Una riflessione di don Alfredo Morselli, pubblicata da Aldo Maria Valli.
Luigi
27-5-20
Cari amici di Duc in altum, torniamo sulla questione del papa emerito. Lo facciamo con un originale contributo di don Alfredo Maria Morselli il quale legge la scelta di Benedetto XVI e l’attuale situazione del papato alla luce della Sacra Scrittura e in particolare del Libro di Giona.
A.M.V.
Il profeta Giona e il mistero del papa emerito
Leggendo il commento di san Girolamo al Libro di Giona, non ho potuto non pensare a Benedetto XVI e al mistero del papa emerito: e dico mistero non perché nessuno ha ancora capito che cosa sia esattamente questa forma di papato (e forse neanche lo stesso Benedetto XVI lo ha spiegato bene), ma perché non si possono contemplare gli avvenimenti di questi ultimi anni se non come la Madonna contemplava le risposte, umanamente tanto dolorose quanto inspiegabili, del Figlio.
“Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. E Maria, da parte sua, “custodiva tutte queste cose nel suo cuore” (Lc 2,49-51).
“Benedetto, perché ci hai fatto questo? Perché sei scomparso? Perché hai lasciato che altre persone occupassero il tuo posto?” Benedetto non ha dato risposta. Ha detto solo: “Non ce la facevo più”, e noi “custodiamo nel cuore il mistero”.
Custodire e meditare non significa però astenersi dal cercare una risposta, almeno parziale: e siccome la chiave dei misteri è nella Sacra Scrittura, questa sarà il nostro terreno di ricerca.
Una delle sane antiche regole della buona ermeneutica è che gli episodi della storia sacra sono figure, tipi, corsi e ricorsi storici: nessun evento tipico della Scrittura può predicarsi univocamente di un singolo fatto storico, ma può essere la forma di più fatti, che lo compiono analogicamente. Ad esempio, le “sette teste” che “sono i sette monti sui quali è seduta la donna” (Ap 17, 9) indicano che la donna è Roma, ma sono anche figura di tutti i regimi umani che assurgono al ruolo di stato etico-divino.
E allora mi verrebbe da dire che il profeta Giona nel ventre del pesce, unico segno che il Signore ha lasciato a questa generazione (l’umanità post-redenzione, l’umanità di questa ultima lunghissima ora, secondo sant’ Agostino, dalla Resurrezione alla Parusia), è la forma del papa emerito.
Non pochi hanno stigmatizzato la rinuncia di Benedetto, reputandola la causa di tutti i mali; gli hanno rinfacciato che, secondo loro, ciò che temeva fin dal primo giorno del suo pontificato, cioè fuggire davanti ai lupi, è successo, né più né meno.
E anche Giona vien fatto spesso passare come quello che, fuggendo per la paura di predicare, si è ritrovato a essere inseguito da Dio e poi si salva in corner predicando, per altro non senza disappunto, ai Niniviti.
Ma san Girolamo non la pensa così: Giona fugge non perché ha paura o perché è pigro, ma perché, mosso da spirito profetico, sa che, quando i pagani avrebbero creduto, Israele, il suo popolo amato, sarebbe stato riprovato. E in questo, secondo il santo di Stridone, è figura di Gesù, che amava il suo popolo: “Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini” (Mt 15,26). “Gerusalemme… quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una chioccia i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto” (Lc 13,34).
Quindi, cominciamo a mettere i puntini sulle “i”: Giona non fugge per paura, ma per amore del suo popolo.
Poi vediamo come, al sorgere della tempesta, Giona si offre per la salvezza di tutti, per la salvezza della nave su cui ci sono vari popoli. Giona confessa la sua fede, tanto da incutere rispetto: “Sono ebreo e venero il Signore, Dio del cielo, che ha fatto il mare e la terra” (Giona 1,9).
Secondo san Girolamo, il pesce che lo inghiotte è, per la sua vastità, figura degli inferi, ma è anche un rifugio mandato perché possa essere salvato, nel tempo della tempesta, dai pericoli del mare.
E, soprattutto, Giona, prima di essere rigettato dal pesce, prega. E in questo è, in primo luogo, figura di Gesù nel sepolcro, in attesa della resurrezione. Ma, se è vero che la Chiesa rivivrà la passione di Cristo, Giona nel ventre è figura anche della Chiesa, che rimarrà nascosta, ai minimi termini, in tempi anti-cristici.
Come il Corpo di Cristo, pur sempre unito alla divinità, si separò dall’anima, così il papa si è separato dalla giurisdizione visibile, ma rimane il famoso munus: rappresentare la Chiesa che vive la sua passione, nel ventre del pesce, mentre fuori infuria la tempesta, destinata presto a placarsi.
E i Niniviti, che si convertirono alla predicazione di Giona, non potrebbero forse essere i popoli che si convertiranno alla nuova autentica predicazione della Chiesa cattolica, quando i tre giorni saranno passati e verrà il trionfo del Cuore Immacolato?
E il papa con pieni poteri? Che dire di papa Francesco, che non smetterò di riconoscere come vero papa a tutti gli effetti (e “a tutti i difetti”, nella misura che la fede mi consente)? Nel Libro di Giona la scena si chiude su quel che succede fuori dal ventre del pesce: perché importa poco. Contano i tre giorni che passano, conta la preghiera di Giona, conta la nuova autentica predicazione, annunciata e ascoltata. Di quel che succede sulla vecchia barca, conta solo che la barca non è andata fondo: la tempesta e un cattivo equipaggio non l’hanno affondata, ma nessuno ha più saputo niente dei viaggiatori o dei marinai del vecchio equipaggio.
E come non collegare i tre giorni che passano presto e la successiva predicazione di Giona con le promesse di Fatima?”. “Infine, il mio Cuore Immacolato trionferà”, come le aveva anticipate il Montfort: “Maria deve risplendere più che mai in questi ultimi tempi in misericordia, in forza e in grazia. In misericordia per ricondurre e accogliere amorevolmente i poveri peccatori e i traviati che si convertiranno e ritorneranno alla Chiesa cattolica. In forza, contro i nemici di Dio, gl’idolatri, gli scismatici, i maomettani, gli ebrei e gli empi induriti che si ribelleranno in modo terribile per sedurre e far cadere, con promesse e minacce, tutti quelli che saranno loro contrari. E infine deve risplendere in grazia, per animare e sostenere i prodi soldati e fedeli servi di Gesù Cristo che combatteranno per i suoi interessi” (Vera devozione, § 50).
Conclusione: sgraniamo rosari, facciamo sacrifici, non stanchiamoci di fare il bene, conserviamo la dottrina, con Giona-Benedetto XVI nel ventre della balena, in questo temporaneo “inferno della Chiesa”, in attesa del suo definitivo trionfo.
Sac. Alfredo M. Morselli
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Nella foto: Pieter Lastman, Giona e la balena, 1621, olio su tavola, Museum Kunstpalast, Düsseldorf