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lunedì 8 gennaio 2018

Le ragioni dell’Humanae vitae alla luce di san Giovanni Paolo II

Dagli amici di Libertà e Persona un denso e approfondito saggio sulla questione dell'Humanae Vitae.
Da  meditare in questi tempi di confusione.
L

4-12-17
Pubblichiamo il testo integrale della relazione tenuta da Marina Bicchiega al convegno “Le meraviglie della fecondità umana: prevenzione e cura dell’infertilità” organizzato il 29 settembre 2017 dal Movimento per la Vita di Casale Monferrato. L’intervento affronta le sei obiezioni tipiche rivolte all’enciclica Humanae vitae. Riflette sul dibattito tra contraccezione e metodi naturali analizzando gli aspetti scientifici, teologici e pastorali con uno sguardo sul panorama mondiale. Gli altri relatori del convegno, introdotti da Margherita Borsalino Garrone, erano padre Giorgio Carbone O.P., Raffaella Pingitore, Loredana Sferruzza e Cinzia Ponte. A margine del convegno si è tenuta la 17esima replica del recital acustico “Dal cielo alla terra”, una serata di nuova evangelizzazione sull’amore coniugale ideata da Davide Zanelli.
di Marina Bicchiega
Buon pomeriggio a tutti. Premetto che per me è un onore sedere a questa cattedra a fianco di illustri relatori e di un maestro come padre Giorgio Carbone. Nella mia relazione illustrerò quali sono le obiezioni tipiche incontrate dall’Humanae vitae in questi primi cinquant’anni. Per ogni obiezione cercherò di spiegare perché quest’enciclica profetica ha avuto ragione, e come queste ragioni sono state portate alla luce dall’insegnamento di san Giovanni Paolo II.
Ho classificato sei obiezioni. Vengono da lontano e vanno dal piano scientifico-filosofico a quello teologico-pastorale. Ne scorrerò rapidamente alcune per soffermarmi su due delle obiezioni che ritengo più centrali nel dibattito di questi ultimi anni.

Prima obiezione: inaffidabilità scientifica della strada indicata da Humanae vitae.
Questa è la più semplice da smontare perché è sufficiente superare i pregiudizi diffusi e la disinformazione, e l’obiezione si sbriciola da sé. I metodi naturali moderni hanno raggiunto infatti dal punto di vista scientifico un’affidabilità ormai pressoché totale, al pari della pillola. C’è stato un lungo cammino della ricerca medica su questo fronte, e la risposta più bella all’obiezione la troviamo nelle parole di Cicerone: “nessuna scoperta è subito perfetta”.
Come sapete c’è stata una prima generazione di metodi naturali, dagli anni ’30: l’Ogino-Knaus e il metodo del Ritmo (che erano metodi di previsione). Poi abbiamo avuto la temperatura basale (cioè metodi post-ovulatori). E oggi siamo arrivati ai metodi di terza generazione (Billings e sintotermici) che sono metodi di osservazione. Se correttamente insegnati e applicati hanno un indice altissimo di sicurezza. La cosa era già certificata dall’OMS negli anni ’80 e dalla letteratura medica, ma tutto il lavoro scientifico e i risultati raggiunti fanno ancora fatica ad emergere. C’è infatti una forte censura a livello mediatico ed è dovuta essenzialmente al fatto che i metodi naturali non sono un prodotto da vendere ma una conoscenza liberante, che va a disturbare un business colossale di dimensioni planetarie, quello della contraccezione (cfr. Angela De Malherbe in A.L. Trujillo – E. Sgreccia, ed., Metodi naturali per la regolazione della fertilità: l’alternativa autentica, Vita e Pensiero, Milano 1994, pp. 439-446). Lo spiegava bene il professor John Billings. Nonostante le resistenze mediatiche e le opposizioni dalla comunità scientifica, girando il mondo insieme a sua moglie Evelyn e vedendo il successo tra la gente, lui amava ripetere un’antica frase latina: magna est veritas et prevalebit. La verità è grande e verrà fuori.
In una società delle “pari opportunità” le persone sono veramente libere di scegliere quando sono messe a conoscenza in modo corretto di tutte le strade a disposizione. E se “oscurantismo” vuol dire oscurare una parte della verità, viene da chiederci: siamo proprio sicuri che è la Chiesa ad essere oscurantista? La disinformazione su larga scala e i suoi danni pastorali sono un tema molto sottolineato negli ultimi anni dall’ostetrica Flora Gualdani in vari interventi (http://www.libertaepersona.org/wordpress/2014/05/discorso-di-ringraziamento-per-il-premio-%E2%80%9Civ-marcia-nazionale-per-la-vita%E2%80%9D/) e interviste (http://www.lanuovabq.it/it/io-una-vita-per-la-vita-soffro-per-le-nomine-pav-si-realizza-il-piano-dei-nemici-di-humanae-vitae).
In Italia siamo diverse centinaia di consulenti qualificate, presenti in modo capillare in ogni regione: rappresentiamo l’anello di congiunzione tra la ricerca universitaria e il territorio, tra la scienza e la pastorale. Abbiamo una Confederazione nazionale (http://(www.confederazionemetodinaturali.it) che, in una rete mondiale, riunisce tre grandi scuole d’insegnamento: Billings e sintotermici nella versione Camen e Roetzer. San Giovanni Paolo II dopo ogni congresso internazionale riceveva una rappresentanza di questi operatori perché voleva essere aggiornato sui progressi della medicina e della pastorale, incoraggiandoci a proseguire in questo nostro «misconosciuto» servizio (Evangelium vitae n. 97 e n. 88), da cui passa un «nuovo femminismo» (Evangelium vitae n. 99). E nell’udienza del 7 dicembre del 1996 affermava che «è ormai maturo il momento che in ogni parrocchia e in ogni struttura di supporto alla famiglia» ci sia un’insegnante dei metodi naturali, sostenuta dal proprio vescovo: «raccomando particolarmente ai Vescovi, ai parroci e ai responsabili della pastorale di accogliere e favorire questo prezioso servizio». Purtroppo però dobbiamo constatare che questo ancora non è avvenuto perché, spiegava l’arcivescovo di Varsavia mons. Hoser a margine dei recenti Sinodi, «la pratica pastorale ha tradito Giovanni Paolo II», cioè in molti paesi «la pastorale familiare è stata fermata» dalla contestazione dell’Humanae vitae (L. Bertocchi, Sulla famiglia la Chiesa ha tradito Giovanni Paolo II, La nuova Bussola Quotidiana, 7 febbraio 2015). E questo è un punto che riprenderò più avanti.
Complessivamente però possiamo dire che l’invito lanciato da Paolo VI agli uomini di scienza (Humanae vitae n. 24) è stato raccolto seriamente da una parte di loro, i quali sono riusciti a perfezionare in modo eccellente la strada dei metodi naturali. Un esempio importante di questa risposta è l’ISI: un Istituto Scientifico Internazionale intitolato a Paolo VI e voluto da Giovanni Paolo II all’interno dell’Università Cattolica di Roma per sviluppare la ricerca sulla regolazione naturale della fertilità e per curare l’infertilità, con risultati oggi molto importanti e sorprendenti, al pari di quelli della fecondazione artificiale, ma con un’impostazione etica profondamente differente. Noi a Casa Betlemme, vicini a Roma, abbiamo questa struttura come centro specialistico di riferimento a cui inviamo le nostre utenti quando emergono segnali di patologia.
Seconda obiezione: impraticabilità e improponibilità.
