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martedì 11 dicembre 2018

Il Cristo migrante è un falso dei modernisti: ecco perchè

Un utile e  "necessario" articolo  di Antonio Socci sulla leggenda metropolitana di Gesù  migrante.
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Lo Straniero, 10-12-18

Dal 2013, anno di arrivo di papa Bergoglio, ad ogni Natale, immancabilmente, si rilancia l’idea della Sacra Famiglia come una famiglia di migranti.Con un evidente sottinteso politico.

Quest’anno papa Bergoglio ha perfino fatto inviare una lettera, della “sezione migranti” del Vaticano, a don Biancalani, che si conclude con la formula: “In Cristo Migrante”.

In diversi luoghi si allestiscono presepi bergogliani sul tema migratorio. Ad Acquaviva delle fonti, in provincia di Bari, hanno realizzato un presepio (vedi foto) dove Giuseppe e Maria sono due migranti che stanno affogando in un mare di bottiglie e Gesù bambino (di colore) sta dentro un salvagente.


Ma è fondata questa idea del “Cristo Migrante”? La risposta è semplice: no. Il Vangelo racconta una storia del tutto diversa.

LA VERA STORIA

Intanto va detto che il popolo d’Israele, duemila anni fa, soffriva la dominazione romana ed era così forte l’anelito alla libertà e all’indipendenza che immaginava il Messia come liberatore politico del suo popolo dall’oppressione dello straniero.

I Romani imposero un censimento dei loro sudditi. Così anche Giuseppe e Maria partono da Nazaret(dove abitava Maria e dove, probabilmente, viveva anche Giuseppe) versoBetlemme, non come migranti verso una terra straniera, ma, cometutti gli ebrei del tempo, per espletare le pratiche del censimento.

Siccome Giuseppe – che era il capofamiglia e quindi il “rappresentante legale” – apparteneva alla tribù di Giuda, per la precisione al casato di re Davide – dovettero andare a Betlemme che era la città d’origine della sua famiglia.

Ciò significa che andando a Betlemme non emigrarono in una terra straniera, anzi, il contrario: Giuseppe tornò nella sua patria, nella quale egli era addirittura conosciuto come uomo di stirpe regale.

Anche se la discendenza davidica, nel corso dei secoli, era decaduta e Giuseppe faceva l’artigiano (diciamo che apparteneva al ceto medio di allora), formalmente poteva essere considerato un principe nella sua terra.

Probabilmente, a Betlemme, Giuseppe aveva ancora delle proprietà, un po’ di terra, perché in seguito Egesippo, al tempo di Domiziano, testimonia che i parenti di Gesù sono ancora vivi e conosciuti e hanno dei campi che lavorano personalmente e che, secondo gli storici, dovevano trovarsi proprio nell’“ager Bethlemiticus”.

L’ALBERGO

Il viaggio verso Betlemme, in carovana con altri, durò qualche giorno e fu molto faticoso perché Maria era al nono mese di gravidanza e all’arrivo a Betlemme già stavano cominciando i segni del parto imminente.

Il Vangelo di Luca ci dice che “non c’era posto per loro nell’albergo” (2,7). Ma cosa significa in questo caso la parola “albergo”? E perché “per loro”?

Non si tratta degli alberghi di oggi. Siccome Betlemme era un punto di passaggio delle carovane che scendevano in Egitto, lì si trovava, da tanto tempo, un luogo di sosta per tali carovane (appunto un caravanserraglio, in ebraico “geruth”, foresteria) che era stato costruito da Chamaan, forse figlio di un amico di Davide.

Giuseppe Ricciotti, nella sua “Vita di Gesù Cristo” spiega che, all’arrivo di Maria e Giuseppe, “il piccolo villagio rigurgitava di gente, che si era alloggiata un po’ dappertutto a cominciare dal caravanserraglio”.

Il quale era “un mediocre spazio a cielo scoperto, recinto da un muro piuttosto alto” con “un portico di riparo” e con “le bestie che erano radunate in mezzo al cortile”.

In quel frastuono di gente ammassata “si questionava d’affari e si pregava Dio, si cantava e si dormiva, si mangiava e si defecava”.

Perciò quando l’evangelista dice che “non c’era posto per loro”, bisogna intendere – spiega Ricciotti – che per le particolari condizioni di Maria, in procinto di partorire, non era un luogo adatto. Non c’era la riservatezza che era necessaria a una giovane partoriente.

