Buona parte della storiografia italiana, testi scolastici in uso alle scuole cattoliche inclusi, è basata sulle intuizioni del grande studioso Michele Benedetto Gaetano Amari (Palermo, 7 luglio 1806 – Firenze, 16 luglio 1889).
"Considerato il fondatore della moderna organizzazione degli studi orientali in Italia, fu studioso della Sicilia musulmana e dei Vespri siciliani, e autore di varie opere letterarie di rilevanza internazionale.
Razionalista e positivista, dotato di un fortissimo afflato etico, tutto ispirato al laicismo e alle "virtù civili", del tutto insensibile alle tensioni religiose.
Del suo magistero si sono avvalsi tutti gli storici dell'Islam di età successive e, in Italia, Leone Caetani, Francesco Gabrieli, Umberto Rizzitano e Paolo Minganti.
L'arabista Heinrich Leberecht Fleischer, dell'Università di Lipsia, nel pubblicare due supplementi alla Biblioteca arabo-sicula, ha definito Michele Amari il rigeneratore degli studi orientalistici tra i suoi compatrioti." Wikipedia
Dallo zelo partigianamente anticattolico di Michele Amari "razionalista e positivista, dotato di un fortissimo afflato etico, tutto ispirato al laicismo e alle "virtù civili" è scaturita la leggenda che gli Arabi furono tolleranti con i cristiani siciliani durante la lunga dominazione islamica dell'Isola.
Pubblichiamo un pregevole studio di Pasquale Hamel che spiega che le cose non andarono esattamente come il liberale Amari scrisse con indubbio spirito di parte nelle sue pubblicazioni.
Questo approfondimento storico esce in consonanza con il post che Chiesa e post Concilio (QUI) ha dedicato al mega investimento finanziario che l'Arabia Saudita ha stanziato per “ re-islamizzare la Sicilia”. ... In sostanza, il governo saudita ha l’intenzione di restaurare moschee e monumenti antichi e di fare della provincia di Enna un’enclave musulmana ..."
Questo approfondimento storico esce in consonanza con il post che Chiesa e post Concilio (QUI) ha dedicato al mega investimento finanziario che l'Arabia Saudita ha stanziato per “ re-islamizzare la Sicilia”. ... In sostanza, il governo saudita ha l’intenzione di restaurare moschee e monumenti antichi e di fare della provincia di Enna un’enclave musulmana ..."
AC
La Sicilia araba tollerante?
Ecco cosa insegna la storia
di Pasquale Hamel
Ma è proprio vero che negli anni in cui gli arabi furono padroni della Sicilia, parlo dei secoli dal IX al XI, l’Isola sia stata un luogo di tolleranza di pace?
La risposta, alla luce di quanto normalmente si racconta,
sembrerebbe scontata.
Ci si potrebbe accontentare, per averne conferma, di leggere un capolavoro della storiografia ottocentesca come “Storia dei musulmani in Sicilia” di Michele Amari.
Amari, con puntualità, ripercorre infatti quel periodo
rilasciandocene un’immagine particolarmente positiva, per cui, chi
legge l’opera dello storico siciliano si fa un’idea ben precisa del
periodo della dominazione araba come di una parentesi luminosa della
storia siciliana.
Fino a qual punto questa di Amari può essere considerata una corretta rappresentazione di quel tempo?
Fino a qual punto questa di Amari può essere considerata una corretta rappresentazione di quel tempo?
Diciamo subito che Amari, non è solo un grande storico,
è anche un uomo impegnato politicamente e che la sua cultura è figlia
di quelle sensibilità intellettuali proprie di molti uomini
dell’Ottocento motivati dalla lotta all’oscurantismo e al
tradizionalismo.
Amari è infatti dichiaratamente anticlericale e sicuramente massone e, in quanto tale, vede la Chiesa e le sue istituzioni come il fumo negli occhi.
Amari è infatti dichiaratamente anticlericale e sicuramente massone e, in quanto tale, vede la Chiesa e le sue istituzioni come il fumo negli occhi.