Questa è l’altra obiezione vecchia di cinquant’anni che purtroppo continua ad andare di moda sia nell’immaginario collettivo sia nei piani alti della Chiesa. Si sente dire che quello dell’Humanae vitae è un bell’ideale astratto, sicuramente da consigliare, ma troppo alto e “lontano dalla vita concreta” della maggior parte della gente e quindi andrebbe “adattato”. I metodi naturali sarebbero cioè una proposta “di nicchia”, riservata a poche coppie speciali e improponibili specialmente nei paesi poveri del mondo. Chi continua a sostenere questa obiezione non è evidentemente informato su cosa per esempio è successo nelle bidonville di Calcutta grazie a Madre Teresa. Questa santa donna mandava le sue suore a Roma ad imparare i moderni metodi naturali perché li insegnassero anche nelle strade. E in questo modo negli anni ’70 migliaia di persone, in accordo con il governo di Indira Gandhi, furono sottratte alla sterilizzazione forzata. Quella di Madre Teresa è una clamorosa lezione di carità nella verità. Con la sua determinazione ha dato attuazione all’Humanae vitae dimostrando con i fatti quanto afferma Flora Gualdani, cioè che «anche questa enciclica, se si vuole, può funzionare ad ogni latitudine, comprese le periferie esistenziali». Qualcuno le definisce “utopie concrete”. Ed è una grande lezione che andrebbe riletta attentamente dalla nostra pastorale occidentale. Io e mio marito abbiamo cercato di divulgarla con un articolo l’anno scorso nei giorni del “fertility day” che coincidevano proprio con la canonizzazione di Madre Teresa (Madre Teresa e il fertility day, Libertà e Persona, 22 settembre 2016) (http://www.libertaepersona.org/wordpress/2016/09/madre-teresa-e-il-fertility-day/).
L’altro esempio clamoroso è quello della Cina comunista dove, grazie alla caparbietà di un missionario (padre Angelo Lazzarotto) e al lavoro dei Billings, negli anni ’80 la regolazione naturale della fertilità fu accolta con grande interesse dal mondo medico e venne addirittura adottata dal ministero della salute come valida alternativa alla spirale, metodo d’elezione ma poco gradito dalle donne. Furono addestrate migliaia di operatrici che andarono ad insegnare il metodo tra le operaie, nelle campagne e nelle montagne. Oggi il metodo Billings è utilizzato in Cina da oltre tre milioni e mezzo di coppie con un tasso di successo intorno al 99% (E. Billings, La Cina ci prova col Billings; A.S. Lazzarotto, Una rivoluzione a piccoli passi. La testimonianza del missionario, Mondo e Missione, ottobre 2004, pagg.10-15). L’8 settembre 2000 durante un congresso internazionale a Roma intitolato “La donna di oggi e la sua identità: femminilità, fecondità e procreazione”, ascoltavamo questi risultati direttamente dalla bocca del professor Zhen Qjan e rimanemmo sbalorditi a sapere che la gioia provata dalle donne cinesi per l’arrivo dei metodi naturali si traduce in italiano con queste parole: «finalmente una buona notizia!». Queste quattro parole sono infatti la dimostrazione letterale e impressionante che l’Humanae vitae porta in sé un “vangelo della sessualità” il quale viene riconosciuto dai popoli più lontani e dai semplici, mentre viene ancora rifiutato (o addirittura deriso) dalla nostra evoluta cultura occidentale. E’ un messaggio concreto e universale di bellezza, che non ha confini religiosi, ideologici o culturali. A meno che qualcuno abbia mai visto un’ovulazione cattolica (rispondeva così la dottoressa Evelyn Billings ad un’altra obiezione tipica).
In conclusione, allargando lo sguardo, la vecchia obiezione della presunta impraticabilità non regge. Perché ci sono tante esperienze sparse per il mondo dove la teoria è diventata prassi tra la gente. Tante realtà in cui la “sana dottrina” ha dimostrato la capacità di diventare perfino letteratura medica. Penso al lavoro enorme e geniale svolto dalla ginecologa missionaria Anna Cappella (C. Broggi, Anna Cappella al servizio della vita, L’Osservatore Romano, 27-28 aprile 2009). Ci sarebbe poi da parlare di Francia e Africa, del dottor Farag (consulente egiziano dell’OMS) che ha intessuto una rete di rapporti con i patriarcati dell’area mediterranea e mediorientale facendo diventare la regolazione naturale della fertilità «un punto di riferimento anche per il dialogo ecumenico e interreligioso». (L. Liverani, Il medico egiziano: la via naturale piace anche all’islam, Avvenire 31 ottobre 2004). Ci sarebbe da parlare della dottoressa Teresa Lee in Corea del sud (L’Osservatore Romano, inserto Donne Chiesa Mondo, 2 giugno 2014). Oppure del grande lavoro che negli Stati Uniti hanno portato avanti figure come Hilgers, Stanford, Hanna Klaus, e poi altri in Germania e in tanti angoli della terra. Una vastissima rete di persone riunite in centri, associazioni e movimenti che sono «la dimostrazione vivente della verità dell’Humanae vitae» (mons. Livio Melina in S. Mazza, Humanae vitae, fedeli alla verità dell’amore umano, Avvenire, 26 luglio 2008).
Il ginecologo ambrosiano Michele Barbato fa notare che tutte queste realtà sono nate di solito «dietro l’impulso di un pastore, di un sacerdote che aveva a cuore l’umanità, la possibilità che potessimo essere uomini e donne realizzati pienamente». Oppure, laddove è mancato l’impulso pastorale, direi che ci ha pensato la particolare caparbietà e perseveranza di un laico preparato, ed è la storia di Flora Gualdani con Casa Betlemme: un’opera avviata nel 1964 ai tempi del Concilio Vaticano II e riconosciuta ufficialmente come associazione pubblica di fedeli nel 2005 dall’allora vescovo aretino Mons. Gualtiero Bassetti, che la volle promuovere in questa specifica missionarietà laica e moderna.
Terza obiezione: fallibilità e reformabilità di quell’enciclica.
L’obiezione si muove su due ragionamenti. Primo: siccome non è stata recepita dalla maggioranza dei cattolici (cioè non è praticata), allora l’enciclica è fallita e quindi è da riformare. Secondo: si dice che Paolo VI volle decidere da solo senza ascoltare il parere della maggioranza. Si sarebbe assunto dunque una grossa responsabilità se tanta gente si è allontanata dalla Chiesa per colpa di questa enciclica (Cfr. C.M. Martini – G. Sporschill, Conversazioni notturne a Gerusalemme. Sul rischio della fede, Mondadori, Milano 2008, pp. 91-97). Qui ritroviamo la linea teologica che sostiene la teoria del flusso “prassi-teoria-prassi” cioè sono i comportamenti che devono modificare la norma e non viceversa, è la dottrina che va adeguata alla prassi della gente. Semplificando, certi teologi concludono in questi termini: «se il popolo di Dio vuole la pillola, la Chiesa gliela deve dare!». Sentito con le mie orecchie.
Sul tema della mancata recezione bisogna vedere in realtà da quale punto di vista si guarda. E farei rispondere qui dall’Australia il professor John Billings che considerava pastori e teologi responsabili di una grave omissione: «non è la prima volta, nella storia della Chiesa Cattolica, che una crisi all’interno della Chiesa stessa è stata sanata dallo Spirito Santo, che agisce attraverso i laici. Alcuni vescovi, più sacerdoti ed un largo numero di teologi, hanno mancato di informare i cattolici sull’insegnamento ufficiale della Chiesa o hanno dato consigli contrari all’insegnamento della Chiesa mascherandoli come “soluzioni pastorali”» (A. Montonati, Lyn e John Billings, due vite per la vita. La pianificazione naturale delle nascite con il Metodo dell’Ovulazione, ed. San Paolo, Milano 1998, p. 141).