Non si sa se Giuseppe poté cercare nelle case di amici e parenti (anch’esse piene di gente) o se – vista l’assoluta urgenza – decise velocemente di riparare nella solitudine di quel ricovero per animali che forse poteva trovarsi proprio nella terra di sua proprietà.

Anche quello era ovviamente un luogo sporco, ma se non altro era solitario, tranquillo e garantiva la riservatezza.

STABILITI A BETLEMME

Dopo il parto, fatto in condizioni di emergenza, Giuseppe poté trovare subito un alloggio e infatti la famiglia di Gesù si stabilì col bambino a Betlemme, che era appunto la città di Giuseppe e di Gesù, il quale, non a caso, da adulto verrà definito dalla gente “figlio di David”, discendente di Re David (come le profezie dicevano del Messia). Gesù in effetti era anche lui di stirpe regale, era un principe del suo popolo.

Proprio questo scatenò Erode. Avendo saputo, nei mesi successivi alla sua nascita, dai Magi, che era venuto alla luce un potenziale pretendente al regno d’Israele e che era nato a Betlemme, Erode (idumeo per parte di padre e arabo per parte di madre) cercò di eliminarlo.

I Magi, che arrivarono a rintracciare Gesù alcuni mesi dopo la sua nascita (quindi in una abitazione di Betlemme, non più nella grotta), avevano lasciato al bambino oro incenso e mirra.

Quell’oro fu molto importante per la Sacra Famiglia che dovette sfuggire a Erode. Perché permise loro di andare in Egitto (che era sempre sotto i Romani) e lì stabilirsi finché non fosse morto Erode.

FUGA E RITORNO A CASA

Dunque: la fuga della Sacra Famiglia non era dovuta a volontà di emigrazione, ma alla prima persecuzione anticristiana.

Quindi, se proprio vogliamo ricordarli come profughi, bisognerebbe parlare degli odierni cristiani perseguitati più che degli attuali migranti, i quali, come si sa, sono mossi perlopiù da ragioni economiche e di lavoro. Eppure nessuno parla delle vicende della Sacra Famiglia rammentando i cristiani perseguitati di oggi come invece si dovrebbe.

In secondo luogo non era in corso una migrazione di massa verso una terra straniera. Né in Egitto c’erano campi profughi sovvenzionati e pagati dalle casse pubbliche dove si poteva stare a lungo.

In Egitto Giuseppe mantenne la famiglia svolgendo il proprio lavoro per alcuni mesi. Ma già l’anno successivo seppero della morte di Erode e così la famiglia di Gesù ritornò a casa, scegliendo stavolta Nazaret, il villaggio di Maria (dove probabilmente aveva abitato anche Giuseppe).

Lì vissero stabilmente e Gesù stesso esercitò il mestiere del padre fino all’inizio della sua vita pubblica. Dunque non si vede come si possa accostare la loro vicenda agli odierni flussi migratori di massa.

ULTIMO EQUIVOCO

C’è un ultimo equivoco da chiarire. Il prologo del Vangelo di san Giovanni dice: “il mondo fu fatto per mezzo di lui,/ eppure il mondo non lo riconobbe./ Venne fra la sua gente/ ma i suoi non l’hanno accolto”.

Queste parole non si riferiscono a una mancata accoglienza di un inesistente “Gesù Migrante”, ma alla mancata accoglienza del suo annuncio. Infatti Gesù morì crocifisso. Si riferisce cioè alla fede cristiana.

Gesù non venne nel mondo per sponsorizzare la caotica politica migratoria oggi auspicata dai globalisti, ma venne per annunciare che Dio si è fatto uomo ed è presente in mezzo a noi per sconfiggere il male e la morte.

Antonio Socci

22 commenti:

  1. Lucidità mentale dieci spiegazione dieci fede dieci

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  2. Contro l'ignoranza colpevole e la demagogia, alleate contro la verità, sostenute da psiche deliroide che ripete ossessivamente le stesse cose, non servono certo argomentazioni fondate sul chiaro dettato delle Scritture. Purtroppo per qualcuno che " come si corica così si alza e come si alza così si corica" come fa dire Eduardo in una sua commedia, ad una moglie nei riguardi di suo marito, non vi è gran che da fare, anche perché una certa stanza di S. Marta deve essere priva di specchio che come dice l'autore citato, è "il parla in faccia". Penoso poi l'adeguamento servile, fino alla dissacrazione del Natale, di vescovi e sacerdoti, non certo in buona fede.