Non meraviglia, dunque, che la sua ricerca storica
sia stata influenzata da forti pregiudizi ideologici e culturali.
Scriveva Goethe che “scrivere la storia è un modo di sbarazzarsi del passato”, nel caso di Amari potremmo dire che, proprio le sue passioni politiche, c’è un recupero del passato per poterlo utilizzare a giustificazione di un’idea. (Sottolineatura nostra N.d.R.)
Così, il nostro storico, dovendo portare acqua al mulino della propria visione del mondo, trova corretto occuparsi ed enfatizzare un periodo, per fortuna breve, della storia siciliana, quello appunto della presenza musulmana, caricandolo oltremisura di positività.
E, siccome di quel periodo la ricerca storica non si era fino ad allora occupata, la narrazione del grande intellettuale siciliano non ha trovato contraddittori fino al punto da essere accettata senza contraddittori.
Scriveva Goethe che “scrivere la storia è un modo di sbarazzarsi del passato”, nel caso di Amari potremmo dire che, proprio le sue passioni politiche, c’è un recupero del passato per poterlo utilizzare a giustificazione di un’idea. (Sottolineatura nostra N.d.R.)
Così, il nostro storico, dovendo portare acqua al mulino della propria visione del mondo, trova corretto occuparsi ed enfatizzare un periodo, per fortuna breve, della storia siciliana, quello appunto della presenza musulmana, caricandolo oltremisura di positività.
E, siccome di quel periodo la ricerca storica non si era fino ad allora occupata, la narrazione del grande intellettuale siciliano non ha trovato contraddittori fino al punto da essere accettata senza contraddittori.
Fra gli altri, due bei libri, quello di Alessandro Vanoli “La Sicilia Musulmana” e quello di Salvatore Tramontana “L’isola di Allah”, hanno aperto brecce nella visione consolidata dell’Amari violando e ridimensionando la visione paradisiaca che lui stesso ci ha regalato.
Ci siamo chiesti, in avvio del discorso, se la Sicilia islamica
fosse quell’esempio di tolleranza che è stato tramandato ai posteri e
la risposta non può che essere quantomeno problematica perché alla luce
dei documenti pervenuti bisogna riconoscere che la tesi di Amari deve
essere riconsiderata.
La Sicilia al tempo dell’Islam non fu più tollerante di come lo furono altri territori del mondo conosciuto dove un vincitore si è insediato con la forza strappando il dominio ai popoli indigeni.
La Sicilia al tempo dell’Islam non fu più tollerante di come lo furono altri territori del mondo conosciuto dove un vincitore si è insediato con la forza strappando il dominio ai popoli indigeni.
Infatti, gli islamici, fin dall’inizio della loro avventura siciliana
– un’avventura che durò 137 anni a causa della strenua resistenza che i
siciliani opposero all’invasore – furono abbastanza rigidi e il loro
impegno teso all’islamizzazione dell’isola non fu per niente
indifferente. Impegno che non si rivolse solo nei confronti delle
istituzioni e delle evidenze architettoniche, creazione di un emirato
islamico e trasformazione di chiese e sinagoghe in moschee, ma si
rivolse soprattutto nei confronti delle comunità cristiane ed ebraiche.
Non per nulla, in maniera più o meno rigida, fu applicato nel tempo, l’aman del califfo Omar,
personaggio reso famoso dalla storia per essere stato responsabile
dell’incendio della biblioteca di Alessandria, uno dei più grandi
delitti contro l’umanità.
Questa sorta di editto, elencava tutta una serie di obblighi o divieti cui erano sottoposti i dhimmi, cioè i non musulmani che vivevano nell’isola.
Questa sorta di editto, elencava tutta una serie di obblighi o divieti cui erano sottoposti i dhimmi, cioè i non musulmani che vivevano nell’isola.