Dal primo giorno in cui uscì l’enciclica scattò infatti un piano di resistenza intercontinentale organizzato accuratamente da pastori e teologi. Tra gli strateghi della ribellione spiccava padre Bernard Häring. Sul tema vi invito a leggere il magnifico saggio “I veleni della contraccezione” (ed. Studio Domenicano, Bologna 2013) a firma di Renzo Puccetti il quale con perizia chirurgica ha ricostruito in modo capillare dettagli e retroscena di quel drammatico momento. Una cosa mai vista nella storia della Chiesa. Il beato Paolo VI prima subì forti pressioni, poi venne lasciato solo e soffrì un tale attacco dal mondo ecclesiale che in confronto – mi permetto di dire – i famigerati “dubia” dei nostri giorni sono carezze.
In una prima fase l’enciclica fu messa in discussione sul piano dell’autorevolezza, cioè si dubitava dell’obbligatorietà di quella norma. Dato che il documento non usava la dichiarazione solenne di infallibilità, si è cercato per anni di derubricarne la portata.
San Giovanni Paolo II come è intervenuto in difesa dell’enciclica? Lui faceva parte della famosa commissione durante il Concilio Vaticano II, ma non aveva potuto partecipare alle ultime riunioni, bloccato in patria dalle autorità. Così aveva organizzato nel 1966 con la sua collaboratrice Wanda Półtawska una commissione diocesana, spedendo a Roma il suo lavoro.
Pure sul famoso cosiddetto “parere di maggioranza” sarebbe opportuno rileggersi un paio di retroscena inquietanti e illuminanti. Ce li spiega il professor Bernardo Colombo, demografo che era presente al Concilio e che, ultraottantenne, decise di mettere nero su bianco le sue memorie: B. Colombo, Discussioni sulla regolazione della fertilità: esperienze personali e riflessioni, “Teologia” – Rivista della Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, 1(2003), pp. 72-98. Il celebre demografo racconta il fastidio che provò davanti a due teologi (di cui omette il nome) che gli confidarono di aver inserito «un paio di paroline che cambiavano le cose senza che i Padri conciliari se ne accorgessero». Stesso disgusto provato dal canonico de Locht davanti al tentativo di far votare «alcune parole dal significato ambiguo». Accanto a questo scenario, dove si sente più odore di politica che profumo di Cristo, il professor Colombo ha il ricordo vivo di un certo vescovo polacco che faceva parte della sottocommissione dottrinale ed era sempre in cappella in ginocchio a pregare.
Diventato papa, quel vescovo polacco ha preso in braccio tutta la questione con una lunga serie di interventi di cui vi ricordo telegraficamente soltanto alcune coordinate fondamentali. Dopo il sinodo sulla famiglia del 1980 scrisse la esortazione Familiaris consortio dove affermò la chiarezza e il valore profetico dell’Humanae vitae, invitandoci a non confondere la “legge della gradualità” con la “gradualità della legge”, come se quella norma morale fosse adatta solo per alcuni. Nel frattempo, invece che fare una nuova enciclica, usò lo strumento della catechesi: dedicò quindi per oltre quattro anni tutte le udienze del mercoledì ad approfondire i fondamenti teologici dell’Humanae vitae (Giovanni Paolo II, Uomo e donna lo creò. Catechesi sull’amore umano, Città Nuova Editrice – Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1995, IV ed.). Sono ben 129 interventi che costituiscono la “teologia del corpo”, un insegnamento enorme ed articolato che «non è vecchio ma è ancora sconosciuto a molti cardinali», affermava il card. Caffarra a margine del Sinodo (M. Matzuzzi, Da Bologna con amore: fermatevi, Il Foglio, 15 marzo 2014). Il biografo Weigel la definisce «una bomba teologica ad orologeria» che quando finalmente esploderà, nel terzo millennio, «produrrà effetti spettacolari». (Y. Semen, La sessualità secondo Giovanni Paolo II, Edizioni San Paolo, Milano 2005).
San Giovanni Paolo II è intervenuto poi sull’argomento con numerosi discorsi a congressi internazionali scientifici e pastorali (cfr. P. Pellicanò, Giovanni Paolo II. Mandato d’amore, edizioni San Paolo, Milano 2012). Qui ne segnalo tre per importanza. Quello del 2 marzo 1984 è fondamentale perché fotografò con esattezza impressionante ciò a cui stiamo assistendo oggi. E lo ritroviamo quasi per intero al n. 103 dell’enciclica Veritatis splendor. Riferendosi alle obiezioni che parlano di “ideale astratto” e “concrete possibilità dell’uomo”, di “bilanciamento dei vari beni in questione” e “adattamenti pastorali”, lui spiegò i motivi per cui si tratta di «un gravissimo errore» che, in definitiva, nasconde al fondo un nostro problema di fede: cioè credere che l’uomo sia dominato dalla concupiscenza e non redento da Cristo. Occorre invece tornare a credere che davvero l’uomo, con la grazia di Dio, è sempre educabile. In quel lungo discorso, insieme alla severità troviamo l’incoraggiamento e un avvertimento da profeta: «voi ben sapete che spesso la fedeltà la fedeltà da parte dei sacerdoti – diciamo anzi della Chiesa – a questa verità e alle norme morali conseguenti, quelle insegnate dall’Humanae Vitae e dalla Familiaris Consortio, deve essere spesso pagata ad un prezzo alto. Si è spesso derisi, accusati di incomprensione e di durezza, e di altro ancora. E’ la sorte di ogni testimone della verità, come ben sappiamo. Con semplice ed umile fermezza siate fedeli al magistero della Chiesa in un punto di così decisiva importanza per i destini dell’uomo».
In un discorso del 5 giugno 1987 afferma che «quanto è insegnato dalla Chiesa sulla contraccezione non appartiene a materia liberamente disputabile fra teologi. Insegnare il contrario equivale a indurre nell’errore la coscienza morale degli sposi». Qui il papa spiega la grave responsabilità di quelli che remano contro la bimillenaria Tradizione della Chiesa. Il 14 marzo 1988, per il 20esimo dell’Humanae vitae, san Giovanni Paolo II chiarisce che quest’insegnamento, in un’ininterrotta continuità, «appartiene al patrimonio permanente della dottrina morale della Chiesa», e mettere in dubbio questo capitolo della verità «non è un segno di comprensione pastorale» perché «la verità non può essere misurata dall’opinione della maggioranza». L’intervento solleva una forte reazione da parte dei teologi europei e il Santo Padre deve affrontare uno dei momenti più difficili del suo pontificato. Häring organizza infatti una nuova ondata di sollevazione e nel 1989 viene pubblicata la “Dichiarazione di Colonia” firmata da numerosi e influenti teologi di area germanica e paesi bassi. E’ un manifesto di dissenso che si allarga velocemente in Europa e trova l’adesione anche di sessantatré teologi italiani. San Giovanni Paolo II risponderà solennemente nel 1993 con l’enciclica Veritatis splendor, facendola precedere dal nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica (1992) e accompagnandola poi con l’enciclica Evangelium vitae (1995).
Questa risposta è come un baluardo dove Papa Wojtyla pone dei limiti precisi alla ricerca teologica e conferma che la contraccezione appartiene alla categoria degli intrinsece mala, perché nell’autentico insegnamento cattolico esistono davvero alcuni assoluti morali. Il Papa condanna cioè definitivamente l’etica della situazione. Alla sua morte gli oppositori torneranno presto alla carica e il 14 aprile 2005 la copertina di Panorama dettava l’agenda del successore, dove al primo punto delle cose da modificare compare proprio la morale sessuale. Ma Benedetto XVI rimarrà fermo. E così nel 40esimo dell’Humanae vitae abbiamo visto proteste poco importanti.
