Una Voce Italia
In questo capitolo (I 12), il Caeremoniale Episcoporum ha parlato dell’altare, nel seguente parlerà del trono. Visto che vi è reciprocità tra la situazione dell’uno e quella dell’altro, si presenta l’occasione si esaminare l’altare ove si dice la messa verso il popolo. Gli ultimi decenni vedono la celebrazione verso il popolo eccitare una infatuazione non proporzionata con la realtà. Molti ecclesiastici di ogni rango si immaginano di ritornare in questo modo alle origini del cristianesimo, e se ne ripromettono risultati spirituali prodigiosi, piuttosto chimerici. Alcuni non hanno esitato a dare per certo che in origine il pontefice celebrava verso il popolo, dunque voltato verso l’occidente, in quanto presso di loro solo l’assistenza guardava a oriente. La verità non la pensa come loro. La celebrazione verso il popolo non esiste nei riti orientali. Questo uso, nei paesi occidentali, è solamente italico, come si vede in numerose chiese di Roma e cattedrali italiane. Fu conosciuto nei paesi germanici, gallici, britannici e iberici, ma la sua esistenza, le cui prove non sono tante, vi fu come eccezione e di
breve durata. Sparì intorno all’VIII secolo, nello stesso tempo delle chiese costruite per esso. L’altare può ben trovarsi all’ingresso dell’abside, presso la navata, addirittura nella navata, ma questo non significa che era verso il popolo.
La regola dell’orientazione, che vede l’abside delle chiese rivolto verso l’oriente, affinché il celebrante all’altare guardi verso questo punto cardinale, è sempre stata esigente e coerente, checché se ne dica. Ne risulta che, nei paesi italici, dove si è voluto celebrare verso il popolo, si sono costruite le chiese occidentate, vale a dire con l’abside rivolto all’occidente, in modo che il celebrante all’altare guardasse a oriente. Quale vantaggio presenta la celebrazione verso il popolo? Uno solo, quello che chi assiste possa vedere tutti i gesti del celebrante, possibilità spesso più teorica che pratica, possibilità inoltre che presuppone che i gesti siano eseguiti con una correttezza che meriti di essere vista.
Il rispetto dell’orientazione ha dato luogo a due metodi opposti. Primo metodo, quello antico e ancora in vigore nei paesi italici: in una chiesa con l’abside rivolto a occidente, il vescovo al suo trono in fondo all’abside guarda l’altare, il popolo, la porta e l’oriente. All’altare occupa la stessa posizione. Da notare l’inconseguenza che vi è nel fatto che il popolo volti le spalle all’oriente verso il quale il vescovo prega. Secondo metodo, del pari antico, già in vigore nei paesi non italici, oggi scomparso ma conservato a Lione nel rito detto lionese: in una chiesa che ha l’abside rivolto a oriente, il vescovo al trono in fondo all’abside guarda l’altare, il popolo, la porta e l’occidente. All’altare si pone di fronte al trono e al pari del popolo guarda a oriente. Notiamo l’inconseguenza del fatto che il vescovo stando e pregando al trono volga le spalle a oriente, verso cui prega stando all’altare.
Il secondo metodo, tra altre prove, è dimostrato dal trono di pietra che si trova nella metropolitana di Lione, nella ex metropolitana di Vienne, e anche in qualche altra. La stessa disposizione dei luoghi era quella della basilica di S. Paolo fuori le mura a Roma, prima della sua distruzione causata dall’incendio del 1823. Il difetto che inerisce a tale metodo non si può non avvertire. Al fine di rimediarvi, diversi Ordines Romani, che vanno dal VII all’XIV secolo, vogliono che il pontefice al trono sia rivolto verso oriente, cioè contro il trono e il muro dell’abside durante il canto del Kyrie, del Gloria e della colletta. Ma ciò è detto in modo frammentario, senza unanimità né grande convinzione. Alcuni Ordines Romani posteriori, accantonando il rimedio indicato, descrivono la messa dove il pontefice, stando all’altare si volge momentaneamente verso il popolo. Da tutto questo risulta chiaramente che anche a Roma la celebrazione con le spalle al popolo non fu mai una rarità.
Un terzo e nuovo metodo, che non rispetta l’orientazione, dovuto ai nostri tempi di agitazione e di anarchia, concepito da scadenti esploratori, da mediocri interpreti della liturgia, consiste semplicemente nel trasportare il primo metodo in una chiesa costruita per il secondo. Allora il vescovo, sia al trono, talora posto sul vero altare, sia all’altare, un altare posticcio innalzato all’ingresso del coro, prega verso occidente, mentre il popolo prega verso oriente. Combinazione bastarda se mai ve fu una, per sostenerla non si hanno scrupoli di inventare una falsa teoria. Alcuni motivano il loro fragoroso zelo col fatto che all’altare, che si trova in fondo a un lungo e immenso coro, chi assiste non vede pressoché nulla della messa. Gli si risponde che coloro che assistono con i propri mezzi non vedono meno che con il loro espediente, in quanto l’altezza dei diversi piani è di solito ben calcolata. In caso di bisogno niente impedisce di sollevare un po’ l’altare. I vasti cori si trovano nelle non meno vaste chiese, e le persone che sono vicino alla porta restano comunque lontane dall’altare.
da L. GROMIER, Commentaire du Caeremoniale Episcoporum, Paris, La Colombe, 1959, pp. 125-126. Traduzione italiana di Fabio Marino.
Cfr. «Una Voce Notiziario», 56-47 ns (2014-2015), pp. 15-16 unavoceitalia.org
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