di don Alfredo Morselli
Beato Jose Gabriel del Rosario Brochero, il prete cowboy. |
Provo ora a dipanare la matassa delle obiezioni che questi rivolge a Caffarra e a quelli che la pensano come lui.
Dice il noto sociologo:
"…tra i critici del Papa – che peraltro non sono affatto tutti sullo stesso piano: l'eleganza di Caffarra non va confusa con le intemperanze da cowboy di Burke – e Francesco una convergenza sul punto è impossibile, non tanto per cattiva volontà ma perché il metodo con cui affrontano la questione è talmente diverso che il dialogo può essere solo un dialogo tra sordi. Caffarra e altri come lui si pongono sul piano che Benedetto XVI chiamava dei princìpi non negoziabili".
Di fronte a queste affermazioni rimango molto perplesso: non capisco cosa intende Introvigne con i termini metodo o piano; il problema è idem aliis verbis dicere, o affermare cose incompatibili con il precedente magistero? E con incompatibile intendo una tale opposizione che se vero è l'uno l'altro è falso. Mi chiedo - e ho trovato in Caffarra una persona che si pone e pone al Papa la stessa domanda - se Veritatis splendor vale ancora oppure no; parlare di metodi o piani per non rispondere sì o no, ha l'odore di quello che in più viene dal maligno (Mt 5,37).
Ma proseguiamo con l'argomentazione sviluppata dal direttore del CESNUR:
"Francesco si pone su un piano del tutto diverso. Non nega i principi in quanto principi: li lascia dove sono, come punti di riferimento importanti, ma nel suo Magistero si occupa principalmente d'altro. Sa benissimo che la maggioranza dei matrimoni in occidente finisce in divorzio. In due Paesi di tradizione cattolica, Belgio e Spagna, rispettivamente il 71 per cento e il 61 per cento dei matrimoni terminano con un divorzio, negli Stati Uniti il 53 per cento, in Italia il 48 (ma da noi si divorzia di meno perché ci si sposa di meno e molti semplicemente convivono). La stragrande maggioranza dei divorziati si risposa". Il Papa, aggiunge il sociologo, "chiede ai suoi critici se davvero vogliono una Chiesa che escluda metà – in Belgio, più di due terzi – delle coppie dal suo bacino potenziale di fedeli che partecipano a pieno titolo alla sua vita religiosa.
Di fronte a questi dati, chiediamoci: "Se le percentuali dei divorzi fosse anche il 98%, l'adulterio, ovvero la vita come marito e moglie di due persone che non sono marito e moglie e di cui almeno uno è sposato religiosamente con altra persona, posta la piena avvertenza e il deliberato consenso nel porre i loro atti, è peccato o no? È ancora valido il giuramento di Dio per cui nessuno è tentato o messo alla prova oltre le proprie forze? Se anche i divorzi fossero il 100%, il matrimonio religioso precedente rato e consumato è ancora valido e indissolubile, sì o no?
E qui non si può non chiedere una risposta non valida in ogni caso. Ne va della fede!
Continua Intovigne:
"…In ogni caso la sua risposta è chiara: queste persone fanno parte della Chiesa, 'non sono scomunicate' (come ha detto spesso), e devono essere integrate nella vita ecclesiale a tutti i livelli".
Ma questa non è una novità: nessuno ha mai detto che chi è in stato di peccato non fa parte della Chiesa: certamente non ne fa parte in modo perfetto come chi è in grazia di Dio, ma ne fa parte. È chiaro fin da S. Agostino e poi da S. Roberto Bellarmino, contro la presunta chiesa spirituale dei protestanti.
Ma non tutti i membri della Chiesa possono - e non per decisione umana - fare tutto. Chi è in peccato mortale, ad esempio, non può comunicarsi.
Quanto alla questione dell'accesso all'eucaristia, siamo di fronte a un altro dialogo fra sordi. Caffarra e altri chiedono un sì o un no, mentre il Papa ha affermato ripetutamente che da lui non verranno un sì o un no validi per tutti i casi ma solo l'indicazione di un metodo che consenta al confessore di accostarsi con verità ma anche con un misericordia, caso per caso, alle situazioni concrete che sono ognuna diversa da ogni altra. In questo senso, chi dice che il Papa ha già risposto ai dubia dei cardinali ha ragione"Anche qui possiamo vedere un fraintendimento; chi scrive ascolta confessioni da oltre trent'anni; ho sempre dato consigli e dispensato assoluzioni caso per caso, come faceva sicuramente e diceva di fare San Giovanni Paolo II. E non solo ho sempre cercato di essere giudice, medico e maestro, ma, al pari di Gesù, nel contempo soprattutto avvocato difensore del penitente.
Ho sempre fatto mio il motto di S. Antonino da Firenze: "È meglio essere giudicati per troppa misericordia che per troppa severità".
Ma credo di fede teologale, che non potrò mai dire ad alcuno: "continua a commettere adulterio", oppure "fa' pure la Comunione anche se non sei in grazia di Dio" - perché farei il male del penitente; e non potrò mai assolvere alcuno che non si propone di non più peccare - perché tale assoluzione non sarebbe valida. Così mi hanno insegnato tutti i Papi, e non c'è metodo o livello che tenga.
E se qualcuno dicesse che questa non è misericordia, si dovrebbe concludere che non è stato misericordioso neppure San Giovanni Paolo II, al contrario massimo apostolo della vera misericordia, il quale ha dettato i criteri a cui si devono attenere i buoni confessori.
Concludo dicendo che ho trovato assai sgradevole il modo con il quale il noto sociologo etichetta gli interventi del Cardinale Burke, definendoli "intemperanze da cowboy", rispetto al più "elegante" Caffara. Tra i cowboy ci sono stati anche dei santi, e credo che il Cardinale Burke, con la sua mitezza e il suo coraggio, se non lo è ancora, è sulla strada per diventarlo. E auguro una grande santità anche a Massimo Introvigne, da cui tanto bene ho ricevuto in passato, ma le cui conclusioni su Amoris laetitia non posso condividere.