Oggi siamo arrivati al 50esimo e la strategia dell’opposizione è cambiata: non è più un assalto frontale. Ci sono ancora alcuni pastori mitteleuropei che chiedono senza mezzi termini una rottamazione dell’enciclica. Ma la maggioranza dei critici dell’Humanae vitae usa adesso un’altra strada. L’operazione appare molto più sottile e si presenta come una reinterpretazione dell’enciclica in chiave pastorale. Flora Gualdani ha definito questa raffinata strategia come un tentativo di «imbalsamare» l’enciclica, cioè «lasciare intatta la dottrina dall’esterno ma svuotandola da dentro» (intervista su La Nuova Bussola Quotidiana del 23/6/2017  http://www.lanuovabq.it/it/io-una-vita-per-la-vita-soffro-per-le-nomine-pav-si-realizza-il-piano-dei-nemici-di-humanae-vitae e intervista su Radio Maria del 26/8/2017 http://www.libertaepersona.org/wordpress/2017/09/una-vita-per-la-vita/).
Quarta obiezione: quell’enciclica è accusata di “biologismo”.
Con questa obiezione iniziamo a scendere nelle profondità del dibattito. L’enciclica di Paolo VI è stata accusata fin da subito di essere impregnata di “biologismo”. E’ un’obiezione classica (l’hanno portata avanti teologi come Häring e Chiavacci) e oggi, con i lavori del Sinodo, sta tornando di nuovo alla ribalta: si contesta cioè all’Humanae vitae di aver sposato un vecchio modello ripiegato in una sorta di “fissismo naturalistico” che sacralizzerebbe il dato naturale, rifiutando a priori qualsiasi forma di intervento e ignorando il dinamismo della natura. Si veda ad esempio il testo curato dal Pontificio Consiglio per la famiglia, Famiglia e Chiesa. Un legame indissolubile (contributo interdisciplinare per l’approfondimento sinodale, Libreria Editrice Vaticana, 2 giugno 2015), con interventi di A. Bozzolo, M. Chiodi, G. Dianin, P. Sequeri, M. Tinti.
La questione – osserva Dianin – ruota su «come intendere il ruolo della ragione nei confronti del dato biologico» (Gianpaolo Dianin, Matrimonio, sessualità, fecondità, ed. Messaggero, Padova 2008). Se la ragione deve avere soltanto un «ruolo di riconoscimento e di accoglienza del dato biologico, si tratterà di rispettarlo con l’uso dei metodi naturali». Cioè siamo chiamati ad usare la ragione per indagare scientificamente questa dimensione biologica, conoscerla per rispettarla nella sua struttura, scoprendone il linguaggio e i significati. Se invece pensiamo ad un «ruolo creativo della ragione, potrebbe aprirsi la strada alla contraccezione». L’uomo sarebbe così legittimato a manipolare e “plasmare” la fisiologia femminile, ingegnandosi a rendere sterile l’atto sessuale e a spengere la fertilità.
Effettivamente, su questo punto le strade si dividono nettamente ed il confronto chiama in causa la grande questione della responsabilità e dell’atteggiamento dell’uomo davanti al creato, e il concetto stesso di natura. Il disegno della fertilità ci pone davanti quindi ad un bivio: o ci incamminiamo dentro questo meraviglioso disegno, oppure cominciamo a smontarlo e correggerlo perché, anche se edulcoriamo l’operazione usando la parolina “plasmare”, si tratta di ciò che spiega Wanda Połtawska: noi di fatto andiamo a «correggere ciò che Dio ha già creato in modo perfetto». La psichiatra polacca spiega che l’uomo, «sentendosi come schiacciato dalla forza della sua fecondità», cerca di combatterla e di correggere il Creatore con la contraccezione. Si tratta però di «un peccato inutile» poiché in natura esiste già la soluzione cioè i giorni infecondi messi a nostra disposizione, ovvero la nostra capacità di astinenza periodica (W. Półtawska, La fecondità come compito e metodi per realizzarla, in «La procreazione responsabile. Fondamenti filosofici, scientifici, teologici», atti del convegno organizzato da Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia-Pontificia Università Lateranense, Centro Studi e Ricerche sulla Regolazione Naturale della Fertilità-Università Cattolica del S. Cuore, Roma 1992, pp. 57-74).
La dottrina della Chiesa cattolica, confermata dall’Humanae vitae, sceglie la strada di rispettare i disegni del Creatore. E questa posizione si fonda essenzialmente su due argomenti.
Primo argomento. Anzitutto va chiarito che la Chiesa non è di per sé contraria all’artificio poiché l’artificialità può essere certamente cosa buona: una diga o un farmaco. L’artificialità diventa immorale quando non rispetta la verità della persona umana e la sua dignità, o quando non serve a riportare a fisiologia.
Lo ha spiegato la Commissione teologica internazionale nel 2009 e lo diceva già la Gaudium et spes al n. 57. E’ vero che l’uomo ha avuto il mandato di assoggettare la natura e di «perfezionare la creazione». Però dobbiamo anche ricordarci che questa cosiddetta “ragione creativa” ha davanti un limite ben preciso posto da Dio: si deve fermare davanti all’albero della vita. La creazione infatti è prerogativa solo di Dio: l’uomo non è in grado di creare niente dal nulla. E l’uomo, nella sua oggettiva struttura di persona, è stato pensato così da Dio. E così pure il nostro cosiddetto sistema riproduttivo, progettato con una precisa “grammatica” perché un uomo e una donna collaborino con Dio a trasmettere la vita su questa terra. Anche lì l’uomo è chiamato a non dividere ciò che Dio ha unito, a rispettare il modo in cui Lui ci ha pensato.
La contraccezione invece è stato il primo atto con cui l’uomo moderno è andato a metter mano all’albero della vita, separando la sessualità dalla dimensione della fertilità. Abbiamo iniziato lì a staccarci dal progetto originario di Dio sulla famiglia, dall’ordine della Creazione. Quella prima frattura, come sappiamo, si è poi approfondita per il verso opposto, con la fecondazione artificiale. Una scissione profonda, sul piano antropologico e veritativo: tra teologia e bioetica, lo hanno spiegato bene negli anni i cardinali Sgreccia e Caffarra. Ma tutto è partito dalla contraccezione e oggi, con gli sviluppi della tecnologia riproduttiva, dice Flora Gualdani, «l’umanità sta accellerando il suo più grave divorzio da Dio». Noi viviamo dunque «nell’epoca del peccato contro il Creatore» come affermava Benedetto XVI e ha ribadito papa Francesco.
Secondo argomento. San Giovanni Paolo II spiegava che la risposta a tutta questa questione sta nello «sguardo contemplativo» davanti alla bellezza della creazione (Evangelium vitae n. 83, Centesiums annus n. 37): uno sguardo da usare non soltanto davanti alla natura, ma prima di tutto davanti alla creatura umana, fatta da Dio come un prodigio (Veritatis splendor n. 1). Lui diceva che abbiamo perduto per strada questo tipo di sguardo e dobbiamo recuperarlo. E diceva che è urgente. Perché passando da quello sguardo comprenderemo che la Chiesa cattolica ci insegna «non tanto la fedeltà ad una impersonale legge naturale quanto al Creatore-persona, sorgente e Signore dell’ordine che si manifesta in tale legge» (CXXIV Catechesi sull’amore umano). La Chiesa non ci chiede di sottometterci a pure leggi biologiche ma di obbedire alla struttura intima della nostra stessa persona ed al significato che in essa (corpo ed anima insieme) assume l’atto coniugale. Questo significa che gli sposi devono agire non come arbitri del disegno divino, manipolandolo, ma come «fedeli interpreti» (Evangelium vitae n. 97): sta qui il vero significato di “procreazione responsabile”. Compito della Chiesa cattolica è suscitare questo atteggiamento di profonda riverenza verso il progetto originario di Dio sull’uomo. Anche Papa Francesco, in apertura del suo pontificato, dopo aver ricordato che «siamo custodi della Creazione, del disegno di Dio inscritto nella natura» (Omelia per l’inizio del ministero Petrino, Roma 19 marzo 2013), intervenne parlando di «amore per tutta la creazione, per la sua armonia», riferendosi alla figura del Santo d’Assisi che ci testimonia «il rispetto per tutto ciò che Dio ha creato e come lo ha creato» (Omelia durante la S. Messa per la visita pastorale ad Assisi, 4 ottobre 2013). Di fronte alla ciclicità della fertilità non siamo davanti a pure leggi biologiche ma ci troviamo di fronte alla maestà e alla sapienza del Creatore. E questo è un disegno preciso dove emerge il linguaggio di Dio che si svela all’uomo: la ricerca scientifica è riuscita lentamente a decifrare questo linguaggio della fertilità e noi siamo la prima generazione nella storia dell’umanità, osserva il dottor Michele Barbato, cui è stata data la possibilità di vivere in pienezza la relazione coniugale con questa consapevole bellezza del significato della corporeità (in Melina L. – Sgreccia E. – Kampowski S., ed., Lo splendore della vita: Vangelo, scienza ed etica. Prospettive della bioetica a dieci anni da Evangelium vitae, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2006, pp. 236-244).
