"Quando il “cambiamento pastorale” ignora l’insegnamento della Chiesa, opporsi è un dovere di coscienza. Intereptazioni contraddittorie sul capitolo VIII di Amoris Laetitia. Non è sviluppo, ma corruzione". "Una falsa teoria etica, anche se si trovasse in Amoris Laetitia". "Il Papa in quanto “persona privata”, non può imporre la sua personale teologia o la spiritualità del suo ordine religioso a tutta la Chiesa". "Le direttive episcopali su AL perché siano ortodosse devono essere in accordo con le parole di Cristo custodite nel deposito della fede".
Riprendendolo da LaNuovaBussola Quotidiana di oggi 26.02.2018, riportiamo il lungo intervento del Prefetto emerito
della Congregazione per la dottrina della fede card Gherard Muller
scritto per il quotidiano americano First Thing. La traduzione è di Luisella Scrosati.
Ci può essere un “cambiamento di paradigma” nell’interpretazione del deposito della fede?
Commentando l’esortazione apostolica di papa Francesco Amoris Laetitia, alcuni
interpreti avanzano posizioni contrarie all’insegnamento costante della
Chiesa cattolica, negando di fatto che l’adulterio sia sempre un
peccato oggettivo grave o rendendo l’intera economia sacramentale della
Chiesa dipendente esclusivamente dalle disposizioni soggettive delle
persone. Costoro cercano di giustificare le proprie affermazioni
insistendo sul fatto che, attraverso i secoli, si è verificato uno
sviluppo della dottrina sotto la guida dello Spirito Santo, cosa che la
Chiesa ha sempre riconosciuto. Per comprovare le loro affermazioni, essi
di solito si rifanno agli scritti del cardinal John Henry Newman, e in
particolare nel suo famoso Saggio sullo Sviluppo della Dottrina Cristiana (1845). È perciò opportuno prendere in considerazione le argomentazioni di Newman. (clicca qui per conoscerle) Esse ci aiuteranno a comprendere il tipo di sviluppo possibile nelle questioni toccate da Amoris Laetitia.
Quando Newman iniziò a scrivere il Saggio,
era ancora anglicano. Però, prima di terminarlo, lasciò la Chiesa
d’Inghilterra per entrare in piena comunione con la Chiesa cattolica. Da
anglicano, egli era stato uno dei maggiori protagonisti del Movimento
di Oxford. Il
Movimento aveva l’obiettivo di perseguire l’unità tra i
cristiani, richiamando tutte le confessioni cristiane a ritornare alle
tradizioni della Chiesa primitiva, secondo la Sacra Scrittura e gli
scritti dei Padri della Chiesa. Newman era un maestro in patristica, e
all’inizio era diffidente nei confronti degli insegnamenti posteriori
sviluppati nel Medioevo. Fu per questo che impiegò molto tempo per
convertirsi alla Chiesa romana. Questi insegnamenti gli apparivano come
incompatibili con i principi basilari del Cristianesimo, o almeno non
derivabili dalla Sacra Scrittura e dall’antica tradizione dei Padri. Per
lui, la pratica di venerare la Santissima Vergine e i santi sembrava in
contraddizione con l’idea di Cristo unico mediatore tra Dio e gli
uomini. Altri esempi di insegnamenti che Newman considerava esclusivi
del Cattolicesimo e non fondati sulla Scrittura e sui Padri sono i
seguenti: il primato pontificio, la dottrina della transustanziazione,
il carattere sacrificale della Santa Messa, il Purgatorio, le
indulgenze, i voti religiosi, e il sacramento degli Ordini Sacri. Questi
erano anche le principali questioni che suscitarono controversie
durante la Riforma.
In un primo momento, Newman considerò l’Anglicanesimo come una via intermedia (la “via media”)
tra la totale negazione della tradizione da parte della Riforma e -
come appariva ai suoi occhi in quel momento - l’assolutizzazione della
tradizione da parte dei cattolici. Tuttavia, i suoi studi patristici
permisero a Newman di rendersi conto che c’era già stato uno sviluppo
della dottrina nel periodo in cui la Cristianità non era ancora divisa.
