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sabato 3 giugno 2017

Card. Carlo Caffarra: si può fare senza la famiglia?

Il solito grande Caffarra in un'analisi sui sedicenti matrimoni omosessuali e sui rischi per la società e per la Chiesa. 
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(Articolo tratto da Cultura&Identità.
Rivista di studi conservatori
, anno IX, n. 15, Roma 25 marzo 2017, pp. 31-36)

 1. La post-modernità sfida la Chiesa

Parto da una domanda: qual è la principale sfida che oggi il mondo occidentale lancia alla Chiesa cattolica riguardo al matrimonio e alla famiglia? Mi sembra di poterla esprimere nei seguenti termini: “il matrimonio e la famiglia sono costruzioni puramente convenzionali, delle quali si può anche fare senza”.Questa sfida è il risultato di un lungo processo di de-costruzione, alla fine del quale troviamo ancora tutti i pezzi dell’edificio, ma senza l’edificio. Mi spiego. Se voglio distruggere un edificio, ho due modi di farlo: o ci metto una mina oppure lo smonto pezzo per pezzo. La via seguita per il matrimonio è stata la seconda. Abbiamo tutte le categorie che lo definiscono — paternità-maternità; bi-morfismo sessuale… —, ma esse sono usate per costruire matrimoni e famiglie alternative alla concezione cattolica di essi.

Il sedicente matrimonio omosessuale è l’espressione più chiara della sfida di cui sto parlando, aven-do esso preso forma istituzionale[1]. è come se il mondo occidentale sfidasse la Chiesa dicendole: “vedi? ho costruito un matrimonio che non ha nulla in comune con il ‘tuo’ matrimonio”.
Altre sfide erano state rivolte alla Chiesa. Per esempio, l’impraticabilità della proposta cristiana del matrimonio e la sua secolarizzazione con l’introduzione negli ordinamenti del matrimonio civile, il quale è ben diverso dal matrimonio naturale. Ma una sfida così radicale non le era mai stata rivolta. 
È assolutamente necessario quindi che i pastori si interroghino sulle cause di questo evento epocale. Non è questo il momento di fare un’analisi accurata del processo causale, che ha portato la cultura occidentale a questo traguardo. È di un processo che si tratta, non di singoli fatti slegati fra loro. Vorrei però presentarvi una ipotesi circa il fatto spirituale che ha dato origine al processo: “la persona umana ha rotto il rapporto, il contatto, con il Principio, con l’Origine”
La parabola del figlio prodigo ci aiuta a capire. Egli lascia la casa paterna e si ritrova progressivamente in una condizione opposta a quella goduta prima di rompere la relazione con il padre: rubare il cibo ai porci. È la più chiara narrazione di ciò che ho chiamato “la rottura del rapporto con l’Origine, con il Principio”. Quando Gesù viene interrogato sulle cause che legittimano il divorzio, Egli rimanda gli interroganti al Principio. A guardare quale matrimonio è nel pensiero di Dio creatore e inscritto nella natura della persona umana.
Staccandosi dall’Origine, l’uomo e la donna si sono trovati di fronte al matrimonio, ma incapaci di vedervi una verità e una bontà donate e non suddite della loro libertà. La conseguenza logica di questa incapacità, è stato pensare che l’istituzione del matrimonio potesse essere “manipolata” secondo la propria misura.
Mi spiego.
Nella Sacra Scrittura si parla almeno tre volte del «principio». All’inizio del sacro Libro si legge: «In principio Dio creò il cielo e la terra» (Gn 1,1). Esiste poi una pagina stupenda del Libro dei Proverbi dove si dice — è la Sapienza che parla —: «il Signore mi ha creato all’inizio della sua attività, prima di ogni sua opera, fin d’allora. Dall’eternità sono stata costituita, fin dal principio, dagli inizi della terra» (Pv 8, 22-23). Il quarto Vangelo inizia poi nel modo seguente: «In principio era il Verbo»
Dal confronto di questi tre testi noi giungiamo a una conclusione: tutto ciò che esiste possiede una sua intrinseca intelligibilità, essendo stato misurato sul Verbo che è la Sapienza. Ora ciò che costituisce l’originalità dell’uomo, la sua preziosità unica nell’universo dell’essere, è che egli è partecipe della Luce del Verbo. La partecipazione alla luce divina del Verbo è chiamata dai Padri la mente, l’intelletto — che non è la ragione —, la scintilla di Dio nell’uomo. Questi è radicato nella sua dimora, nella patria della sua identità, attraverso la partecipazione alla Luce del Verbo. Non c’è dunque nell’uomo qualcosa di più prezioso del suo intelletto.
Staccandosi da questo rapporto originario e originante con il Verbo, non può più esistere una verità che non sia riducibile alle opinioni e alle prospettive individuali, le quali non possono più essere giudicate da un qualche criterio comune. Friedrich Nietzsche (1844-1900) ha visto chiaramente che, negato Dio, il concetto di verità diventa obsoleto. Il concetto di una verità del matrimonio; la distinzione fra matrimonio vero — quello fra l’uomo e la donna — e matrimonio falso — quello omosessuale —, diventa impensabile.
Il distacco dall’Origine, dal Principio è la «menzogna primordiale»[2], dalla quale scaturisce la menzogna sul matrimonio e sulla famiglia, che impedisce di vedere la verità e la bontà loro propria.
Concludo questo primo punto della mia riflessione. Sono partito da una domanda: su che cosa la Chiesa oggi è sfidata nell’ambito del matrimonio e della famiglia? La mia risposta è stata: è sfidata dal fatto che l’uomo ha prodotto alternative radicali alla proposta matrimoniale-familiare fatta dalla Chiesa, perché si è staccato dal Principio — «abiit in regionem longinquam» («partì per un paese lontano»; Lc 15, 13). Un distacco che ho chiamato «menzogna primordiale», perché impedisce di distinguere la vera coniugalità dalla falsa coniugalità, la vera paternità e maternità dalla falsa paternità e maternità.