In definitiva, lo sguardo contemplativo suggerito da san Giovanni Paolo II è uno sguardo creaturale che esprime meraviglia e ammirazione per la maestà e bellezza del corpo umano, per la sapiente armonia con cui è stato pensato da Dio. La “teologia del corpo” ci insegna una «rilettura del linguaggio del corpo nella verità» (CXXV Catechesi sull’amore umano) spiegandoci che «nel sistema riproduttivo scopriamo un’indicazione del disegno del Creatore» (Discorso alla Pontificia Accademia per le Scienze, 1994). La nostra civiltà tecnica ci sta invece portando alla «saccenteria di una scientificità malintesa» che impedisce all’uomo moderno di «ascoltare le direttive della creazione» come spiegava Ratzinger nel 1981 (J. Ratzinger, In principio Dio creò il cielo e la terra. Riflessioni sulla creazione e il peccato, Lindau, Torino 2006, pp. 43, 46-47). E’ come se avessimo perduto la capacità di leggere quelle «istruzioni per l’uso» inscritte da Dio «in modo oggettivo e indelebile nella sua creazione» (J. Ratzinger, Rapporto sulla fede. Vittorio Messori a colloquio con Joseph Ratzinger, San Paolo, Milano 1985, pp. 91 e 98).
E proprio questo è un punto essenziale che venne sottolineato nel 40esimo dell’Humanae vitae dal filosofo Padre Serge-Thomas Bonino O.P. il quale ricordava che i cristiani per secoli hanno potuto «discernere nella natura il messaggio» del Creatore. Oggi invece, grazie ad alcune scuole di pensiero, siamo arrivati ad un contesto filosofico in cui «la natura non è più percepita come un’epifania della sapienza divina». Il Logos del corpo è conseguentemente diventato inavvertibile per lo spirito: siamo finiti nel «disincanto della natura, percepita senza alcuna profondità né sfondo». Senza lo stupore dello sguardo contemplativo, concludeva il filosofo tomista, «l’insegnamento dell’enciclica è divenuto non soltanto indecifrabile ma anche “scandaloso”» (S.-T. Bonino, Paternità e maternità responsabili. Le ragioni di un’incomprensione, in L. Scaraffia, Custodi e interpreti della vita. Attualità dell’enciclica Humanae vitae, Atti del congresso internazionale alla Pontificia Università Lateranense, Lateran University Press, Roma 2010, pp. 217-229). L’opzione contraccettiva, dunque, perde per strada la metafisica della creazione: e qui sta un nodo fondamentale di tutta la questione.
Io penso che lo sguardo contemplativo cui ci invita san Giovanni Paolo II ci aiuti a chiarire anche un altro passaggio: coloro che cercano di rimettere in discussione l’Humanae vitae, tendono molto a sottolineare le esigenze della relazione orizzontale, interpersonale. Una certa linea teologica sostiene (oggi come ai tempi del Concilio) che la contraccezione cioè può essere un bene per la coppia purché sia “innocua” (e qui ci sarebbe da aprire tutto un capitolo) e purché serva ad “arricchire i coniugi nella loro relazione”. Secondo me tuttavia, a forza di concentrarci sul piano orizzontale, finiamo per dimenticarci invece il piano verticale, cioè il rapporto tra uomo e Dio, non riflettendo abbastanza sull’atteggiamento della creatura davanti al Creatore. Dobbiamo ricordarci infatti che la bioetica promossa dal Magistero si basa sul personalismo “ontologicamente fondato”, come spiega Sgreccia. Un personalismo dove la creatura attinge la sua dignità nell’essere non il frutto del caso, ma il capolavoro dell’opera di Dio. Noi creature umane siamo il vertice di tutta la Creazione.
Mi sono soffermata a lungo su questo punto dello “sguardo contemplativo” perché navigando nel grande mare degli insegnamenti giovanpaolini sull’amore umano, sono personalmente convinta che davvero stia qui la chiave di volta. Ed è una convinzione profonda che ho maturato negli anni in coppia, insieme a mio marito. Lui da sposo, partendo proprio da questa pista di riflessione e rispondendo ad un invito dei vescovi (Sinodo anno 2015, Instrumentum laboris n. 78), ci ha costruito sopra una catechesi in forma spettacolare, usando il linguaggio artistico della poesia e della canzone: un recital acustico intitolato “Dal cielo alla terra” (http://www.tsdtv.it/2017/04/26/lannuncio-del-vangelo-passa-dalla-musica/) che è un modo per aiutare la gente ad indossare quel tipo di “occhiali” suggeriti da san Giovanni Paolo II, cioè il primo passo per superare le accuse di biologismo (http://www.puntofamiglia.net/puntofamiglia/2017/06/30/casa-betlemme-la-scuola-dove-si-insegna-la-liberta-di-non-abortire-in-un-fecondo-intreccio-di-carita-e-verita/). Per far capire che il sentiero dei metodi naturali non è l’argomento di fanatici moralisti ma «l’unica via per l’abbraccio totale ed il rispetto intero dell’opera del Creatore e del prossimo tuo, che ti dorme accanto» (Davide Zanelli, Cantico). Siccome Wojtyla, oltre che santo pontefice era anche un artista, ci piace pensare che stia apprezzando questo piccolo contributo per divulgare i suoi grandi insegnamenti.
Quinta obiezione: “ma in fondo dove sta la differenza etica? si tratta semplicemente di un contraccettivo ecologico…”
Questa obiezione è strettamente legata alla precedente, e ci porta al cuore del problema. E’ l’obiezione più comune e si basa sull’equivoco della “contraccezione ecologica” che porta molti a confondere i metodi naturali con una tecnica cattolica per non fare figli. Il discorso naturale-artificiale è invece di per sé eticamente irrilevante, per cui anche i metodi naturali diventano immorali se usati con mentalità contraccettiva: su questo punto san Giovanni Paolo II è stato molto chiaro e severo durante tutto il suo cammino di pastore, dalle sue prime catechesi giovanili fino agli ultimi congressi scientifici. Se ci fermiamo al discorso ecologico, diceva, non abbiamo capito niente: rimaniamo in una disputa superficiale (e sterile) sulla dicotomia tra metodo artificiale e metodo naturale. Se invece andiamo più a fondo, ci rendiamo conto che c’è «una differenza antropologica» basata su due concezioni della persona e della sessualità umana «tra loro irriducibili» (Familiaris consortio n. 32). Il papa ci raccomandava infatti di mostrare le ragioni più profonde di questo insegnamento. E le radici affondano proprio in quel discorso dello sguardo e dell’atteggiamento verso la Creazione nel particolare della fertilità: noi la consideriamo un dono prezioso da conoscere e da rispettare nei suoi ritmi scritti da Dio, altri invece la vedono come un ostacolo da rimuovere e manipolare. Il Magistero ci invita a modificare i nostri comportamenti invece che modificare l’opera del Creatore, il mondo – al contrario – ci invita a correggere il disegno della fertilità per non modificare i nostri comportamenti.