La necessità di un tale sviluppo deriva dalla stessa natura della
rivelazione storica. È una conseguenza della presenza della Parola
divina nelle nostre parole umane e nella nostra comprensione. I Concili
dei primi otto secoli avevano formulato il dogma trinitario dell’unico
Dio in tre persone e il dogma cristologico dell’unione ipostatica delle
due nature di Cristo nella sua persona divina. Queste definizioni furono
il risultato di un lungo e difficile sviluppo della dottrina.
Analogamente, i dogmi del peccato originale e della assoluta gratuità
della grazia furono l’esito del grande lavoro intellettuale dei Padri
della Chiesa, grazie al quale essi difesero con successo la Chiesa dalle
rovinose eresie come il Modalismo, l’Arianesimo, il Monofisismo e il
Pelagianesimo. Se queste eresie avessero vinto, tutto il Cristianesimo
sarebbe stato distrutto. Ora, la modalità con cui vennero combattute fu
precisamente quella di trovare nuove formulazioni dottrinali, come, per
esempio, il pronunciamento contro l’Apollinarismo riguardo
all’Incarnazione e all’assunzione della natura umana da parte del Logos
eterno: “ciò che non è assunto non è stato salvato”.
Parlare di uno sviluppo della dottrina non significa
certamente interpretare storicamente il Cristianesimo nei termini
dell’idealismo tedesco, dello storicismo e del modernismo. I sostenitori
di queste correnti considerano Dio, o l’Assoluto, come un
“trascendentale a priori”, ossia come la necessaria condizione
soggettiva della nostra ragione e della nostra esperienza, che precede
perciò la nostra esperienza e non può essere oggetto d’esperienza. Nella
misura in cui l’Assoluto è la condizione del nostro pensiero e del
nostro linguaggio, esso non può essere espresso con parole e concetti.
Conformemente a questo approccio, allora, tutti i dogmi della fede
cattolica sono semplicemente formule concettuali provvisorie che
esprimono il sentimento religioso sempre mutevole della coscienza
collettiva della Chiesa. Di conseguenza, anche quelle formule che
chiamiamo dogmi dovranno essere soggette a queste vicissitudini e,
pertanto, sono suscettibili di cambiamento” (Pio X, Pascendi dominici gregis).
Seguendo questa teoria, le formule dottrinali hanno lo scopo di unire i
fedeli all’Assoluto in un modo ineffabile, ma in se stesse non
rappresentano veramente delle verità rivelate. Pertanto, noi non
crederemmo veramente in Dio, ma nei fenomeni della nostra immaginazione e
negli echi che essi provocano nel nostro linguaggio. Per sviluppo della
dottrina, comunque, Newman - e con lui tutta la Chiesa - non intendeva
uno sviluppo secondo l’accezione della filosofia idealista appena
esposta. Una tale idea di sviluppo contraddice la pienezza della verità
presente nella persona storica di Gesù Cristo, il Verbo di Dio
incarnato.
Il problema fondamentale della filosofia moderna è
la relazione tra verità e storia. Nella sua componente temporale, la
storia appare come il regno del transitorio, del variabile, del
contingente, laddove invece la verità è al di là del tempo, sempre
valida, e fondata nel mondo delle idee divine. Di conseguenza, la verità
non è mai completamente alla portata degli esseri umani finiti, i quali
possono accostarsi ad essa anche molto da vicino, ma in ultimo non
possono mai entrare in contatto con essa. La teologia cristiana, al
contrario, non inizia con la questione di come - nelle condizioni
dell’esistenza storica - sia possibile conoscere la verità. Piuttosto, essa inizia con il fatto dell’auto-rivelazione di Dio nel tempo. L’Incarnazione non è un’idea per aiutarci a capire l’importanza terrena di Gesù in termini concettuali. L’ Incarnazione è invece il fatto
dell’azione divina nella storia. Riflettendo su questo, la Chiesa
diventa progressivamente consapevole di tutto ciò che tale evento
implica e presuppone. La comprensione della fede – l’intellectus fidei - presuppone e sviluppa l’ascolto della fede – l’auditus fidei.
Gesù appare nella “pienezza dei tempi” (cf. Mc. 1, 15; Gal. 4, 4; Ef.
1, 10). Nella “pienezza dei tempi”, Dio manda suo Figlio, nato dalla
Vergine Maria, nel mondo e nella storia, per compiere la sua opera di
salvezza, riconciliandoci una volta per tutte con Dio e indirizzando i
nostri pensieri e le nostre azioni alla verità e alla bontà di Dio (cf.
