Sull'argomento leggere su MiL QUI l'intervista al Segretario della CDF Mons. Morandi.
Luigi
L’ultimo libro della Pcb, Che cosa è l’uomo?, con le sue nuove interpretazioni su divorzio e Sodoma, risente di un problema di fondo. Un tempo, al vertice della teologia e del sapere naturale stavano la dogmatica e la metafisica. Oggi la preminenza è invece degli studi biblici, sempre più sganciati sia dalla prima che dalla seconda. E influenzati dalle scienze umane, incerte per natura. Giovanni Paolo II e Benedetto XVI ci avevano già messo in guardia.
Il libro pubblicato dalla Pontificia Commissione Biblica (Pcb), Che cosa è l’uomo?, ha suscitato un dibattito animato da qualche perplessità e da fondati timori a cui ha dato voce anche la Nuova Bussola (vedi qui e qui). In modo particolare hanno fatto problema alcune nuove interpretazioni di passi della Bibbia.
Il quotidiano Avvenire del 19 dicembre scorso, presentando il lavoro dei biblisti vaticani, titolava “Divorzio, vietato scherzare”: però, alcune conclusioni interpretative contenute nel libro sicuramente destano stupore, proprio perché non scherzano. Ritengo che il confronto seguito a questa pubblicazione (che non è magistero, anche se Avvenire titolava anche così: “Testo sulla scia di Amoris laetitia”) dovrà sì occuparsi dei contenuti, come per esempio la nuova interpretazione del brano relativo alla distruzione di Sodoma, senza però perdere l’occasione di occuparsi di un problema più vasto, quello del posto dello studio della Scrittura nel quadro del sapere teologico ed ecclesiale che il biblicismo tende a scombinare.
Da molto tempo le discipline bibliche hanno assunto un ruolo di grande rilievo, si potrebbe dire addirittura un primato all’interno dei piani di studio delle facoltà teologiche e dei seminari. I biblisti influenzano notevolmente la vita della Chiesa e si propongono come i nuovi “esperti tuttologi”. Il ruolo che un tempo spettava alla teologia dogmatica, vertice del sapere ecclesiale, oggi viene svolto dagli studi biblici. Questi sono sempre più sganciati da un contesto e liberi di muoversi a piacimento, come fossero l’avanguardia che traccia la linea, anziché essere una componente di un tutto organico guidato dalla dogmatica.
Svincolati dal tradizionale contesto del sapere, molti biblisti si fanno influenzare da tutte le filosofie e dalle scienze umane, ne assorbono tutti i contenuti, anche quelli più problematici, e li trasferiscono agli altri ambiti della teologia. Dalla porta del biblicismo sono entrati in teologia il marxismo (ricordiamo tutti le “letture materialiste della Bibbia” degli anni Settanta del secolo scorso), l’esistenzialismo, lo storicismo, l’evoluzionismo, il freudismo. Molti biblisti sono diventati famosi per le avventate provocazioni da loro formulate.
Difficile non pensare a un’influenza del protestantesimo sul cattolicesimo in questo nuovo primato degli studi biblici, soprattutto perché il biblicismo, ponendosi all’inizio e a fondamento del sapere teologico, si sottrae al corretto rapporto tra fede e ragione.
Un tempo, come accennato, alla posizione di vertice della teologia stava la dogmatica, a cui corrispondeva la metafisica al vertice del sapere naturale. L’emergere del biblicismo ha generato l’abbandono dell’una e dell’altra. L’antropologia biblica (ricordo che il libro di cui stiamo parlando si occupa di cosa sia l’uomo) non viene più fatta sotto l’ombrello dell’antropologia metafisica e dell’antropologia teologica. Del resto l’antropologia teologica oggi ha sostituito la teologia della Creazione (il trattato de Deo creante) sicché le deviazioni bibliciste in questo campo diventano più facili. Può diventare così possibile parlare dell’omosessualità reinterpretando i passi biblici su Sodoma, indipendentemente da considerazioni di antropologia metafisica.