Ma c’è un punto preciso, ripeteva san Giovanni Paolo II, in cui risiede la vera differenza: è l’esercizio della virtù. I metodi naturali sono l’unica via che ci richiede l’esercizio della virtù. Nessun contraccettivo lo richiede! I metodi naturali sono infatti uno stile di vita che ruota intorno a due fulcri: una profonda conoscenza di sé (fertility awareness) e l’esercizio della castità coniugale (che è astinenza periodica) praticata per amore nella reciproca fedeltà, in una ragionevole apertura alla vita.
Nel suo insegnamento Wojtyla ricorda che, alla luce del Vangelo, ogni amore autentico (anche quello tra uomo e donna), va sotto il segno del dono totale di sé ed è un comandamento esigente. Il dono di sé richiede la libertà, cioè il dominio di sé e del proprio corpo, saper governare le proprie passioni. Ecco perché san Giovanni Paolo II diceva che educarci alla castità è un «banco di prova» fondamentale per la maturazione della nostra persona e delle nostre relazioni affettive.
La castità dei metodi naturali non toglie nulla quindi alla sessualità ma gli restituisce pienezza, perché l’amore non è totale se non è capace anche di castità e di attesa. Wojtyla ci insegnava ad amare l’amore umano che deve essere un amore tridimensionale e sacrificale, dove nel dono di sé sono coinvolti il nostro corpo, l’anima e la ragione, cioè la totalità della persona nella sua immensa dignità. Questo lui lo chiamava il “bell’amore”. Una conquista faticosa a cui siamo chiamati, un cammino graduale che dura una vita intera. Se ne capisce il senso soltanto lasciandosi mettere in discussione e percorrendolo con le nostre gambe. Più che attraverso i trattati di teologia o di pastorale. E’ in questa luce che si comprende il significato autentico dei metodi naturali: educandoci alla castità sono essenzialmente la via per la crescita del nostro amore. Perché contengono, diceva Wojtyla, una provocazione a diventare migliori, sapendo che «non è la tecnica ma la virtù a rendere migliore un uomo» (L’Osservatore Romano, 14-15 marzo 1988).
Per riassumere tutta questa riflessione, mio marito nel recital acustico usa l’immagine del sentiero e dell’autostrada: la fecondità, disegnata con la sua ciclicità, è “il sentiero” tracciato da Dio, dove sono previste anche le salite e la fatica (cioè i giorni dell’astinenza), mentre la contraccezione è un viadotto, “un’autostrada” che l’uomo ha voluto costruirci sopra (non fidandosi del disegno di Dio). Sono immagini efficaci che attingono alla Sacra Scrittura. La chiave sta nel capire perché Dio in questo Suo “sentiero” ha voluto metterci anche “la salita”, quale è la Sua logica. E la nostra riflessione deve partire dalla consapevolezza che le Sue vie non sono le nostre vie (Isaia 55,8).
La pedagogia di Dio che sta al fondo dei metodi naturali si traduce – spiega Sgreccia – in «una straordinaria forza educativa». Qui vorrei introdurre una riflessione di Flora Gualdani e la sua esperienza sulla linea di san Giovanni Paolo II: «dobbiamo evitare di ridurre l’insegnamento ad una tecnica, che a lungo termine non potrebbe competere con altre tecniche molto più comode e meno esigenti». Ciò che dobbiamo riuscire a trasmettere, sottolinea Flora, «è il cuore e l’anima di questo stile di vita. Se con il tecnicismo gli togliamo l’anima, i metodi naturali potranno anche diventare sicuri al 100% ma la gente non sarà interessata e ci saranno sempre meno richieste».
Cosa ciò significhi l’ho imparato insegnando per vent’anni i metodi naturali al fianco di questa ostetrica speciale e osservando il suo stile. Anzitutto l’insegnante ha davanti a sé non soltanto una cartella di registrazione ma una persona, con tutta la sua storia e la sua vita. Sei chiamata ad insegnare a quella donna a camminare con le proprie gambe nel sentiero della sua fertilità, ad accompagnarla ad una consapevolezza che la renderà libera, sicura e autonoma. Ma insieme ai segnali della fertilità hai la responsabilità di insegnarle i significati più profondi. Quando la aiuti a riconoscersi creatura davanti al Creatore, tu accompagni quella persona fino alla soglia del mistero. E quindi la consulenza sugli ormoni, con i suoi follow up, diventa anche un cammino di fede, non solo per l’utente ma anche per te insegnante. E se quella persona non ha la fede – dice Flora – gli devi prestare la tua. Perché ti rendi conto che non puoi avere il controllo totale, e arrivi ad un punto in cui, nonostante tutta la scienza, ti devi fidare. Non esiste infatti nessun metodo sicuro al 100%, a dimostrazione che il Signore della vita è soltanto Dio, è Lui che alla fine decide. La coppia raggiunge così il punto di contatto tra i desideri del loro cuore e i piani di Dio, tra l’amore umano e quello divino: e quel limite si chiama mistero. E’ un punto di congiunzione tra scienza e fede, un’esperienza che come consulente è formidabile ma a volte ti fa tremare perché è molto incarnata oltre che delicata.
Quando intraprendono questo cammino che passa dalla castità periodica, le coppie vivono quindi una maturazione della loro relazione ottenendo anche una “conversione dello sguardo”. Nell’ottica della fede, infatti, l’arrivo di una gravidanza non lo consideri un errore o il “fallimento di un metodo” ma una precisa volontà del Creatore. E la reazione davanti a quel bambino, conclude Flora, deve essere questa: «benvenuto, non ti aspettavo!».
A Casa Betlemme i fatti ci confermano quanto sia vincente quest’impostazione. Continuano ad arrivare utenti dal passaparola tra le coppie. Dai laboratori di Flora su bioetica e teologia del corpo, dagli anni ’80 sono maturate cinque generazioni di insegnanti dei metodi naturali. Quando una donna, magari con altri figli da accudire, si trova di fronte ad una gravidanza “inspiegabile” in base alle regole di un metodo, e torna da te non soltanto per continuare ad usarlo ma addirittura ti dice che vuole diventare insegnante dei metodi naturali, allora vuol dire che ha compreso il valore dell’Humanae vitae e il significato del “sentiero”. E vi assicuro che per un’insegnante è la soddisfazione più grande.
A questo punto io penso che san Giovanni Paolo II ci direbbe più o meno così: ecco, se avete ben chiaro il pilastro della castità (cioè il primato della virtù) allora potete divertirvi a discutere anche dei profili ecologici che stanno nell’Humanae vitae. Possiamo cioè passare ad osservare quanta ragione abbia quest’enciclica davanti a certe contraddizioni dentro cui il mondo si è infilato con l’autostrada della contraccezione. Il nostro mondo infatti è diventato super sensibile all’ecologia e alla cultura del “bio”. In ogni campo della vita ci insegnano giustamente a ritrovare l’armonia con la natura: dall’alimentazione all’edilizia. Ma stranamente, in tema di fecondità, la cosa diventa tabù. Lì la natura non si può citare, è roba da medioevali. Così il concetto di ecologia va in corto circuito e salta tutto. Ci insegnano la “custodia del creato”, ma sul particolare della fertilità sembra che non se ne possa parlare. Eppure sappiamo che è un particolare molto prezioso perché sempre più raro: la fertilità infatti è una risorsa “non rinnovabile”. Va custodita e protetta, anche dalla «idea che la tecnica possa risolvere tutto»: lo spiegava per il 40esimo dell’Humanae vitae Eugenia Roccella, Sottosegretario al Welfare con delega ai problemi bioetici (Avvenire, 4 ottobre 2008).
