Pubblicato da Aldo Maria Valli.
L'autore è il bravo e noto sacerdote e teologo don Mauro Gagliardi.
Aderiamo convintamente all'appello.
Luigi
10-3-20
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Don Mauro Gagliardi, sacerdote diocesano dal 1999, è professore ordinario di Teologia presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum e professore invitato presso la Pontificia Università di San Tommaso d’Aquino in Urbe (Angelicum).
I vescovi italiani hanno deciso di applicare in modo estensivo il decreto del presidente del Consiglio dei ministri dello scorso 8 marzo, secondo cui «sono sospese le cerimonie civili e religiose, ivi comprese quelle funebri» (art. 2/v). I nostri vescovi citano, in una nota pubblicata lo stesso giorno, un’interpretazione del decreto, operata dal Governo stesso, secondo cui queste parole implicano il divieto totale, su tutto il territorio nazionale, della celebrazione della Santa Messa, tanto nei giorni festivi quanto in quelli feriali. Non pochi si sono chiesti se il Governo abbia il diritto di ingerirsi in modo così pesante nella vita interna della Chiesa, ma su questo aspetto non intendiamo qui soffermarci.
Con questa breve nota, si vuole solo prendere a cuore – con spirito pastorale – il desiderio soggettivo e soprattutto l’esigenza spirituale oggettiva di milioni di cattolici italiani, che si vedranno privati dell’Eucaristia come minimo fino al 3 aprile prossimo. Per quanto sarebbe auspicabile che la Cei rivedesse parzialmente le proprie disposizioni circa la celebrazione della Messa, ciò sembra al momento poco probabile. Si può, allora, suggerire rispettosamente ai nostri vescovi che, dopo aver accettato la sospensione della celebrazione pubblica della Santa Messa, ricordino anche che resta possibile ricevere la Santa Comunione.
Esiste, infatti, un libro liturgico, pubblicato dalla Santa Sede nel 1978, intitolato Rito della Comunione fuori della Messa e Culto liturgico. Nelle «Premesse», si ricorda che il modo normale di ricevere la Santa Comunione sia di farlo durante la Santa Messa. Ma subito si aggiunge: «I sacerdoti però non rifiutino di dare la Santa Comunione anche fuori della Messa ai fedeli che ne fanno richiesta. È bene anzi che a quanti sono impediti di partecipare alla celebrazione eucaristica della comunità, si porti con premura il cibo e il conforto dell’Eucaristia» (n. 14). Questo testo si riferisce di certo agli infermi e agli anziani, che non possono uscire di casa e quindi non possono partecipare alla Santa Messa. Ma applicare questa indicazione solo a tali persone sarebbe restrittivo ed errato. Lo stesso libro liturgico precisa, infatti, che «il luogo normale per la distribuzione della Santa Comunione fuori della Messa è la chiesa o l’oratorio in cui si celebra o si conserva abitualmente l’Eucaristia […]. Si può tuttavia distribuire la Santa Comunione anche in altri luoghi, ivi compreso le case private, in caso di malati …» (n. 18). Quindi, la Santa Comunione fuori della Messa non è riservata solo a coloro che non possono lasciare le loro case e quindi bisogna portare loro la Comunione a domicilio, ma deve essere disponibile a tutti coloro che, per ragioni non dipendenti dalla propria volontà, non possono partecipare alla Santa Messa e comunicare in essa. E questa è esattamente l’odierna situazione dei fedeli, che senza loro responsabilità sono privati sia della Celebrazione eucaristica sia della Santa Comunione.
Si deve dunque sperare che la Cei voglia emettere un nuovo comunicato, in cui si ricorda ai sacerdoti questa possibilità e anzi la si incoraggia, soprattutto per le domeniche, ma non solo. La Cei potrà anche dare indicazioni sulle modalità concrete per effettuare questa distribuzione, tenendo conto anche dell’indicazione secondo cui «la Santa Comunione fuori della Messa si può distribuire in qualsiasi giorno e in qualunque ora del giorno» (n. 23). Siccome in questa fase sono sconsigliate, se non addirittura proibite, le celebrazioni comunitarie, si tratterà di dare la Comunione, anche individualmente, ai fedeli che durante la giornata si presentassero al sacerdote per ricevere il Corpo di Cristo. Nei casi in cui si radunasse spontaneamente nello stesso momento un piccolo gruppetto di persone, si potrebbero comunque osservare facilmente le norme di profilassi indicate dal Governo (ad esempio il metro di distanza tra i fedeli). Se invece si trattasse di un singolo fedele, non vi sarebbe neanche bisogno di negargli la Comunione sulla lingua, se la desidera, dato che non vi sarebbero altri comunicanti a rischio di contagio. Il sacerdote si laverebbe bene le mani prima di dare a quel fedele la Comunione, così che ogni rischio decadrebbe.
In questi giorni, i sacerdoti avranno a disposizione più tempo del solito: essi non devono preparare l’omelia, non devono tenere classi di catechismo, né ricevere ragazzi in oratorio; quei sacerdoti che sono anche docenti, sono momentaneamente sollevati da tale compito. Il parroco e gli altri sacerdoti in cura d’anime hanno quindi maggiore disponibilità di tempo per accogliere generosamente coloro che anelano ricevere il Pane della vita. D’altro canto, anche in tempi di coronavirus, non si scaccerebbe un povero che bussasse alla porta della casa canonica per chiedere un tozzo di pane. Si possono allora mandare via quelli che bussano per ricevere l’unico Pane che davvero sfama l’uomo? È possibile organizzarsi con una certa facilità, per esempio affiggendo un avviso alle porte della chiesa, per indicare le fasce orarie in cui è possibile chiedere e ricevere la Santa Comunione. Anche questa generosità spirituale sarà un bel segno, di certo apprezzato dai fedeli, che potranno ancora una volta accorgersi dell’amore pastorale che i sacerdoti nutrono verso il gregge di Cristo.
Al di là di questi dettagli concreti, si tratta di allargare il nostro cuore di pastori. Noi sacerdoti continueremo a celebrare “privatamente” la Santa Messa ogni giorno ed a ricevere il Corpo e Sangue di Cristo. E i fedeli? Dovranno rimanere senza Comunione eucaristica fino al 3 aprile? Non dovremmo andare incontro al legittimo desiderio di tantissimi cattolici che giustamente anelano di ricevere Gesù eucaristico? Sebbene per attuare la possibilità qui ricordata non vi sia bisogno di alcun permesso specifico (soprattutto nei casi di Comunione ad un singolo fedele), sembra probabile che la maggioranza dei sacerdoti – per diversi motivi, emergenziali o ideologici – non accederà spontaneamente ad essa. Un’indicazione ufficiale della Cei in questo senso sarebbe pertanto provvidenziale. Confidiamo che i nostri vescovi vogliano operare proprio in questa direzione e di questo li preghiamo.
Don Mauro Gagliardi