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  3. La parola "migrante" comincia a darmi la nausea.

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  4. Purtroppo da studente di teologia devo registrare come Socci (che teologo non è, fa il giornalista) raccolga diverse inesattezze teologiche e veri e propri errori da biblista improvvisato per poter interpretare liberamente il Vangelo, oltretutto a questo abbina una visione volutamente falsata della realtà: nel mondo attualmente ci sono 65 milioni di persone che sono state costrette a lasciare le proprie case... La cosidetta "volontà di migrare" sarebbe un'eccezione se tutti questi 65 milioni di sfollati potessero restare a casa loro (si pensi solo alla Siria o alla Nigeria di Boko Aram!) invece di scambiarla per un viaggio pericolosissimo, spesso senza speranzae e che nella maggior parte dei casi porta alla morte e nella migliore delle ipotesi approda in un centro profughi. Socci non sa che la figura dello straniero per la Bibbia è centrale (ho tenuto un convegno di 2 ore sul tema in cui ho detto una minima parte...) e nel NT Cristo stesso (non i cosiddetti "modernisti".. Termine oggi caro solo ai lefebvriani!) si identifica nello straniero da accogliere nel brano delle cosiddette opere di misericordia. Smettiamola di seguire Socci e Lefebvre!

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    1. Accogliere Cristo è accogliere la Sua Parola e questo purtroppo vi è indigesto e più in generale è indigesto a questo mondo e la prego risulta nauseante ogni volta tirare in ballo Lefebvre che aveva il solo "difetto" di essere Cattolico. Grazie

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    2. Unknown, lei più che uno studente di teologia mi sembra uno studente di sociologia e antropologia. Forse queste materie sarebbero più adatte all'applicazione della sua intelligenza.

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    3. Immagino sia uno di quei "teologi" che alle Università fa conferenze sull'Islam "religione di pace" e "punti in comune col cristianesimo" per essere "tutti fratelli" (nella massoneria)....

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    4. Teologi tipo San Giovanni Paolo II che con i musulmani parlava così ai musulmani dell'ISLAM: "Cari amici. Sono lieto d’incontrarmi con voi, capi religiosi musulmani della Nigeria. Vi saluto calorosamente e vi chiedo di trasmettere il mio saluto ai molti milioni di musulmani di questo grande Paese.[...] Sono molto contento di questa occasione che mi si presenta per esprimervi i miei sentimenti di fraterno rispetto e di stima.

      Tutti noi, cristiani e musulmani [...] crediamo tutti in un solo Dio Creatore dell’Uomo. Acclamiamo la signoria di Dio e difendiamo la dignità dell’uomo in quanto servo di Dio. Adoriamo Dio e professiamo una sottomissione totale a lui. In questo senso possiamo dunque chiamarci gli uni gli altri fratelli e sorelle nella fede in un solo Dio [...]

      il Cristianesimo e l’Islam hanno molte cose in comune: il privilegio della preghiera, il dovere della giustizia accompagnata dalla compassione e dall’elemosina, e soprattutto un sacro rispetto per la dignità dell’uomo che è alla base dei diritti fondamentali di ogni essere umano, incluso il diritto alla vita del nascituro.

      [...] Siete musulmani e come noi cristiani credete in un solo Dio che è sorgente di tutti i diritti e valori dell’uomo. Sono anche convinto che se uniamo le nostre forze in nome di Dio, possiamo fare molto bene. Possiamo lavorare insieme per l’armonia [...] Spero fermamente che la nostra solidarietà in quanto fratelli, in nome di Dio, sarà veramente per il bene futuro della Nigeria e di tutta l’Africa e recherà un contributo al buon ordinamento del mondo come civiltà universale d’amore.

      Possa Dio Onnipotente e Misericordioso volgersi a voi e benedirvi. Possa egli guidarvi. Possa colmarvi della sua pace e riempire di gioia i vostri cuori.
      Discorso san Giovanni Paolo II ai capi musulmani in Nigeria, del 14 febbraio 1982.