2. Fattori di allontanamento: «abiit in regionem longinquam»

I fattori che hanno costruito questa sfida sono molti, intra-ecclesiali ed extra-ecclesiali. Trattandosi non di evento culturale singolo, ma di un processo storico, non è possibile farne ora una descrizione completa. Mi limiterò a due fattori intra-ecclesiali che hanno indubbiamente favorito il formarsi della situazione attuale.
Il primo fattore sul quale richiamo l’attenzione è la progressiva separazione dalla sacramentalità del matrimonio dalla sua costituzione naturale. Spero di spiegarmi bene, poiché è un punto di fondamentale importanza.
Nonostante alcuni teologi — il cardinale san Roberto Bellarmino, S.J. (1542-1621) e san Lorenzo da Brindisi, O.F.M. Cap. (1559-1619), per esempio — e canonisti pensassero il contrario, alla fine la teologia del matrimonio elaborata da Gabriel Vásquez, S.J. (1549-1604)[3] finì con l’imporsi, anche a livello dei manuali di teologia morale.
Secondo Vásquez, la sacramentalità del matrimonio consiste esclusivamente nella sua capacità di causare la grazia, perché i coniugi possano osservare le obbligazioni matrimoniali. Qualsiasi altro aspetto del segno sacramentale, specialmente in ordine al mistero Cristo-Chiesa e alla trasformazione operata da esso dell’indissolubilità matrimoniale, non solo è ignorato, ma negato con grande decisione. Sarebbe il caso di dire: è demolito. Il mistero Cristo-Chiesa non ha alcuna rilevanza in ordine alla configurazione ontologica-teologica e giuridica del matrimonio dei battezzati. Non ne è più il principio architettonico ed ermeneutico.
Per notare la forza dirompente di questa visione, faccio un breve confronto con san Tommaso d’Aquino, O.P. (1225-1274), e san Bonaventura da Bagnoregio, O.F.M. (1217/1221-1274). Mentre per i due grandi dottori, il matrimonio naturale è già pre-figurativo dell’unione, del mistero Cristo-Chiesa, è già res sacra che trova la sua pienezza nel sacramento del matrimonio, secondo la dialettica cara, da Origene (185-254) in poi, ai Padri: «umbra-sacramentum-veritas», per il teologo di Alcalà [Vásquez] e, dopo di lui, per molti teologi e canonisti, non c’è alcuna diversità fra matrimonio naturale e matrimonio-sacramento quoad substantiam [quanto a sostanza]. La sacramentalità è una qualità super addita: il dono della grazia per vivere ciò che il matrimonio è jure naturae. Dovremo aspettare san Giovanni Paolo II (1978-2005) perché nella Chiesa torni il grande insegnamento tradizionale, quando egli parla del matrimonio come del «sacramento primordiale»[4].
L’indissolubilità del matrimonio per Vásquez è un fatto di diritto naturale esclusivamente. L’esegesi di Ef 5 è assai interessante per comprendere il suo pensiero. Staccandosi da una interpretazione condivisa unanimemente dagli esegeti del suo tempo, pensa che la dottrina di san Paolo non implichi che il vincolo coniugale sia di ordine soprannaturale. Sebbene esso significhi l’unione Cristo-Chiesa, non partecipa all’essere soprannaturale della medesima. Il teologo di Alcalà ammette dunque che vi sia una somiglianza fra vincolo matrimoniale e unione Cristo-Chiesa, ma nega che questa abbia la forza trasfigurante del vincolo medesimo: lo lascia nel suo proprio essere senza che partecipi del mistero.
Viene negata l’esistenza di una res et sacramentum. Questa conseguenza è assai importante, anche per le questioni attuali. Se, infatti, si riduce il matrimonio-sacramento al dono della grazia data per osservare una promessa e se si nega che esista una realtà sacramentale che permanga oltre il matrimonio in fieri, il problema della legittimazione del matrimonio dei divorziati risposati è di facile soluzione. Si è mancato a una promessa: ora ci si pente di averlo fatto. Del primo matrimonio non resta nulla.
Non si ammette o non si pensa che si abbia a che fare con una realtà — il vincolo coniugale — che ontologicamente permane. L’ammissione del divorziato risposato all’Eucarestia nega di fatto l’ontologia sacramentale del matrimonio e logicamente riduce l’indissolubilità a una legge morale.