Gal 4, 4).
Per quanto riguarda la sostanza degli articoli di fede,
è impossibile aggiungere o togliere qualcosa. Negli sforzi della Chiesa
di combattere l’eresia e di pervenire ad una più profonda comprensione
delle verità rivelate, ci può comunque essere un accrescimento negli
articoli della fede. Il filioque, per esempio - cioè quella definizione di fede per cui lo Spirito procede dal Padre e dal Figlio
- non aggiunge qualcosa alla fede trinitaria. Questa formulazione
semplicemente esprime in modo più chiaro la verità già conosciuta, ossia
che lo Spirito non è il secondo Figlio di Dio. Lo sviluppo della
dottrina in questo senso fa riferimento al processo con cui la Chiesa,
nella propria consapevolezza della fede, giunge ad una più profonda
comprensione concettuale e intellettuale dell’auto-rivelazione di Dio.
Secondo San Tommaso d’Aquino, tutti gli articoli di fede “sono impliciti
in alcune prime verità di fede; tutto cioè si riduce a credere che Dio
esiste e che provvede alla salvezza degli uomini” (Summa Theologiae, II-II, 1, 7).
Lo sviluppo della dottrina è possibile perché nell’unica verità di Dio
tutte le verità rivelate della fede sono collegate, e quelle che sono
più implicite possono essere rese esplicite. Dopotutto, le formulazioni
dottrinali non sono esse stesse l’oggetto dell’atto di fede. Piuttosto,
la fede del credente fa riferimento all’autentica realtà di Dio e alla
verità di Dio in Cristo. Come dice San Tommaso: “l’atto del credente non
si ferma all’enunciato, ma va alla realtà” (Summa Theologiae,
II-II, 1, 2 ad 2). Contrariamente alle affermazioni del modernismo,
comunque, le formule della fede si riferiscono davvero alla conoscenza
di Dio. Esse non sono solamente delle espressioni occasionali della
nostra soggettiva coscienza di Dio.
La ragione più profonda della identità della
Rivelazione nella sua continuità ecclesiale è contenuta nell’unione
ipostatica, cioè nell’unità della natura umana e della natura divina
nell’unica persona divina di Gesù Cristo. Le molte parole che egli ha
pronunciato, rivelandoci il progetto di Dio mediante il linguaggio umano
(cf. Gv 3, 34; 6, 68), sono unificate nell’ipostasi o persona
dell’unica Parola che è Dio e che è divenuta carne (cf. Gv. 1,1; 14). La
Parola di Dio giunge a noi mediante la predicazione di uomini (cf. 1
Ts. 2, 13); essa è resa presente per mezzo di parole umane, con la loro
grammatica e il loro vocabolario. Perciò è possibile e necessario
crescere individualmente e comunitariamente nella nostra comprensione
della rivelazione, che ci è stata data una volta per tutte in Cristo. È
chiaro allora che la teologia cattolica ha sempre riconosciuto il fatto e
la necessità dello sviluppo del dogma. Fa parte dell’essenza del
Cristianesimo come religione del Verbo incarnato - la religione
dell’auto-rivelazione di Dio nella storia - affermare l’identità della
dottrina della fede lungo un continuo processo mediante il quale la
Chiesa perviene ad una comprensione concettuale dei misteri della fede
sempre più differenziata. Questo principio è intrinseco alla stessa
rivelazione. Come afferma il Cardinal Newman: “L’applicazione
dall’inizio alla fine di questo principio dello sviluppo nelle verità
della Rivelazione, è un argomento in favore dell’identità del
Cristianesimo romano e primitivo”.
A questo punto veniamo alla principale domanda cui Newman cerca di rispondere nel suo famoso Saggio.
Dal momento che la rivelazione è la personale e dialogica
auto-comunicazione di Dio nell’esistenza storica di Cristo e della sua
Chiesa, abbiamo bisogno di criteri per distinguere tra un reale sviluppo
della dottrina e quello che Newman chiama un’alterazione o corruzione.
Sviluppo significa crescita nella comprensione di realtà spirituali e
teologiche, guidata dallo Spirito Santo (cf. Dei Verbum, 8).
