie parrocchie, per cui è evidente che, quand’anche a qualcuno fosse balenata l’idea di eliminare i guanti, l’invito del Vescovo “a ritirare gratuitamente nel palazzo del Vicariato, tre confezioni da 100 pezzi di guanti per ogni parrocchia e rettoria”, ha fatto fare dietro front ai parroci zelanti.
Forse una indicazione implicita è stata data dalla Cei in occasione del Corpus Domini, quando ha pubblicato le “direttive del Comitato Tecnico Scientifico”, a cui si era rivolta per avere il benestare riguardo alle processioni: in quell’occasione, fra le varie indicazioni, il Comitato Tecnico Scientifico, NELL’AUTORIZZARE LE PROCESSIONI, ha solo aggiunto la raccomandazione di utilizzare quale misura igienico sanitaria quella del “LAVAGGIO FREQUENTE DELLE MANI”: https://www.chiesacattolica.it/wp-content/uploads/sites/31/2020/06/12/protocollo_5978_circolare_ocr.pdf.
Coerenza avrebbe voluto che tale indicazione costituisse un obiter dictum, cioè fra le righe volesse confermare ai parroci che i guanti sono ormai da considerarsi pericolosi e che la norma igienica raccomandata dallo “STATO” è solo quella di lavare le mani frequentemente.
Non è stato così, anche perché, pure in questo caso, l’autorizzazione a svolgere le processioni è stata accuratamente NON divulgata e addirittura il Vicariato di Roma ha diffuso informazioni contrastanti e istruzioni alternative alle processioni dicendo che “non è possibile organizzare la processione eucaristica a causa delle disposizioni sanitarie”: http://www.diocesidiroma.it/la-proposta-di-adorazione-per-il-corpus-domini/
Da questo scenario, si deduce che si pretende troppo dai parroci e sacerdoti, visto che arrivano loro indicazioni contrastanti e non arriva invece una chiara indicazione che escluda esplicitamente l’uso dei guanti perché pericolosi per la salute (noi sappiamo che lo sono per ben altri motivi).
Stamattina il parroco inguantato mi indicava il protocollo ben in vista e diceva: finché vale questo, io obbedisco! Il che significa che finché non gli arriva una indicazione uguale e contraria, lui continuerà ad usare i guanti!
E sarebbe il caso che giungano anche indicazioni chiare circa la NON OBBLIGATORIETA’DELLA DISTRIBUZIONE DELLA COMUNIONE SULLE MANI, visto che non solo il famoso protocollo non la prevede, ma che anche per quella modalità è stato stradetto che costituisce un fattore moltiplicatore del contagio, diversamente dall’assunzione direttamente in bocca. Non è necessario che anche in questo caso debba pronunciarsi l’OMS per smettere di fare qualcosa di insano e pericoloso per la salute.
Questo lassismo nel dare indicazioni tempestive sulla pericolosità dell’uso dei guanti e della distribuzione sulle mani contrasta con la PREMURA PER LA SALUTE DEI FEDELI con cui la CEI ha giustificato il protocollo. La stessa premura dovrebbe imporre altrettanta diligenza nel dare direttive opposte ai parroci. E pure a pubblicizzare tali direttive, anche per far decantare lo stato di polizia che gli stessi parrocchiani impongono ai poveri parroci, bersagliandoli continuamente con pretese motivate dal terrore del virus.
Lo stato di dissociazione fra ciò che accade nelle chiese e ciò che accade fuori è riscontrabile ad occhio nudo: entrando nelle chiese pare di entrare in sale operatorie, con organizzazioni maniacali e squadre specializzate che si muovono rigorose per igienizzare ogni centimetro quadro, mentre ovunque fuori anche il distanziamento sociale pare una chimera.
Il contrasto è così forte, che sorge il dubbio che ci sia un interesse a mantenere lo status quo nelle chiese. Ma cui prodest? Non certo alla CEI, che sicuramente sarà invitata a porre termine quanto prima a tale stato di incertezza.