Il matrimonio è stato sradicato dal mistero Cristo-Chiesa, il quale non è più il principio costitutivo del matrimonio medesimo. Esso è stato staccato dall’Origine: è negozio puramente umano — juris naturalis, si diceva —, al quale, nel caso dei cristiani, si aggiunge la grazia. La strada è già aperta per esiliare il Mistero dal matrimonio.
Vorrei ora dire qualcosa sul secondo fattore catalizzatore di quel processo che ha portato alla sfida che oggi la cultura occidentale lancia alla Chiesa. È un fattore che s’intreccia storicamente e teoreticamente con il primo. Come ho già detto, se il Mistero dell’unione Cristo-Chiesa non struttura il matrimonio, è inevitabile che l’indissolubilità sia pensata prevalentemente come una legge. Ed è proprio a questo livello che entra in azione il secondo fattore. Lo descriverei sinteticamente nel modo seguente: “la progressiva separazione della legge dalla verità circa il bene”. È un processo che gli storici della teologia morale e del diritto hanno lungamente studiato. Posso beneficiare ora dei guadagni acquisiti da queste ricerche storiche.
Vi è stata una progressiva trasformazione semantica dello jus nel senso di “quod iustum est” — ciò che è giusto, ovvero la verità circa il bene — allo jus nel senso di “quod iussum est” — ciò che è comandato —, ovvero il diritto o la legge come esercizio della potenza di Dio o del Principe o della sovranità popolare.
Ma una tale trasformazione semantica ebbe a che fare subito, come pure lungo tutto il suo percorso, con un dato originario che sembrava o sembra opporvisi: la libertà. Mentre nella grande speculazione cristiana, alla luce di san Paolo, il conflitto fra libertà e legge era congiunturale, dovuto alla concupiscenza — come in sant’Agostino (354-430), san Tommaso, san Gregorio di Nissa (335-395 ca.) —, all’interno del processo che stiamo studiando è strutturale: libertà e legge sono due grandezze inversamente proporzionali. La legge è un dato: “exterius data”. Si è pensato che il paradigma più adeguato a pensare questa struttura antropologica fosse quello giudiziale. Ci sono due contendenti: legge e libertà. Chi giudica quale dei due ha diritto di guidare il mettersi in azione della persona? La coscienza del singolo. È la coscienza che ultimamente giudica se, in che misura, in quali circostanze, la legge deve essere applicata. 
Un segno di questa mutazione si ha nella teologia: sant’Alfonso Maria de’ Liguori (1696-1787) inizia il tuo trattato sulla coscienza[5] dicendo che esso è il più importante, mentre san Tommaso nella Summa dedica a questo tema solo tre articoli[6].
Proviamo ora a inserire l’istituto matrimoniale dentro al congiungersi dei due fattori. Che cosa accade? L’indissolubilità non è primariamente un dono sacramentale, un dato ontologico — res et sacramentum —, ma è primariamente una legge priva di radicazione sacramentale. E subisce quindi… il trattamento giudiziario di cui parlavo: in certe condizioni, in circostanze ben delimitate, può essere eccepita dalla coscienza.
Altra conseguenza. Si entra nella regione dell’incertezza sempre più radicale: se il matrimonio è sentito come un evento puramente umano, chi decide che cosa esso è o non è? E si giunge a teorizzare la presenza di “tracce di matrimonio” in vissuti umani alieni all’istituzione matrimoniale.
Ma sommamente rivelatore di ciò che è accaduto e accade è il n. 137 dell’Instrumentum laboris: un testo errato da ogni punto di vista. Esso, infatti, parte dal presupposto che la coscienza sia “da una parte” e “dall’altra” vi sia la legge morale.
Sintetizzo questo secondo punto. La “sfida” che la post-modernità lancia alla Chiesa circa il matrimonio e la famiglia ha le sue radici anche all’interno teologico della Chiesa: a) nell’oscurarsi della natura sacramentale permanente dello stato matrimoniale — sacramentum permanens, secondo san Roberto Bellarmino[7] —, che ha consegnato l’istituzione matrimoniale alle mani dell’uomo; b) nel distacco del bene dal vero, erigendo la coscienza a giudice supremo.