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    5. San Giovanni Paolo II e Islam
      Per la festa di fine Ramadam Giovanni Paolo II ha più volte rivolto ai “fedeli dell’Islam” dei messaggi ufficiali chiamandoli spesso “fratelli”. Ad esempio in uno di questi dice: “In occasione di questa festa, fratelli e sorelle dell’Islam, preghiamo affinché Dio accordi la Sua pace a voi e a tutti coloro che si rivolgono a Lui nella preghiera” e riprende le parole di Gregorio VII all’Emiro Musulmano Al-Nacir:
      “Voi e noi ci dobbiamo questa carità reciprocamente, soprattutto perché crediamo e confessiamo l’unico Dio, ammesso nei diversi modi”. Da notare che il punto di partenza è cercare ciò che ci accomuna: credere nell’Unico Dio! Non sono casi isolati.
      In un incontro in Marocco ai giovani musulmani sempre G.P. II esprimeva grandi sentimenti di vicinanza: “Cristiani e musulmani, abbiamo molte cose in comune, come credenti e come uomini. Viviamo nello stesso mondo, solcato da numerosi segni di speranza, ma anche da molteplici segni di angoscia. Abramo è per noi uno stesso modello di fede in Dio, di sottomissione alla sua volontà e di fiducia nella sua bontà. Noi crediamo nello stesso Dio, l’unico Dio, il Dio vivente, il Dio che crea i mondi e porta le sue creature alla loro perfezione”.
      Ha poi ricordato l’impegno dei cattolici alla ricerca della collaborazione : “Da parte sua la Chiesa cattolica, vent’anni fa, in occasione del Vaticano II, si è impegnata, nella persona dei suoi vescovi a cercare la collaborazione tra i credenti. Essa ha pubblicato un documento sul dialogo tra le religioni (Nostra aetate)”;
      auspicando il vivere insieme (!) “Essa afferma che tutti gli uomini, specialmente gli uomini di fede viva, devono rispettarsi, superare ogni discriminazione, vivere insieme e servire la fraternità universale (cf. Ivi, 5)”.
      Arrivando quasi ad una predilezione tra le varie fedi: “La Chiesa manifesta una particolare attenzione per i credenti musulmani, data la loro fede nell’unico Dio, il loro senso della preghiera e la loro stima della vita morale (cf. Ivi, 3)”;
      invitando alla collaborazione in campo sociale: “Essa desidera “promuovere insieme, per tutti gli uomini, la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà” (Ivi).
      Ma molti cattolici oggi si chiedono se sia davvero utile un dialogo con l’Islam. Bene, sentite cosa dice a questo proposito san Giovanni Paolo II: “Il dialogo tra cristiani e musulmani oggi è più necessario che mai. Esso deriva dalla nostra fedeltà verso Dio e suppone che sappiamo riconoscere Dio con la fede e testimoniarlo con la parola e con l’azione in un mondo sempre più secolarizzato e, a volte, anche ateo”.
      E prosegue poi sul rispetto e l’aiuto che dobbiamo ad ogni essere umano: “La nostra convinzione è che non possiamo invocare Dio come Padre di tutti gli uomini, se ci rifiutiamo di comportarci da fratelli verso alcuni tra gli uomini che sono creati ad immagine di Dio.
      Dobbiamo quindi rispettare, amare ed aiutare ogni essere umano perché è una creatura di Dio e, in un certo senso, sua immagine e suo rappresentante, perché è la strada che conduce a Dio, e perché si realizza pienamente solo se conosce Dio, se l’accetta con tutto il suo cuore e se gli obbedisce fin sulle vie della perfezione.
      La conclusione è attualissima e va riflettuta bene in questo tempo di crisi culturale e di valori: “Dio ha dato la terra all’insieme del genere umano perché gli uomini ne traggano il loro sostentamento nella solidarietà e perché ogni popolo abbia i mezzi per nutrirsi, per curarsi e per vivere in pace.
      Ma, per quanto importanti siano i problemi economici, l’uomo non vive di solo pane, egli ha bisogno di una vita intellettuale e spirituale; in ciò si trova l’anima di questo nuovo mondo al quale aspirate. L’uomo ha bisogno di sviluppare il suo spirito e la sua coscienza. È quello che spesso manca all’uomo di oggi” e ancora: “Allora potrà nascere, ne sono convinto, un mondo in cui gli uomini e le donne di fede viva ed efficiente canteranno la gloria di Dio e cercheranno di costruire una società umana secondo la volontà di Dio”.