Questa crescita non proviene da alcun tipo di necessità naturale, e non
ha niente a che fare con la credenza liberale nel progresso. Infatti,
come accade anche nella vita spirituale di ciascuno, è possibile
regredire. Nella Chiesa si può verificare una pericolosa paralisi, per
esempio, quando bravi teologi e istituzioni scientifiche non sono
abbastanza promossi o quando sono scelti vescovi impreparati per il loro
eminente dovere di insegnare e predicare (cf. Lumen Gentium, 25). I vescovi non appartengono alla periferia, ma al centro dell’ortodossia.
I criteri che Newman sviluppa sono allora utili per mostrare come dovremmo leggere l’esortazione apostolica Amoris Laetitia
di Papa Francesco. I primi due criteri sono la “permanenza del tipo” e
la “continuità dei principi”. Essi hanno lo scopo precisamente di
assicurare la stabilità della struttura fondamentale della fede. Questi
principi e tipi ci impediscono di parlare di un “cambio di paradigma”
riguardo alla forma dell’essere della Chiesa e della sua presenza nel
mondo.
Ora, il capitolo VIII di Amoris Laetitia è
stato oggetto di interpretazioni contraddittorie. Quando in un contesto
simile alcuni parlano di un cambio di paradigma, ciò sembra essere una
ricaduta nel modo modernista e soggettivista di interpretare la fede
cattolica. Fu nel 1962 che Thomas Kuhn introdusse la sua idea
controversa e nello stesso tempo influente di “cambiamenti di
paradigma”, all’interno del dibattito della filosofia della scienza,
dove quest’espressione riceve un significato preciso, tecnico. A
prescindere da questo contesto, comunque, questo termine ha anche un uso
comune, che riguarda qualsiasi tipo di cambiamento fondamentale nelle
forme teoriche del pensiero e del comportamento sociale. “Gesù Cristo è
lo stesso ieri, oggi e sempre” (Ebrei 13, 8) - questo è, al contrario,
il nostro paradigma, che noi non cambieremo con nessun altro. “Infatti
nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova,
che è Gesù Cristo” (1 Cor. 3, 11).
Replicando agli Gnostici, che cercavano di far
apparire se stessi importanti escogitando sempre nuove rivelazioni e
intuizioni, Sant’Ireneo di Lione scrisse: “Sappiate che Egli ha portato
ogni novità, portando Se stesso che era stato annunciato”. Nella seconda
metà del II secolo, Ireneo elaborò i principi formali della fede
cattolica, dovendo rispondere alla sfida agnostica. Prima di tutto, la
rivelazione deve essere accettata come un fatto storico. Questa
rivelazione è contenuta nel deposito della fede - cioè nell’insegnamento
apostolico - che nella sua verità e nella sua interezza è stato
affidato alla Chiesa per essere fedelmente custodito e interpretato. Il
metodo adeguato per interpretare la rivelazione esige il lavoro
congiunto di tre principi, che sono: la Sacra Scrittura, la Tradizione
apostolica e la Successione apostolica dei vescovi cattolici. La Chiesa
romana in generale e i suoi vescovi in particolare dovrebbero essere gli
ultimi a seguire l’esempio gnostico, introducendo un nuovo principio
interpretativo con il quale imprimere una direzione completamente
diversa a tutto l’insegnamento della Chiesa. Ireneo, infatti, ha
paragonato la dottrina cristiana a un mosaico, le cui pietre vengono
predisposte per riprodurre l’immagine del Re. Nella sua prospettiva, gli
Gnostici avevano preso le stesse pietre, ma avevano cambiato il loro
ordine. Perciò, anziché l’immagine del Re, essi hanno formato l’immagine
di una volpe, l’ingannatrice. Si può infatti peccare contro la fede
cattolica non solo negando alcuni dei suoi contenuti, ma anche
riformulando i suoi principi formali di conoscenza.
Qui si può pensare alla Riforma protestante. Il suo nuovo principio formale fu quello della sola Scriptura.
Questo nuovo principio sottopose la dottrina cattolica della fede, così
come era stata sviluppata fino al XVI secolo, ad un cambiamento
radicale. La comprensione fondamentale del Cristianesimo si trasformò in
qualcosa di completamente diverso. La salvezza doveva essere conseguita
per mezzo della sola fede, di modo che il singolo fedele non
aveva più bisogno dell’aiuto della mediazione ecclesiale. Di
conseguenza, i riformatori respinsero radicalmente i dogmi relativi ai
sette sacramenti ed alla costituzione episcopale e papale della Chiesa.
