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martedì 21 maggio 2019

Proselitismo e conversione

Dopo le scempiaggini delle settimane e mesi scorsi sul fatto che i cattolici non devono fare proselitismo, l'amico Giovanni Formicola fa qualche interessante riflessione sull'argomento, che pubblichiamo volentieri, ringraziandolo.
Luigi

Sembra sia chiaro che il proselitismo da bandire - da non confondere, come insegna Redemptoris Missio, con l'appello alla conversione all'unica vera religione voluta da Dio, ch'è non già semplicemente lecito, bensì doveroso - sia quello che consiste nella subordinazione d'un'opera di misericordia, specialmente corporale, al Battesimo, ovvero all'ingresso nella Chiesa cattolica per chi fosse già battezzato, del beneficiario. Insomma, un abuso.

Ma v'è un'altra specie di "proselitismo", e metto le virgolette perché per nulla o poco considerato tale. Un abuso, se possibile, ancora più grave, e soprattutto rivolto ad intra Ecclesiae, specialmente per scongiurare un supposto pericolo di uscita, piuttosto che per favorire l'ingresso. Esso è costituito dall'obliterazione o annacquamento, quando non stravolgimento (chiamano queste prassi "gradualità" per travestirle), della dottrina, o di parte di essa, perché "l'umanità è cambiata", e si teme che non possa più accettare "rigidità", "prescrizioni", "divieti", "ideali", troppo severi e "astratti", rispetto alla "concretezza della vita". Altrimenti, si pensa, e talvolta si dice pure, i fedeli "se ne vanno". Insomma, una forma di perseguimento del "numero" che sembra non scandalizzi come l'"altro" proselitismo, che è il nome con il quale in realtà si danna l'appello alla conversione.

Ora, il Signore Gesù, quando i discepoli gli contestarono “durus est hic sermo”, senza scomporsi rispose loro «Volete andarvene anche voi?» (Gv 6, 60 e 67), avendo ovviamente fiducia nella Parola ch'era Lui stesso e non avendo alcun interesse per i grandi numeri, ma solo per la Verità e la santità. Forse questa fiducia oggi è venuta un po' meno - soprattutto nel senso di pensare che certa Parola non è per l'uomo moderno -, e la tassa di appartenenza alla Chiesa o i vari otto per mille sono troppo importanti per metterli a repentaglio con una predicazione che "allontana la gente", siccome troppo esigente e lontana dalla mentalità dell'umanità d'oggi. Ma com'era l'umanità prima di Cristo, quella con la quale si confrontarono gli apostoli, e di cui è paradigma il dialogo di Paolo all'Aeropago? Non era forse quella che scriveva sui muri di Pompei, ma sicuramente ovunque, solo che là il Vesuvio ha conservato la scritta, christiani saevi solones (come dire "cupi rompiscatole con le loro prediche")? Epperò nessuno si vergognò o diffidò della Parola, dell'intierezza del Messaggio, della sua forza severa ed esigente. Non cercarono il facile consenso (Lc 6,26) e non temettero i leoni.