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  5. Caro Sconosciuto (perché l'inglesismo Unknown? è più di moda?) da studente di teologia dovrebbe sapere, ed insegnare a noi poveri sprovveduti, che le opere di misericordia riguardano tanto il corpo quanto e soprattutto lo spirito. Lei non può negare che oggi, e non da oggi, sembra che le opere di misericordia siano soltanto quelle corporali: 1 - Dar da mangiare agli affamati 2 - Dar da bere agli assetati 3 - Vestire gli ignudi 4 - Alloggiare i pellegrini 5 - Visitare gli infermi 6 - Visitare i carcerati 7 - Seppellire i morti, risultando invece completamente dimenticate, o, peggio ancora, mistificate, le opere di misericordia spirituale: 1 - Consigliare i dubbiosi 2 - Insegnare agli ignoranti 3 - Ammonire i peccatori 4 - Consolare gli afflitti 5 - Perdonare le offese 6 - Sopportare pazientemente le persone moleste 7 - Pregare Dio per i vivi e per i morti. Da studente di teologia dovrebbe sapere che senza la (autentica) spiritualità, la corporeità, per quanto soccorsa e curata, resta abbandonata a se stessa, e che per sopperire alle necessità dello straniero non serve la Chiesa e bastano le onlus, le cooperative e qualsiasi altra associazione filantropica. La Chiesa ha (dovrebbe avere) quella "marcia in più" conferitale da Cristo che, con buona pace dei buonisti a buon mercato, non è mai stato un "migrante". Se la si dovesse ripagare con la stessa moneta che lei usa nei confronti di Socci e Lefebvre, la si dovrebbe invitare a riflettere sul perché sta studiando teologia e su chi sono i suoi insegnanti. Ma è scritto: "Avete sentito dire occhio per occhio, dente per dente, ma io vi dico ...". Ci pensi su, caro Sconosciuto. Ci pensi su molto intensamente.

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  6. Ennesimo tentativo di giustificare e accusare ( misericordiosamente!) gli altri di ignoranza, da principiante, astrattamente, come un dogma, la immigrazione disordinata e nomadica, con argomenti biblici. E' giusto anche che gli ebrei che volevano una terra da rubare agli altri, abbiano lasciato distruzione e morte? La Bibbia si guarda bene dal dirlo, perché sarebbe un diritto concesso da Dio (!?!). Non pare che i venuti sui barconi siano malmessi ma piuttosto ben pasciuti, ai quali si promette il Paradiso e non certo un Centro profughi, organizzati da loschi trafficanti cui interessa la prostituzione e la droga e far perdere all'Italia la sua identità cristiana, come sta avvenendo, con la colpevole approvazione degli uomini di Chiesa.. Inaccettabile, poi, l'accusa agli italiani che hanno accolto milioni di stranieri, sulla propria pelle, cioè della loro disoccupazione e miseria. Invece di proclami demagogici, gli uomini di Chiesa, a cominciare dal loro capo, invece di intronizzare il Corano nemico di Cristo, strillino in testa agli sceicchi che spendono tesori per acquistare armi e sovvenzionare guerre e terrorismo, ferrari, ville, concubine e imbarcazioni lussuose etc. di permettere ai loro correligionari di restare a casa.