Se compreso in questo senso, non ci può essere alcun cambiamento di
paradigma della fede cattolica. Chi parla di una svolta copernicana
nella teologia morale, che trasforma una diretta violazione dei
comandamenti di Dio in una lodevole decisione di coscienza, si esprime
abbastanza chiaramente contro la fede cattolica. L’etica della
situazione resta una falsa teoria etica, anche se qualcuno dicesse di
trovarla in Amoris Laetitia.
A parte la questione del peccato grave oggettivo, alcune proposte di reinterpretare la dottrina cattolica alla luce di Amoris Laetitia
toccano anche l’economia sacramentale, la quale si dice che ora riceva
il suo parametro dalle disposizioni soggettive di ciascun credente di
fronte a Dio. Qui occorre richiamare il fatto che nessuna autorità
ecclesiale può trascurare l’ordine della mediazione sacramentale della
grazia, che si basa sulle relazioni concrete che noi viviamo nella
carne. Pertanto, è impossibile per un cattolico ricevere i sacramenti in
maniera degna, senza decidere di abbandonare un modo di vivere che è in
opposizione agli insegnamenti di Cristo. In effetti, per Newman il
principio sacramentale è tra i principi centrali del Cristianesimo, che
non può essere cambiato.
Che dire degli altri criteri che Newman elenca per
distinguere uno sviluppo autentico da una corruzione e da una
decomposizione? Alcuni di essi sono certamente utili per illuminare il
presente dibattito. Possiamo prendere in considerazione il terzo
criterio, che egli chiama “potere di assimilazione”. Secondo Newman, un
vero sviluppo si verifica quando il Cristianesimo è in grado di
integrare il contesto circostante, informando e cambiando la sua
cultura, mentre invece la corruzione si ha quando è invece il contesto
che assimila a sé il Cristianesimo. Perciò, un cambiamento di paradigma,
mediante il quale la Chiesa assume il criterio della società moderna
per essere da essa assimilata, costituisce non uno sviluppo, ma una
corruzione.
Nel suo quarto criterio, Newman parla della
necessità di una “sequenza logica” tra le differenti tappe di uno
sviluppo. Perché uno sviluppo sia sano, esso deve procedere secondo una
continuità logica con gli insegnamenti del passato. C’è una continuità
logica tra Familiaris Consortio, 84 di Giovanni Paolo II - che
insegna che i divorziati che vivono una nuova unione devono prendere la
risoluzione di vivere in continenza oppure astenersi dai sacramenti - e
il cambiamento di questa medesima disciplina che alcuni stanno
proponendo? Ci sono solo due opzioni. Si potrebbe negare esplicitamente
la validità di Familiaris Consortio, 84, rifiutando quindi per
la stessa ragione il sesto criterio di Newman, “azione conservativa sul
passato”. Oppure si potrebbe cercare di mostrare che Familiaris Consortio, 84 abbia implicitamente anticipato il rovesciamento della disciplina che essa ha esplicitamente
stabilito di insegnare. Leggendo con onestà il testo di Giovanni Paolo
II, comunque, una tale procedura andrebbe a violare le regole basilari
della logica, come il principio di non contraddizione.
Quando “cambiamento pastorale” diventa una parola
per mezzo della quale alcuni manifestano la loro azione programmatica di
ignorare l’insegnamento della Chiesa, come se la dottrina fosse un
ostacolo alla cura pastorale, allora opporsi è un dovere di coscienza.
Girolamo, Agostino, Tommaso d’Aquino ed altre grandi autorità cattoliche
hanno attribuito un significato esemplare all’incidente di Antiochia,
allorché Paolo si oppose apertamente a Pietro, che, a causa del suo
comportamento ambiguo, “non si comportava rettamente secondo la verità
del vangelo” (Gal. 2, 14).
Prima di tutto è importante ricordare che il Papa, in quanto “persona privata” (Lumen Gentium,
25) o in quanto fratello tra fratelli, non può imporre la sua personale
teologia, i suoi stili di vita o la spiritualità del suo ordine
religioso a tutta la Chiesa. L’obbedienza come voto religioso è diversa
dall’obbedienza della fede che ogni cattolico deve alla rivelazione e
alla sua mediazione ecclesiale. I vescovi sono legati all’obbedienza al
Papa a motivo del suo primato giurisdizionale e non a motivo di voti
personali che essi hanno fatto. L’ufficio papale e quello episcopale
sono al servizio della custodia dell’unità della fede e della comunione.
