Dal nostro caro amico Stefano Chiappalone, un nuovo blog "Contempl-Actio" da tenere nella lista dei preferiti e leggere regolarmente.
QUI il suo bellissimo volume "Alle origini della Bellezza", ottima lettura estiva.
Complimenti Stefano.
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4-7-18
Non credo di essere l’unico a provare un certo disagio entrando in una chiesa cosiddetta “moderna”. Quegli edifici, cioè, il cui unico comun denominatore è costituito dalle forme stravaganti e dall’interno iconoclasta che da decenni vanno sostituendo quei capolavori di arte e di fede che nel corso dei secoli hanno evangelizzato con lo stupore. Di fronte alla pia pretesa di aprirsi alle correnti moderne, occorre tenere a mente però che la materia prima spirituale con cui edifichiamo una chiesa non può esserci indifferente, dal momento che essa faciliterà o ostacolerà la capacità di catechesi ambientale dell’edificio. La chiesa non è un contenitore neutro per gli atti di culto, così come un’omelia non può essere affidata a chiunque: l’argomento sacro non basta a garantire l’edificazione dei fedeli, anzi potrebbe persino rivelarsi controproducente, a seconda dell’omileta. Nessun parroco di buon senso lascerebbe predicare al suo posto chi sostiene idee contrarie alla fede cristiana, pensando che ciò che conta è il tema religioso. Altrettanta cura sarebbe necessaria per quella “predicazione visiva” affidata all’edificio stesso.
È evidente dunque che nel progettare una nuova chiesa non si può fare a meno di chiedersi “chi” portiamo dentro casa, a chi è affidata l’edificazione visiva dei fedeli che vi pregheranno – e anche dei non credenti che la visiteranno. Al contrario, si registra una scarsa prudenza da parte di committenti ecclesiastici mossi prevalentemente dal timore di apparire retrogradi, attribuendo “un’importanza maggiore all’essere in sintonia con lo spirito dei tempi piuttosto che con quello Spirito che trascende tutti i tempi”, come scriveva Hans Sedlmayr (1896-1984) ai padri conciliari (La rivoluzione dell’arte moderna. Memorandum sull’arte ecclesiastica cattolica, tr. it.,Edizioni Cantagalli, Siena 2006, p. 175), mettendo in guardia inoltre dalla “falsa speranza che saremo capaci di ‘battezzare’ questi movimenti non cristiani o anti-cristiani con il semplice espediente di accettarli dentro la Chiesa” (Ibidem). È un fatto che da un certo punto in poi diverse tendenze artistiche attestano una rivoluzione, non puramente stilistica, che riflette dei mutamenti spirituali.
In sostanza, si registra nella struttura materiale delle chiese un progressivo venir meno della tensione verso l’alto che caratterizzava anche visivamente le cattedrali del passato: non è questione di dimensioni, poiché certe piccole chiesette antiche hanno uno slancio verticale superiore a quello di colossali capannoni le cui volte deformi sembrano crollare sul fedele piuttosto che innalzarlo. Inoltre l’orientamento verticale richiama e amplifica tanto il fedele che esse ospitano, quanto l’Uomo-Dio che vi abita con tutta la schiera dei santi – anch’essi uomini e anch’essi misteriosamente spariti dalle pareti sempre più iconoclaste. Riducendo Dio – che si è incarnato! – ad un’opera astratta, si finisce infatti per dimenticare l’uomo stesso – anche come semplice interlocutore che non riesce a intendere il linguaggio razionalista di chiese puramente geometriche, né quello ermetico degli scarni e soggettivi simboli che, senza un interprete, non sono più in grado di esporre al semplice fedele le verità della fede cristiana: “Che dire di un certo spiritualismo oggi in voga che mortifica i sensi, che biasima l’apostolo Tommaso che voleva credere vedendo? Gesù per questo si è fatto vedere – come agli altri apostoli (altrimenti perché il Verbo si sarebbe fatto uomo?)” (Don N. Bux, La riforma di Benedetto XVI. La liturgia tra innovazione e tradizione, Piemme, Casale Monferrato 2008, p. 103). Probabilmente i committenti di certe “aule liturgiche” sono puri e perfetti spiriti. Noi peccatori e imperfetti continuiamo ad aver bisogno di chiese a forma di chiesa.