Aggiungiamo al nostro post di stamattina e a quelli precedenti (QUI e QUI) una seria riflessione di Valli.
Luigi

diretta), eppure, per un tacito accordo, evitano accuratamente non solo di occuparsi di quell’agente patogeno, ma perfino di nominarlo. Gli agronomi sostengono di avere a cuore la sorte delle piante, e probabilmente è vero. Prova ne sia che nel corso del summit hanno parole di grande tenerezza, partecipazione e condivisione per le sofferenze patite dalle povere piante. Inoltre, durante la loro assise mondiale, gli agronomi ripetono spesso che quanto è accaduto è di una gravità inaudita e non dovrà succedere mai più. Ecco perché, spiegano, ci saranno controlli sempre più severi. Tuttavia, in base a quel tacito accordo, il nome dell’agente patogeno non viene mai fatto.
Orbene, come pensate che si possa concludere un tale summit? Si concluderà con espressioni molto accorate e con tanti buoni propositi, ma, purtroppo, nel segno di una sostanziale inefficacia. Perché se il principale responsabile della malattia non può essere neppure nominato, è chiaro che qualunque proposito di contrasto del contagio è destinato a rivelarsi inconcludente.
Ecco, il summit mondiale sugli abusi che si è tenuto in Vaticano assomiglia sotto molti aspetti al nostro immaginario incontro di agronomi. Al summit infatti sono state spese parole forti a condanna degli abusi, in difesa delle vittime e per una prevenzione più efficace. Eppure quella che, secondo gli studi e l’esperienza diretta, appare come una delle componenti decisive all’origine degli abusi stessi (o forse addirittura la componente decisiva) non è stata mai nemmeno nominata. O, se è stata nominata, ciò è avvenuto solo per dire che quella componente in realtà non c’entra per nulla.
La parola che non è stata mai nominata, l’avete capito, è omosessualità. E questa omissione inficia alla radice tutto ciò che è stato detto durante l’incontro mondiale.
Le ricerche condotte sul campo, le notizie di cronaca e le rivelazioni che, di tanto in tanto, sia pure a fatica, rompono il muro dell’omertà dicono che nell’ottanta per cento dei casi gli abusi commessi da chierici hanno natura omosessuale e non sono casi di pedofilia (interesse sessuale di un adulto per soggetti prepuberi), ma di efebofilia (interesse sessuale di un adulto nei confronti della medio-tarda adolescenza, in una fascia d’età compresa tra i quattordici e i diciannove anni). Nella stragrande maggioranza dei casi siamo quindi di fronte a maschi che abusano di maschi adolescenti. Ma nel corso del summit vaticano questa realtà è stata ignorata. Anzi, fin dal titolo (La protezione dei minori nella Chiesa) la si è voluta distorcere.
Sul banco degli imputati è stata messa una realtà inafferrabile e imprecisata: il clericalismo. Sarebbe questo il colpevole degli abusi, come ha confermato Francesco nell’intervento di chiusura. Ma che cos’è precisamente il clericalismo?
Nell’accezione comune, il clericalismo è un tipo di ideologia che rivendica la possibilità di intervento da parte della Chiesa nella politica e negli affari di uno Stato. Bergoglio invece usa la parola in un senso diverso: fa coincidere il clericalismo con l’abuso di potere e sostiene che tale abuso sorge quando il prete per qualche ragione si sente superiore agli altri ed è distante dal popolo.
Ora, ammesso e non concesso che la parola sia utilizzabile nell’accezione divenuta comune negli interventi di Bergoglio, non è difficile accorgersi che attribuire l’origine degli abusi al clericalismo sposta tutto il discorso sul piano dell’indeterminatezza e dell’ambiguità. Un po’ come succede quando si dice che se il mondo va male è colpa della società, sostenere che se nella Chiesa ci sono gli abusi è colpa del clericalismo in realtà non spiega molto. Anzi, non spiega niente.
L’abuso di potere, che a giudizio del papa è l’elemento più importante per comprendere il fenomeno degli abusi sessuali, può essere senz’altro una concausa, come succede ogni volta che un superiore approfitta della sua posizione per sfruttare, manipolare e oltraggiare l’inferiore, ma di per sé non basta. Per andare più in profondità occorre entrare nella sfera sessuale. E se si fa questo ci si imbatte inevitabilmente nella questione dell’omosessualità.
Non ci si venga ora a dire che ragionare così è sintomo di omofobia, perché qui nessuno sta sostenendo che c’è una relazione di causa-effetto tra omosessualità e abuso. Si sta dicendo che, per quanto concerne gli abusi da parte di esponenti della Chiesa, non è possibile ignorare la questione dei chierici omosessuali.
In generale tutto il summit ha sofferto a causa di questo spostamento del focus verso una direzione poco chiara.
Sentite che cosa mi scrive un prete, molto deluso dall’esito dell’incontro: “Questo meeting degli episcopati ha partorito solo vaghe indicazioni di tipo procedurale su trasparenza, denunce e processi, ma nulla sulle cause del fenomeno, in primis l’omosessualità e i costumi non casti dei consacrati, sia etero sia omosessuali. Ma solo partendo da queste cause è possibile affrontare il problema radicalmente e fare vera prevenzione. Il livello dell’analisi, così come la proposta dei rimedi, è rimasta nell’ambito giuridico, canonico e amministrativo, senza toccare la sfera morale. Come se il sesto comandamento in tutta la faccenda non c’entrasse per nulla! Ma questo è un modo pagano di affrontare la questione, non cristiano, né tanto meno cattolico”.
Sono pienamente d’accordo. Aggiungerei che è un modo sociologico, e infatti durante i lavori (e anche leggendo l’intervento finale del papa) è sembrata emergere più la dimensione sociologica dell’analisi che quella teologica e spirituale.
Resta una domanda: perché le cose sono andate così? Chi ha operato per estromettere la parola omosessualità dal confronto? Chi ha voluto che dal titolo del summit sparisse il riferimento agli adulti vulnerabili e restasse solo la tutela dei minori? Chi ha fatto in modo che certe realtà restassero avvolte nella nebbia?
Rileggere la vicenda McCarrick (per limitarci alla più celebre) può aiutare a trovare la risposta. Nella Chiesa cattolica c’è una classe omosessualista in grado di condizionare, deviare, coprire. Questa è la rete nella quale occorre con coraggio mettere le mani. Questo è il bubbone che occorre far esplodere.
Il vero clericalismo, se proprio vogliamo usare questo termine, è quello di chi non vuole fare chiarezza e chiamare le cose con il loro nome. Il dramma degli abusi nasce dal vizio e dal peccato della lussuria. Ed è sulla mancanza di fede che la Chiesa deve interrogarsi.
Che cosa produce invece l’approccio sociologico, che tanto piace al mondo? Solo operazioni mediatiche. Che si traducono in generiche condanne e in una commiserazione sterile. Oltre che in un sostanziale insabbiamento.
Aldo Maria Valli
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