3. La Chiesa sfida la post-modernità

Prima di iniziare questo terzo e ultimo capitolo, desidero fare una precisazione. Nel punto precedente non ho sostenuto che i due fattori di cui ho parlato sono le cause della situazione attuale. 
Si potrebbe pensare a questo, non avendo parlato della grande rivoluzione antropologica, che è il vero terreno da cui è germinata la sfida della post-modernità alla Chiesa in tema di matrimonio. Ma non volevo ripetere quanto sono andato scrivendo in questi anni e anche ultimamente. Ho voluto solo dire che nell’ambito del pensiero circa il matrimonio, la modernità non ha trovato una teologia, un soggetto con cui confrontarsi, ma un catalizzatore che aiutava — contra intentionem — la modernità a dare i suoi frutti… matrimoniali. Dall’altra parte i processi storici sono sempre assai complessi ed è assai difficile farne… l’anatomia.
Ora il Sinodo è una grande occasione per un confronto serio e robusto con la post-modernità — non in genere, ma su una fondamentale esperienza umana: il matrimonio —, altrimenti resterà una grande occasione persa. Ora mi permetto di presentare alcune riflessioni perché questa ultima possibilità non si avveri.
3.1 La Chiesa non dialoga in primo luogo con le ideologie, ma con le persone in carne e ossa. Esiste, direbbe il Santo Padre, un primato della realtà sull’idea[8]. Ora la Chiesa, postasi in questo giusto atteggiamento — si dialoga con le persone non con l’ideologia —, nel prossimo Sinodo ha scelto di porre il suo sguardo preferibilmente sulle persone ferite. Non poteva non essere così, visto l’insegnamento e la condotta di Gesù. Il Santo Padre ha paragonato la Chiesa a un ospedale da campo.
Ma, individuata questa scelta e ciò che la deve accompagnare — accoglienza, benevolenza, tenerezza, pazienza… —, non è detto tutto. Anzi non sono dette le cose più importanti, poiché la domanda fondamentale è: come guarire quelle ferite? Gesù sentiva compassione per gli infermi, ma non si limitava a questo: li guariva.
E qui si pongono alcune domande alle quali è necessario rispondere con consapevole chiarezza.
Quali sono i criteri di giudizio in base ai quali discernere la condizione della persona? Certamente non posso desumerli dalla sociologia. Poiché esiste un grande iato fra i costumi sociali e la dottrina della Chiesa — pensa chi afferma il primato della sociologia sulla teologia —, la guarigione delle ferite degli sposi deriva dall’adeguamento ai costumi: la Chiesa elabori quindi criteri di discernimento desunti dalla sociologia. 
Ma il trionfo della sociologia sulla teologia segna la sconfitta, anche disonorevole, della proposta cristiana.
Dire poi che i criteri del discernimento devono essere desunti dalla misericordia è falso e pericoloso. La misericordia, infatti, denota un’attitudine generale che muove i vari gesti di guarigione, i quali tuttavia hanno una loro consistenza propria a seconda della malattia. Mi spiego meglio. La carità, di cui la misericordia è una dimensione essenziale, è “forma” di ogni virtù non essentialiter — la giustizia non è la carità; la fede non è la carità —, ma effective, in quanto intenziona, dirige e nutre l’esercizio di ogni virtù[9]. È pericoloso, poiché la misericordia male intesa può evitare di ricorrere a necessarie medicine amare.
I criteri, dunque, del discernimento devono essere cercati nella proposta cristiana del matrimonio. 
Pertanto il primo e più urgente dovere della Chiesa oggi è di annunciare il Vangelo del matrimonio sine glossa; di ripensare la catechesi del matrimonio e della famiglia e dare a essa nuovo impulso: vedrei come buona cosa, come frutto del Sinodo, la promulgazione pontificia di un catechismo del matrimonio e della famiglia, per tutta la Chiesa.