La contraccezione di fatto è una guerra contro la Creazione: non a caso gli addetti ai lavori parlano di “arsenale contraccettivo”. E in questa inutile guerra, l’uomo si è notoriamente impantanato in un paradosso medico: va a curare una funzione sana. E finisce per farsi del male da solo: qui la cosa sarebbe lunga da spiegare e rimando ad un altro testo fondamentale scritto da Renzo Puccetti insieme a Padre Giorgio M. Carbone e Vittorio Baldini (Quello che nessuno ti dice sulla contraccezione, ed. Studio Domenicano, Bologna 2012) oltre ad un documento che fu pubblicato dalla Federazione internazionale delle Associazioni dei medici cattolici (FIAMC) (http://www.cavtorlupara.it/CartellaRipristino/PDFdoc/BIO3/FIAMC%2040%C2%B0%20H.V..pdf) il 10 agosto 2008, per il 40esimo dell’Humanae vitae. Sono pubblicazioni che ci illustrano sia gli effetti microabortivi di tutta la contraccezione farmacologica (è il tema delle “fughe ovulatorie”, conosciuto fin dai tempi del Concilio) sia i danni che l’uso femminile degli ormoni provoca sull’ambiente e addirittura sulla delicata fertilità maschile. L’allarme su questo aspetto dell’inquinamento ambientale apparve già il 27 gennaio 1997 sul Corriere della Sera a firma del professor Aldo Isidori, andrologo dell’Università La Sapienza, che spiegava come, paradossalmente, «se l’uomo è sterile è anche colpa delle donne» (cfr. sul tema Alberto D’Argenzio, Ambiente. Il lato B della pillola, L’Espresso on line, 2 novembre 2012). Sono argomenti scomodi e politicamente scorretti, che si meriterebbero un capitolo importante nella grande questione dell’ecologia umana. Dobbiamo invece prendere atto che purtroppo anche l’enciclica Laudato sii ha sorvolato sull’argomento. L’ostetrica Flora Gualdani li ha invece evidenziati nel suo Occidente, procreazione e Islam (https://ilmiolibro.kataweb.it/libro/saggistica/125035/occidente-procreazione-e-islam/?refresh_ce), un piccolo saggio firmato il 12 aprile 2015 come testimonianza e contributo di riflessione per il lavori sinodali.
Sesta obiezione: “quell’enciclica è frutto di una morale sessuofobica, superata…”
E’ l’ultima obiezione che l’Humanae vitae si porta dietro. Ma la storia anche qui ha già dato ragione a Paolo VI. La pillola prometteva libertà e felicità, mentre quell’enciclica indicava una via diversa, meno semplice. Così la stragrande maggioranza delle persone ha scelto la via della contraccezione invece che quella dell’Humanae vitae. Ma i numeri ci dicono che tutta questa felicità non è arrivata in mezzo agli sposi. E’ arrivata invece la disgregazione familiare.
Anche le femministe si sono ormai accorte che la contraccezione non è una grande soluzione: si presenta come libertà ma è il primo passo verso un’espropriazione (E. Roccella, Avvenire del 22.5.2005). Dopo una clamorosa apertura apparsa nel mensile “Noi donne”, il 12 maggio 1996 il quotidiano Avvenire titolava parlando di una “svolta”: «Le femministe si pentono: i metodi naturali sono i migliori. Ci fanno guardare con rispetto alla sessualità» Qualche anno fa, nel 50esimo della pillola, comparve sulla stampa inglese la delusione delle donne (The Independent, 11.5.2010) e il blog del neonatologo Carlo Bellieni intitolava la notizia non come l’anniversario ma come «il funerale della pillola». Gli addetti ai lavori registrano ormai da tempo, ad esempio anche in area germanica, «una crescente stanchezza per la pillola» (P. Frank – E. Raith – G. Freundl, La Regolazione Naturale della Fertilità oggi, CIC ed. internazionali, Roma 1997, p. 11). Mentre da qualche anno in Francia si assiste ad un clamoroso boom dei metodi naturali, segnalato da Le Monde l’11 agosto 2014 (cfr. Lucetta Scaraffia in I meriti della Chiesa, con un demerito, L’Osservatore Romano, 20 agosto 2014).
Paolo VI volle difendere la sacralità della vita ma anche del gesto che la consente. Difendeva la purezza dell’amore umano. All’amico Jean Guitton confidava il suo timore. Era preoccupato per le conseguenze di una dissociazione sempre più facile del piacere dalla procreazione all’interno dell’amore: secondo lui il «prendere il piacere a parte come si prende una tazza di caffè», il far diventare la donna «un oggetto, uno strumento», asservita all’uomo semplicemente «sistemando un apparecchio o prendendo “una medicina”» avrebbe favorito «una “saturazione” erotica dell’umanità che avrebbe per legge soltanto il piacere» (J. Guitton, Paolo VI segreto, ed. Paoline, Milano 1981, p. 96). Nel suo sfogo confidenziale Paolo VI spiegava che «noi non siamo obbligati a rispettare l’opinione dei più! Portiamo il peso dell’umanità presente e futura». Sentiva tutto il peso della responsabilità e intuiva la deriva in cui ci si avvierebbe «se la Chiesa di Cristo cessasse di subordinare il piacere all’amore e l’amore alla procreazione».
Quella “saturazione erotica” della società che preoccupava tanto il beato Paolo VI è esattamente ciò a cui oggi siamo arrivati: un pansessualismo che ha degradato l’èros a consumo e divertimento. Fenomeno pervasivo su cui riflettono sociologi e filosofi. Figure come Zigmunt Bauman e Fabrice Hadjadj hanno analizzato questo degrado della relazione coniugale sciupata dalla logica del consumismo sessuale. La disgregazione della famiglia, cioè, si collega anche ad una crisi dell’èros: l’amore umano e l’incontro sessuale, spogliato prima della sua fecondità, poi della sua grandezza e del suo mistero, viene spesso ridotto a puro scambio utilitaristico di piacere.
L’altro frutto amaro della “saturazione erotica” intuita da Paolo VI è la pornocrazia: gli studiosi parlano oggi di una “società pornificata” cioè un fenomeno di massa sta devastando le capacità affettive dei nostri giovani oltre che degli adulti (Thérèse Hargot, Una gioventù sessualmente liberata. O quasi, ed. Sonzogno, Venezia 2017; Antonio Morra, Porno Tossina, ed. Verso la Meta, Catania 2016).
Tornando alla sesta obiezione tipica rivolta all’Humanae vitae, vorrei fare una puntualizzazione, un po’ spiacevole ma doverosa per amore della verità. Ultimamente capita spesso di leggere commenti altolocati di questo genere: «con Amoris laetitia la Chiesa ha finalmente sdoganato la sessualità, riabilitando una visione positiva del sesso…». Ora, se c’è una figura che nella storia moderna della Chiesa ha sdoganato la sessualità, quella figura si chiama san Giovanni Paolo II. Mi limito qui ad un paio di citazioni e vi prego di notare le date.
Nella Quaresima del 1954 i futuri sposi ascoltavano da don Karol queste parole: «l’istinto sessuale è un dono di Dio. […] Se rispettiamo il desiderio all’interno dell’amore, non violeremo l’amore, non lo porteremo alla rovina» (P. Kwiatkowski, “Lo sposo passa per questa strada…”. La spiritualità coniugale nel pensiero di Karol Wojtyla. Le origini, ed. Cantagalli, Siena 2011, p. 18). Qualche anno dopo, nel 1960, in “Amore e responsabilità”, spiegava che bisogna imparare a «gustare il piacere sessuale senza tuttavia trattare la persona come un oggetto di godimento». Questo magnifico trattato del vescovo di Cracovia era talmente all’avanguardia che De Lubach, per fare la prefazione alla prima edizione francese nel 1965, voleva che fosse tolta l’appendice “La sessuologia e la morale” perché parlare del piacere sessuale pareva poco confacente alla dignità di preti e vescovi. Wojtyla rifiutò e volle che il capitolo venisse conservato dicendo che i pastori dovevano avere l’umiltà di parlare ai loro fedeli del desiderio e della soddisfazione sessuale, per essere all’altezza del loro compito, e se c’erano dei bigotti che si sentivano a disagio, tanto peggio per loro (Y. Semen, La sessualità secondo Giovanni Paolo II, ed. San Paolo, Milano 2005, p. 47).