Pertanto è parte dei doveri primari del Papa e dei vescovi evitare la
polarizzazione e la crescita di una mentalità faziosa.
Tutto ciò significa che nell’esercizio del suo
ministero di insegnamento, non basta che il Magistero della Chiesa
ricorra semplicemente al suo potere giurisdizionale o disciplinare, come
se i suoi insegnamenti non fossero altro che una questione di
positivismo legale e dottrinale. Invece, il Magistero deve cercare di
presentare motivazioni convincenti, mostrando come la sua esposizione
della fede sia in se stessa coerente e in continuità con il resto della
Tradizione. L’autorità del Magistero papale poggia sulla continuità con
gli insegnamenti dei papi precedenti. Infatti, se un Papa avesse il
potere di abolire gli insegnamenti vincolanti dei suoi predecessori, o
se avesse l’autorità perfino di reinterpretare la Sacra Scrittura contro
il suo significato evidente, allora tutte le sue decisioni dottrinali
potrebbero a loro volta essere abolite dal suo successore, il cui
successore a sua volta potrebbe annullare e rifare ogni cosa a suo
piacimento. In questo caso noi non assisteremmo ad uno sviluppo della
dottrina, ma al tragico spettacolo della Barca di Pietro arenata in un
banco di sabbia.
Recentemente gruppi di vescovi o singole conferenze episcopali
hanno pubblicato delle direttive riguardo alla ricezione dei
sacramenti. Perché queste dichiarazioni siano ortodosse, non è
sufficiente che esse proclamino la loro conformità con le presunte
intenzioni del Papa in Amoris Laetitia. Esse sono ortodosse
solamente se sono in accordo con le parole di Cristo custodite nel
deposito della fede. Similmente, quando cardinali, vescovi, sacerdoti e
laici domandano al Papa chiarezza su queste questioni, ciò che essi
richiedono non è un chiarimento circa le opinioni personali del Papa.
Ciò che essi cercano è la chiarezza in merito alla continuità
dell’insegnamento del Papa in Amoris Laetitia con il resto della tradizione.
Quanti cercano di adattare il messaggio evangelico
alla mentalità di questo mondo, appellandosi nei loro tentativi
all’autorità del cardinal Newman, dovrebbero prendere in considerazione
ciò che egli afferma sulla permanenza del tipo della Chiesa. Secondo
Newman, la vera Chiesa può essere riconosciuta dal modo costante in cui
il mondo l’ha considerata attraverso i secoli, pur in mezzo a molti
sviluppi. Come afferma Newman, agli occhi del mondo la Chiesa è “una
comunità religiosa che rivendica un mandato divino, e che considera gli
altri organismi religiosi che la circondano come eretici o infedeli; si
tratta di un organismo ben strutturato, ben disciplinato”. Questa
comunità “è sparsa in tutto il mondo conosciuto; può essere localmente
debole o esigua, ma nel complesso è forte a causa della sua continuità”,
ed è “un nemico naturale per i governi esterni ad essa; è intollerante e
avvincente, tende verso un nuovo modellamento della società; infrange
le leggi, e divide famiglie. È una rozza superstizione; è accusata dei
crimini peggiori; disprezzata dal genio del momento”. Newman conclude:
“ed esiste solo una comunità così. Ponete questa descrizione davanti a
Plinio o a Giuliano; mettetela di fronte a Federico II o a Guizot…
Ciascuno sa riconoscere immediatamente, senza porre domande, di che si
tratti”. Dove Newman troverebbe una comunità così oggi?
*Prefetto emerito della Congregazione per la Dottrina della Fede.
El panorama ha cambiado sustancialmente.
RispondiElimina"Sviluppo":la magagna è tutta qui. Con la scusa di "sviluppare" ci si da a deformare e quindi a ingannare i fedeli e ad illudere gli infedeli. Ma davvero questi "assistiti dallo spirito santo" credono di poter menare per il naso il Padreterno? O, com'è più probabile, sono assistiti da ben altro spirito che quello Santo?
