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lunedì 9 dicembre 2019

Perché fare il presepe


Grazie agli amici di Campari e de Maistre.
Luigi

Luminarie, mercatini, babbi natale, renne plastificate, abeti, finta neve: come ogni anno in questo periodo, per le vie delle città c’è un po’ di tutto. E nell’aria aleggia ovunque, gustoso, il profumo di caldarroste e vin brulé. Ciò nonostante nulla, davvero nulla, riesce ad affascinarmi come il caro vecchio presepe. Che, oltre ad essere riproduzione dell’essenza natalizia – no Gesù Bambino no party -, è un magnifico paradosso. Infatti, salvo rari casi il presepe è un mondo in miniatura: eppure ammirandolo, contemplando quella grotta avvolta sempre dal gelo e spesso dall’indifferenza, è impossibile non ricavarne la consapevolezza che quello davvero piccolo, in fondo, non sia quel mondo ma il nostro.
Piccolo è infatti il nostro affannarci per cose che mai potranno darci alcunché che valga un milionesimo del Natale, quello vero. Quello che il politicamente corretto vorrebbe rimpiazzare con insulsi surrogati, tipo «la festa dell’Inverno». Quello che si può assaporare allestendo un presepe che, per quanto miniaturizzato, sarà comunque portatore di gioia enorme, al cui confronto un conto corrente a dieci zeri e lo spread a zero sono nulla. Certo, per procurarsi le statuine di Giuseppe, Maria e Gesù occorre esser cristiani. Ma son anche convinto che il decidersi a dedicare, con muschio e paglia, un angolo di casa alla Betlemme che fu faccia tornare cristiani: provare per credere. Quest’anno più che mai, allora, non fate chiasso, non fate follie, non fate code. Fate il presepe.