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  8. Parole da meditare "molto intensamente":
    [...] «La Chiesa cammina insieme con l’umanità tutta» (GS 40), per cui «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore» (ibid., 1). [...] Paolo VI, ha chiamato la Chiesa «esperta in umanità» (P.P., 13), e il Beato Giovanni Paolo II ha affermato come la persona umana sia «la prima via che la Chiesa deve percorrere nel compimento della sua missione ..., la via tracciata da Cristo stesso» (Cent.A. 53). Nella mia Enciclica Caritas in veritate ho voluto precisare, sulla scia dei miei Predecessori, che «tutta la Chiesa, in tutto il suo essere e il suo agire, quando annuncia, celebra e opera nella carità, è tesa a promuovere lo sviluppo integrale dell’uomo» (n. 11), riferendomi anche ai milioni di uomini e donne che, per diverse ragioni, vivono l’esperienza della migrazione. In effetti, i flussi migratori sono «un fenomeno che impressiona per la quantità di persone coinvolte, per le problematiche sociali, economiche, politiche, culturali e religiose che solleva, per le sfide drammatiche che pone alle comunità nazionali e a quella internazionale» (ibid., 62), poiché «ogni migrante è una persona umana che, in quanto tale, possiede diritti fondamentali inalienabili che vanno rispettati da tutti e in ogni situazione» (ibidem).
    [...] fede e speranza formano un binomio inscindibile nel cuore di tantissimi migranti, dal momento che in essi vi è il desiderio di una vita migliore, unito molte volte alla ricerca di lasciarsi alle spalle la «disperazione» di un futuro impossibile da costruire. Al tempo stesso, i viaggi di molti sono animati dalla profonda fiducia che Dio non abbandona le sue creature e tale conforto rende più tollerabili le ferite dello sradicamento e del distacco, magari con la riposta speranza di un futuro ritorno alla terra d’origine.
    Nel vasto campo delle migrazioni la materna sollecitudine della Chiesa si esplica su varie direttrici. Da una parte, quella che vede le migrazioni sotto il profilo dominante della povertà e della sofferenza, che non di rado produce drammi e tragedie. Qui si concretizzano interventi di soccorso per risolvere le numerose emergenze, con generosa dedizione di singoli e di gruppi, associazioni di volontariato e movimenti, organismi parrocchiali e diocesani in collaborazione con tutte le persone di buona volontà. Dall’altra parte, però, la Chiesa non trascura di evidenziare gli aspetti positivi, le buone potenzialità e le risorse di cui le migrazioni sono portatrici. In questa direttrice, allora, prendono corpo gli interventi di accoglienza che favoriscono e accompagnano un inserimento integrale di migranti, richiedenti asilo e rifugiati nel nuovo contesto socio-culturale, senza trascurare la dimensione religiosa, essenziale per la vita di ogni persona. Ed è proprio a questa dimensione che la Chiesa è chiamata, per la stessa missione affidatale da Cristo, a prestare particolare attenzione e cura: questo è il suo compito più importante e specifico. Verso i fedeli cristiani provenienti da varie zone del mondo l’attenzione alla dimensione religiosa comprende anche il dialogo ecumenico e la cura delle nuove comunità, mentre verso i fedeli cattolici si esprime, tra l’altro, nel realizzare nuove strutture pastorali e valorizzare i diversi riti, fino alla piena partecipazione alla vita della comunità ecclesiale locale. La promozione umana va di pari passo con la comunione spirituale, che apre le vie «ad un’autentica e rinnovata conversione al Signore, unico Salvatore del mondo» (Lett. ap. Porta fidei, 6). E’ sempre un dono prezioso quello che porta la Chiesa guidando all’incontro con Cristo che apre ad una speranza stabile e affidabile.