Il personalismo messo a punto da Wojtyla sulla sessualità era in anticipo dunque anche sul Concilio Vaticano II (cfr. W. Półtawska, Diario di un’amicizia. La famiglia Półtawski e Karol Wojtyła, ed. San Paolo, Milano 2010, pp. 347-349) e il suo insegnamento non era l’esposizione di una dottrina ma il frutto di un continuo confronto con la vita concreta delle persone, grazie alla profonda esperienza di pastore in mezzo ai giovani e agli sposi, dove lui ha coniugato il realismo con la fede in Dio Creatore, lo sguardo scientifico con quello metafisico. Lo spiega Przemysław Kwiatkowski Segretario della Cattedra Karol Wojtyla all’Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia: «a dire il vero, ogni pagina del pensiero wojtyliano, espresso come poesia, predicazione e ricerca scientifica, rivela e custodisce un simile intreccio di vita e di riflessione» (in K. Wojtyla, Costruire la casa sulla roccia. Esercizi spirituali per fidanzati, ed. Punto Famiglia, Angri 2013, in collaborazione con Fondazione Giovanni Paolo II, Centro di Documentazione e Studio del Pontificato, pp. 61-64). Wojtyla, racconta Wanda Połtawska, «si rendeva conto che l’amore, in una famiglia, dipende dalla corretta comprensione dell’aspetto corporale della relazione tra uomo e donna» (W. Redzioch, Accanto a Giovanni Paolo II. Gli amici e collaboratori raccontano, Ares, Milano 2014, p. 88).
C’è inoltre un dato impressionante da tenere a mente: oggi sappiamo che del gruppo di giovani coppie che seguivano le sue catechesi, nessuna si è separata o divorziata. Nonostante le difficoltà, sono diventate tutte coppie anziane, hanno resistito agli anni e agli urti del tempo (G. Abbagnara, In cammino con don Karol, Punto Famiglia, rivista di tematiche familiari, anno 2010, n. 3). Quegli insegnamenti invece non diventeranno mai vecchi perché sono di un pastore santo.
Tornando allo “sdoganamento”, in realtà san Giovanni Paolo II non è che ha “sdoganato” la sessualità: ha semplicemente sviluppato ed approfondito l’antropologia cristiana che la Tradizione della Chiesa cattolica porta con sé da duemila anni. Qualcuno ha detto che le riflessioni di Wojtyla sull’amore sono talmente imponenti che svettano come l’Everest sopra tante colline (cit. in Christopher West, Teologia del corpo per principianti, ed. Porziuncola, Assisi 2016).
Ma anche prima di san Giovanni Paolo II, altri santi insieme ai Padri della Chiesa e ai pontefici avevano detto cose importanti sull’argomento. Pensiamo al famoso discorso di Pio XII alle ostetriche, datato 1951, in cui parlava della bontà del piacere sessuale. Oppure a san Tommaso d’Aquino il quale spiegava che, prima del peccato originale nell’Eden, questo piacere «doveva essere qualcosa di indescrivibile, alla massima potenza» (blog di Costanza Miriano, Humanae Vitae, ovvero la splendida avventura della sessualità secondo Dio, 21 settembre 2017).
Conclusioni
Per concludere voglio usare le parole di due persone speciali che hanno dedicato la loro vita a difendere le ragioni dell’Humanae vitae alla luce del magistero di san Giovanni Paolo II sull’amore umano. Sono due maestri a me particolarmente cari, due voci chiare e illuminanti in questo tempo di confusione. Due capitani coraggiosi, tra loro coetanei, classe 1938. Una è l’ostetrica Flora Gualdani, la fondatrice dell’opera Casa Betlemme, che dice: «dopo mezzo secolo di confessionale ostetrico posso affermare che la contraccezione è una proposta vecchia e il futuro è dei metodi naturali, cioè dell’Humanae vitae. (http://www.libertaepersona.org/wordpress/2017/02/la-grandezza-della-maternita-nella-madonna-e-in-ogni-donna/). E’ questa la strada per costruire famiglie solide nell’epoca dell’amore liquido. Una strada per il bene di ogni persona prima ancora che per la coppia». In una società decadente «fatta di melma e di sangue», la parola chiave è castità: «valore non banale ma basilare per qualunque vocazione» (http://www.libertaepersona.org/wordpress/2016/12/dallutero-a-lutero/). Per dire quanto l’enciclica di Paolo VI abbia effetti liberanti anche sul piacere, Flora racconta l’episodio di una coppia che tornò a ringraziarla con queste parole: «ci hai insegnato a spostare una montagna con la punta del mignolo». Per quanto riguarda infine il dibattito ecclesiale e pastorale, Flora riassume ricordandoci che il sottoporre la verità al criterio umano della maggioranza è un errore molto grave che «risale alla vicenda di Pilato» e si lega evangelicamente al coraggio o meno di essere impopolari, cioè al livello della nostra fede.
L’altra voce è quella del cardinale Caffarra, che ci ha lasciato in eredità insegnamenti fondamentali sul legame tra verità, libertà e felicità. Il mondo, su questo campo, ci propone una strada che porta ad un certo tipo di felicità. Il Magistero ci indica invece un’altra strada e ci porta alla «vera felicità» (Humanae vitae n. 31), riconciliandoci con il Creatore e con il nostro corpo. Perché la Chiesa, come diceva Paolo VI, è «esperta di umanità». In una stupenda Lectio magistralis (http://www.caffarra.it/lezione031008.php) tenuta a Roma dieci anni fa per il 40esimo dell’Humanae vitae all’Università Cattolica del Sacro Cuore (E. Giacchi-S. Lanza, Humanae vitae. Attualità e profezia di un’Enciclica, Vita e Pensiero, Milano 2011), Caffarra spiegava che la sfida educativa urgente a cui siamo chiamati è quella di «aiutare le giovani generazioni a trascendere se stessi verso la verità. Cioè, a essere veramente liberi e liberamente veri».
Marina Bicchiega è nata a Cingoli nel 1967. Biologa, due figlie, laurea magistrale in scienze religiose (Istituto Superiore “Beato Gregorio X” collegato alla Facoltà Teologica dell’Italia Centrale, Arezzo 2014), diploma in “bioetica e cultura della vita” (Istituto Superiore di Scienze Religiose all’Apollinare, Roma 2006). Impiegata per dieci anni nel campo della ricerca biochimica, attualmente insegna religione. Oblata insieme al marito nell’associazione pubblica di fedeli “Casa Betlemme” e insegnante del metodo Billings, si occupa da vent’anni di alfabetizzazione bioetica e teologia del corpo a servizio della pastorale della famiglia e dei giovani. Nei suoi studi teologici ha dedicato sia la tesi di baccalaureato sia la tesi di licenza all’attuazione dell’enciclica Humanae vitae: entrambe le tesi hanno ricevuto il Premio nazionale “Achille Dedè” dalla Confederazione Italiana dei Centri per la regolazione naturale della fertilità. Il primo studio aveva ad oggetto «La procreazione medicalmente assistita: questioni scientifiche, antropologiche, etiche e pastorali» (prima classificata premio “Achille Dedè” Verona 2011, ed. ilmiolibro 2014 con prefazione di Flora Gualdani); il secondo studio aveva ad oggetto «La regolazione naturale della fertilità: una frontiera della bioetica tra scienza, fede e cultura» (seconda classificata premio “Achille Dedè” Verona 2016, ed. youcanprint 2015 con prefazione del prof. Renzo Puccetti).

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