Ma qual è la vera natura della proposta cristiana? Non è un ideale, ma è la verità circa il matrimonio e la famiglia. Non è una legge, ma è grazia che viene donata. Non ho più tempo di approfondire questo punto assai importante.
3.2 L’ideologia, il “pensiero del tempo”, non può essere ignorato, poiché è esso che trasmette il virus. Dispone di molti e potenti mezzi di comunicazione; non raramente si trasforma in “angelo di luce”.
L’apostolo Paolo è molto chiaro: «Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente» (Rm 12,7). La prima trasformazione in Cristo, il primo passo verso l’appropriazione vitale del mistero di Cristo è il “rinnovamento della mente”. Esso non è possibile senza un abbandono totale della «mentalità di questo secolo». E Paolo sapeva bene qual era la mentalità circa il matrimonio al suo tempo!
L’apostolo insegna poi che solo se è intervenuta questa conversione-rinnovamento della mente, siamo in grado di discernere. L’ideologia va combattuta sul piano del pensiero. La delegittimazione di un forte impegno culturale nell’ambito dei temi della famiglia e del matrimonio sarebbe devastante per la pastorale della Chiesa.
3.3 Desidero infine richiamare la vostra attenzione su un altro punto assai importante. La “strategia” di cercare ciò che di bene c’è nelle alternative al matrimonio che la post-modernità ci propone è teoreticamente sbagliata e pastoralmente perdente. 
Premetto che non sto parlando di persone, ma di stati di vita: unioni di fatto; matrimonio civile (da distinguere accuratamente dal matrimonio naturale); convivenze omosessuali. Possono essere persone ottime, ma non lo sono in quanto uniti di fatto, sposati solo civilmente, omosessuali conviventi. La strategia suddetta avrebbe un fondamento nella realtà se nei suddetti stati di vita ci fosse un’analogia di partecipazione con il matrimonio vero e proprio. Che cioè l’essenza, la forma del matrimonio fosse partecipata, anche se imperfettamente, da essi. Ma le cose non stanno così: ciascuna di quelle forme di vita nega la natura stessa del matrimonio. Parlare dunque di “germi del Verbo” presenti in questi stati di vita; presentarli — cfr. Instrumentum laboris, n. 99 —, cioè, come matrimoni in germe da far maturare è errato.
Non solo. Ma una simile strategia è anche perdente, poiché viene a patti con una ideologia, la quale per sua natura è totalizzante, come ogni ideologia. Se ne accetti un frammento, introduci nella mentalità dei fedeli il tutto. Quelle condizioni di vita sono oggi, infatti, in tutto e per tutto pensate secondo l’ideologia post-moderna: la verità come opinione; l’amore come emozione; la libertà come semplice possibilità. La Chiesa è chiamata ad accogliere con misericordia le persone, non l’ideologia, a dialogare con essa.
Concludo.
La Chiesa lancia al mondo post-moderno la sua sfida: Dio dona alla persona umana la capacità di amare, con un amore che si costruisce nella reciproca auto-donazione definitiva. La sfida è: “Vedete? L’uomo e la donna hanno ricevuto da Dio in Cristo il dono della coniugalità, la quale risponde adeguatamente al desiderio del cuore”.
Come lancia questa sfida? Nella e con la vita degli sposi che vivono santamente, non l’ideale che non esiste, ma la semplice verità dello stato coniugale. «Prius vita quam doctrina: vita enim ducit ad scientiam veritatis» [«Prima la vita della dottrina; è la vita che conduce alla conoscenza della verità»][10].