Alcune conclusioni delle scienze umane, conclusioni incerte per natura, hanno così la preminenza sulle conclusioni dell’antropologia metafisica; e la nuova interpretazione di quei passi biblici induce una revisione della stessa antropologia. In questo modo tutto il quadro ordinato del sapere filosofico e teologico viene scombinato. Non si pensi che queste siano problematiche di marginale rilevanza per la vita della Chiesa.
Nell’enciclica Fides et ratio (n. 55), Giovanni Paolo II aveva detto che le letture della Bibbia (le “ermeneutiche bibliche”) hanno sempre alle spalle delle filosofie che vanno valutate con discernimento prima di applicarle ai testi sacri. Ma questo diventa difficile, se l’esegesi biblica si pone all’inizio del sapere teologico. Benedetto XVI, nell’Esortazione apostolica post-sinodale Verbum Domini del 2010, ha ricordato questo avvertimento di Giovanni Paolo II, confermandolo (n. 36). Ratzinger dice che lo studio delle Sacre Scritture deve essere “l’anima dello studio teologico”, come anche insegnato dal Vaticano II, ma ciò non significa che non debba stare al suo posto come disciplina nel contesto del quadro delle discipline teologiche.
La Fides et ratio è chiara: il biblicismo “tende a fare della Scrittura o della sua esegesi l’unico punto di riferimento veritativo”, il che è una forma di fideismo, come “la poca considerazione che viene riservata alla teologia speculativa, come pure nel disprezzo della filosofia classica, alle cui nozioni sia l’intelligenza della fede sia le stesse formulazioni dogmatiche hanno attinto i loro termini”.
Di recente, papa Francesco ha pubblicato la Costituzione apostolica Veritatis gaudium (27 dicembre 2017) sull’ordinamento degli studi teologici, che però, a considerare i commenti pubblicati nelle varie riviste specializzate, non ha ricomposto il quadro né risolto i problemi. C’è infatti chi la legge alla luce di Fides et ratio e di altri documenti magisteriali precedenti, insistendo sul quadro del sapere con al vertice la dogmatica e la metafisica; c’è invece chi la legge in tutt’altra prospettiva, storicista e biblicista, nella cui scia sembra collocarsi anche il libro della Pontificia Commissione Biblica di cui ci siamo occupati.
IL CVII che ha visto riemergere con prepotenza le varie correnti del pensiero modernista, ha deviato in una ' svolta antropologica' che aveva allarmato i grandi teologi ed esegeti del tempo, quali C. Fabro che approfondì le future conseguenze negative sulla dottrina e morale cattolica e sugli studi teologici. Questi, perduto il metodo aristotelio-tomistico cardine di ogni ricerca scientifica sis essa fisico-matematica, biologica o psicologica etc., hanno introdotto una babele di ideologie socio-politiche e relativistiche che hanno finito per disorientare gli studi teologici e biblici.Senza parlare di fenomeni patologici come il narcisismo profetico che spesso ricorre al gioco delle tre carte quando si affanna a dimostrare, con una specie di salto ad ostacoli che un certo passo delle Scritture che darebbe loro torto, è apocrifo o mal trascritto.
RispondiEliminaGli studi teologici sono diventati un narcisistico trattenimento da agorà dove,in modo più o meno amabilmente, si fanno i conti in tasca al Padre Eterno, revisionati secondo le calcolatrici umane, nonostante abbia detto chiaramente : " Le mie vie non sono le vostre vie", le quali sono spesso tracciate per andare in senso opposto ai suoi scomodi comandamenti. Le Sacre Scritture sono il fondamento degli studi biblici ma, troppo spesso, sono studiate senza alcun criterio scientifico, come avevano fatto Tommaso e altri grandi, ma secondo strumentali criteri privi di logica e cotraddittori che sono esitati nella assurda separazione e contrasto tra il Cristo della storia e quello della fede, tanto criticata da Ratzinger, con la conseguenza che la storia è dubbia e pertanto la fede ingiustificata. Sono arrivati solo alla negazione, disorientando i fedeli e reso le Verità rivelate provvisorie e cangianti. La teologia, osservata con lenti variamente colorate dalle ideologie umane, lasciata la fede, è divenuta storia del cristianesimo liberamente inrerpretata a seconda delle temporali vicende umane.
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