RispondiEliminaQuesto commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
EliminaL'attuale epocale lotta interna alla Chiesa Cattolica, iniziata con il nefasto movimento modernista, si combatte tra coloro che vogliono adattare il Vangelo, alternativo alle tendenze dell'uomo, opposte alla legge divina e allo stesso diritto naturale, con le esigenze ( !?!) dei tempi moderni. Profondo ed esauriente l'intervento del discacciato Muller che ricorda quelli di papa Benedetto e soprattutto la sua esatta interpretazione degli scritti di Newman il quale si è convertito perché ha rifiutato il relativismo e la dottrina dei sacramenti dei protestanti, senza ricordare il ruolo decisivo che ha avuto su di Lui la liturgia cattolica. I novatori, per mostrare di aver ragione, sono soliti, subdolamente, deformare il pensiero di grandi, scivolando sugli specchi.
RispondiEliminaVengono cacciati e parlano male...su RaiUno aveva detto che AL segue la Tradizione e il Magistero della Chiesa...i modernisti cambiano bandiera a seconda del vento....
RispondiEliminaLa svolta. Müller: «Amoris laetitia» ortodossa. In linea con dottrina e tradizione
RispondiEliminaArriva un saggio di Buttiglione con un'ampia introduzione del prefetto emerito della Congregazione per la dottrina della fede. «Possibile la Comunione ai divorziati risposati».
https://www.avvenire.it/famiglia-e-vita/pagine/muller-amoris-laetitia-ortodossa-in-linea-con-dottrina-e-tradizione
Quando Benedetto xvi gli diede il mandato, ricordo che c'era chi storceva il naso. Benedetto xvi rispose che lui stesso era rimasto impressionato dalla mente teologica di Muller e dalla sua capacita' di sintesi. Aveva visto molto bene.
RispondiEliminaIl prefetto Müller difende Amoris Laetitia e prende le distanze dal card. Burke
RispondiEliminahttps://www.youtube.com/watch?v=nwMxCe9hSLA
"Si può infatti peccare contro la fede cattolica non solo negando alcuni dei suoi contenuti, ma anche riformulando i suoi principi formali di conoscenza."
RispondiElimina... come feci io, ex prefetto della congregazione della dottrina della fede (prima tacevo o negavo mentre ora da ex pontifico) quando negai la verginità di Maria Santissima, cosa che finora non ho mai rettificato.
Intervento alquanto scombussolato. Perché da ex prefetto della congregazione della dottrina della fede si presenta con uno pseudonimo? Prima taceva e adesso pontifica però non rettifica la negazione della verginità di Maria Santissima, cioè continua a negare la verginità di Maria che però chiama "Santissima"? Scombussolamento piuttosto accentuato.
EliminaVerginità di Maria mater Dei ? I teologi, specie quelli allevati nel mondo teutonico ( la mitica Tubinga, fabbrica di narcisi ! ), non contenti di occuparsi dei loro argomenti filosofico-teologici, si atteggiano persino a ginecologi. Ma la loro diagnosi vale quanto quelle mediche per corrispondenza. Ognuno di loro si esercita a negare ora questa ora quella verità della fede ( ad es. Martini e Forte la Resurrezione !).Con un minimo di cervello, nutrito di serio studio e umiltà, potrebbero solo dire che non lo sanno, senza affermazioni da 'sicumera'. Ma visto che non ci credono dovrebbero deporre il cappuccetto rosso, anzi andarsene proprio.
RispondiElimina@ Gas
RispondiEliminaA Lei non sono note le premesse storiche:
È risaputo che il card. Müller, come ben evidenziato a suo tempo su questo sito quando fu nominato da BXVI a capo della Congregazione della Dottrina della Fede, negava la Verginità di Maria Santissima, cosa che finora non ha mai ritrattato.
Nel contempo però ora pontifica correggendo gli altri senza peli sulla lingua nei loro scivoloni dottrinali (legga l'articolo).
E ciò lo fa da ex-prefetto, mentre mai lo fece prima quando era in carica, cioè quando era tempo e ruolo, preferendo piuttosto passare l'acqua bassa o negare l'evidenza dello sfacelo della Chiesa allorquando i 4 cardinali espressero i 5 dubia.
Ho scritto tutto ciò in prima persona, come se fosse il card. Müller a parlare.
Questo il senso del mio intervento.
Cordialmente...
La ringrazio per il chiarimento: quindi lo scombussolato è il card. Muller.
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