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  9. Parte2
    È vero che il viaggio migratorio spesso inizia con la paura, soprattutto quando persecuzioni e violenze costringono alla fuga, con il trauma dell’abbandono dei familiari e dei beni che, in qualche misura, assicuravano la sopravvivenza. Tuttavia, la sofferenza, l’enorme perdita e, a volte, un senso di alienazione di fronte al futuro incerto non distruggono il sogno di ricostruire, con speranza e coraggio, l’esistenza in un Paese straniero. In verità, coloro che migrano nutrono la fiducia di trovare accoglienza, di ottenere un aiuto solidale e di trovarsi a contatto con persone che, comprendendo il disagio e la tragedia dei propri simili, e anche riconoscendo i valori e le risorse di cui sono portatori, siano disposte a condividere umanità e risorse materiali con chi è bisognoso e svantaggiato. Occorre, infatti, ribadire che «la solidarietà universale, che è un fatto e per noi un beneficio, è altresì un dovere» (Enc. Caritas in veritate, 43). Migranti e rifugiati, insieme alle difficoltà, possono sperimentare anche relazioni nuove e ospitali, che li incoraggiano a contribuire al benessere dei Paesi di arrivo con le loro competenze professionali, il loro patrimonio socio-culturale e, spesso, anche con la loro testimonianza di fede, che dona impulso alle comunità di antica tradizione cristiana, incoraggia ad incontrare Cristo e invita a conoscere la Chiesa.
    Certo, ogni Stato ha il diritto di regolare i flussi migratori e di attuare politiche dettate dalle esigenze generali del bene comune, ma sempre assicurando il rispetto della dignità di ogni persona umana. Il diritto della persona ad emigrare – GS,65 – è iscritto tra i diritti umani fondamentali, con facoltà per ciascuno di stabilirsi dove crede più opportuno per una migliore realizzazione delle sue capacità e aspirazioni e dei suoi progetti. Nel contesto socio-politico attuale, però, prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra. Oggi, infatti, vediamo che molte migrazioni sono conseguenza di precarietà economica, di mancanza dei beni essenziali, di calamità naturali, di guerre e disordini sociali. Invece di un pellegrinaggio animato dalla fiducia, dalla fede e dalla speranza, migrare diventa allora un «calvario» per la sopravvivenza, dove uomini e donne appaiono più vittime che autori e responsabili della loro vicenda migratoria. Il cammino di integrazione comprende diritti e doveri, attenzione e cura verso i migranti perché abbiano una vita decorosa, ma anche attenzione da parte dei migranti verso i valori che offre la società in cui si inseriscono.
    Nella visione cristiana, l’impegno sociale e umanitario trae forza dalla fedeltà al Vangelo, con la consapevolezza che «chiunque segue Cristo, l’uomo perfetto, diventa anch’egli più uomo» (GS,41).
    Cari fratelli e sorelle migranti, questa Giornata Mondiale vi aiuti a rinnovare la fiducia e la speranza nel Signore che sta sempre accanto a noi! Non perdete l’occasione di incontrarLo e di riconoscere il suo volto nei gesti di bontà che ricevete nel vostro pellegrinaggio migratorio. Rallegratevi poiché il Signore vi è vicino e, insieme con Lui, potrete superare ostacoli e difficoltà, facendo tesoro delle testimonianze di apertura e di accoglienza che molti vi offrono. Infatti, «la vita è come un viaggio sul mare della storia, spesso oscuro ed in burrasca, un viaggio nel quale scrutiamo gli astri che ci indicano la rotta. Le vere stelle della nostra vita sono le persone che hanno saputo vivere rettamente. Esse sono luci di speranza. Certo, Gesù Cristo è la luce per antonomasia, il sole sorto sopra tutte le tenebre della storia. Ma per giungere fino a Lui abbiamo bisogno anche di luci vicine – di persone che donano luce traendola dalla sua luce ed offrono così orientamento per la nostra traversata» (Enc. Spe salvi, 49). Benedetto XVI - Messaggio Per la 99° Giornata del Migrante

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  10. Nel dramma della Famiglia di Nazaret, obbligata a rifugiarsi in Egitto, intravediamo la dolorosa condizione di tutti i migranti, specialmente dei rifugiati, degli esuli, degli sfollati, dei profughi, dei perseguitati. Intravediamo le difficoltà di ogni famiglia migrante, i disagi, le umiliazioni, le strettezze e la fragilità di milioni e milioni di migranti, profughi e rifugiati. La Famiglia di Nazaret riflette l'immagine di Dio custodita nel cuore di ogni umana famiglia, anche se sfigurata e debilitata dall'emigrazione. BENEDETTO XVI Messaggio per la 92° Giornata del Migrante.

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  11. il Servo di Dio Papa Pio XII scrisse nel 1952: "La famiglia di Nazaret in esilio, Gesù, Maria e Giuseppe emigranti in Egitto e ivi rifugiati per sottrarsi alle ire di un empio re, sono il modello, l'esempio e il sostegno di tutti gli emigranti e pellegrini di ogni età e di ogni Paese, di tutti i profughi di qualsiasi condizione che, incalzati dalla persecuzione o dal bisogno, si vedono costretti ad abbandonare la patria, i cari parenti, i vicini, i dolci amici, e a recarsi in terra straniera" (Exsul familia, AAS 44, 1952, 649).

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  12. i concetti su esposti, di Benedetto xvi e di Pio xii, si addicono ai veri profughi, che sono una minoranza rispetto a una stragrande maggioranza di emigranti economici che profughi non sono. Il decreto Salvini infatti non si esime dal tutelare la figura del vero profugo, come vuoe sia la Bibbia che il Vangelo.

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  13. E' detto a chiare lettere in più documenti: "MIGRANTI specialmente sfollati, rifugiati ecc." Poi ognuno esprima liberamente le proprie idee consapevole di quanto esse però siano distanti dal Magistero della Chiesa.

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