* Trascrizione, con lievi ritocchi redazionali, dell’intervento di S.E. mons. Caffarra al convegno internazionale Permanere nella verità di Cristo, Roma, 30 settembre 2015 — poco prima della XIV Assemblea generale ordinaria (4-25 ottobre 2015) del Sinodo dei Vescovi sul tema La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo — promosso da La Nuova Bussola Quotidiana, il mensile il Timone, la rivista francese l’Homme Nouveau, la testata online spagnola Infovaticana e il DHI. Dignitatis Humanae Institute.

[1] Cfr. la sentenza della Suprema Corte Federale degli Stati Uniti, del 26 giugno 2015, alla pagina .
[2] San Giovanni Paolo II, Discorso pronunciato in occasione dell’Udienza Generale, 12 novembre 1986, n. 6, alla pagina .
[3] Probabilmente mons. Caffarra si riferisce a Gabriel Vázquez, S.J., In tertiam partem Sancti Thomae commentaria in quibus de poenitentia tum virtute, tum sacramento: de matrimonio, sponsalibus et excommunicatione disseritur, Johannis Bellerum, Antverpiae (Anversa, Belgio) 1619.
[4] Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso pronunciato in occasione dell’Udienza Generale, del 20 ottobre 1982, n. 2; alla pagina .
[5]  Cfr. Sant’Alfonso de’ Liguori, Theologia moralis. Editio nova cum antiquis editionibus diligenter collata in singulis auctorum allegationibus recognita notisque criticis et commentariis illustrata, a cura di Leonardo Gaudé, C.SS.R. (1860-1910), 4 voll., Akademische Druck und Verlagsanstalt, Graz (Austria) 1954, vol. I, Tractatus de conscientia. De legibus. De virtutibus theologicis et De primis sex decalogi praeceptis.
[6] Cfr. San Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, I, q. 79, art. 13; I-II, q. 19, art. 5 e art. 6.
[7] Cfr. San Roberto Bellarmino, De controversiis christianae fidei adversus hujus temporis haereticos, 6 voll., Giuliano, Napoli 1857, vol. III, De matrimonii controversiae, libro V, Controversiae generales. De Extrema Unctione, Ordine et Matrimonio, libro II, De sacramento Matrimonii, pp. 775-860, cap. VI; e Pio XI (1922-1939), Lettera enciclica “Casti connubii” sul matrimonio cristiano, alla pagina (cfr. anche AAS, anno XXII, 1930, p. 583).
[8] Cfr. Francesco, Esortazione apostolica “Evangelii gaudium” sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale, nn. 231-233; alla pagina .
[9] Cfr. San Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, cit., II, II, q. 23, ad 8, ad 1.
[10] Idem, Super evangelium sancti Matthaei Lectura, Marietti, Torino 1952, n. 458.

3 commenti:

  1. Rigorosa ed esemplare analisi dottrinale del card. Caffarra. La sfida del suicida mondo occidentale, ormai dominato dal relativismo protestante e massonico-marksista, trova, non solo una Chiesa cattolica sempre più debole, incerta e contraddittoria nella difesa della sua dottrina e del diritto naturale ma, peggio, che si adegua non più al Vangelo a ai principi morali come da una tradizione millenaria, ma accetta con atteggiamento equivoco quelle ideologie socio-politiche da sempre condannate, ovviamente a torto, secondo Martini e soci, "restando indietro di due secoli" .

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  2. E' probabilissimo, o forse certo, che di tutto quanto esposto dal card. Caffarra con chiarezza e rigore, Bergoglio & Company altamente se ne impipino. L'ondata laicista-omosessualista sta dilagando e tranne alcune lodevolissime iniziative (vedi la processione odierna di riparazione a Reggio Emilia)si assiste ad una sostanziale, ambigua ed imbelle indifferenza sia delle gerarchie ecclesiastiche sia dei "fedeli" ovviamente "aperti" alle "novità".

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  3. Un altro che crede che "l'Amoris Tristitia" è secondo la Tradizione...ignorando la lettera del Bergo ai vescovi argentini che da la comunione ai divorziati risposati....campa cavallo!

    http://www.lanuovabq.it/it/articoli-caffarra-a-tutto-campo-su-famiglia-e-cirinnacon-la-firma-mattarella-ha-ridefinito-il-matrimonio-16283.htm

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