La condizione di dhimmi, diremmo, con linguaggio moderno, di cittadini a diritti limitati, era quella che, secondo il dettato del Corano, veniva attribuita alla gente del libro, cioè agli ebrei e ai cristiani.
Per garantirsi questi pur limitati diritti, i dhimmi dovevano pagare una tassa di capitazione, la jizya
e, se proprietari di fondi, dovevano aggiungere la “kharàg” una sorta
di sovrimposta sugli immobili che i musulmani non erano tenuti a pagare.
Ma erano soprattutto le limitazioni imposte dall’aman di Omar che
pesavano sui dhimmi.
L’elenco dell’aman indicava diciassette divieti estremamente pesanti e in qualche caso addirittura umilianti.
Fra questi divieti, a parte quelli di manifestare e praticare in pubblico la propria fede e di costruzione o riparazione di edifici di culto, ve n’erano alcuni che incidevano sulla vita privata dei singoli.
L’elenco dell’aman indicava diciassette divieti estremamente pesanti e in qualche caso addirittura umilianti.
Fra questi divieti, a parte quelli di manifestare e praticare in pubblico la propria fede e di costruzione o riparazione di edifici di culto, ve n’erano alcuni che incidevano sulla vita privata dei singoli.
C’era fra questi l’obbligo di ospitare un musulmano nella propria dimora,
quella di cedere i posti a sedere ai musulmani, di non utilizzare selle
per le cavalcature o di non costruire edifici che fossero più alti di
quelli dei musulmani.
Ma c’erano anche imposizioni umilianti come quello
di portare segni distintivi per distinguersi dai musulmani; tipico
segno distintivo era, ad esempio, l’obbligo di rasarsi la parte
anteriore della testa.
Questi divieti che, ripeto, non furono sempre
applicati rigidamente, e la pesantezza delle imposte applicate, furono
lo strumento che consentì di attuare una rapida islamizzazione dell’isola,
fatto a cui gli stessi governanti musulmani cercarono di porre un freno
per ragioni economiche.
Le conversioni facevano venir meno le ingenti
risorse provenienti dalle imposte cui erano sottoposti i dhimmi.
Questa situazione vessatoria, ben lontana dalla idea comune di tolleranza
cui ci ha abituati certa letteratura, ci da anche la chiave di lettura
dello straordinario successo della conquista normanna.
Trecento o mille
cavalieri normanni che furono, il numero è imprecisato, pur ben armati e
motivati, non avrebbero mai potuto battere le migliaia di armati
islamici presenti nell’Isola se non avessero avuto l’aiuto dei residenti
cristiani cui si aggiunse la sapiente politica di sfruttamento dei
conflitti e delle lotte fra i potentati isolani. (sottolineatura nostra N.d.R.)
Tornando al nostro tema, con buona pace di quanti ancora coltivano il mito della presenza musulmana in Sicilia, bisogna riconoscere che la tolleranza non fu la cifra specifica di quel tempo quanto piuttosto, e anche qui da prendere cum grano salis,
del successivo periodo normanno; il Granconte Ruggero d’Altavilla e il
figlio Ruggero II, opponendosi alle insistenze di Roma che avrebbe
voluto una immediata ricristianizzazione dell’Isola, intuirono infatti
che, quel che chiamiamo oggi tolleranza, sarebbe stata una valore
aggiunto per il benessere dei loro domini e non ebbero dubbi a farla
propria.
Fonte: Sicilia informazioni
Immagini:
AGGIUNTA: A commento di questo post un fine Intellettuale (con la maiuscola) Siciliano ha scritto: " La presenza musulmana in Sicilia durò circa due secoli.
Tuttavia questa non fu mai capillare, in quanto le località meno accessibili (es. le zone montuose del messinese) ne furono solo marginalmente lambite.
Di conseguenza, nelle città e nei centri più grossi, gli abitanti furono costretti a convertirsi all'islam o a pagare la tassa dei dhimmi, le chiese furono distrutte, convertite in moschee o lasciate deperire.
Tutti i vescovati furono aboliti, rimase attivo solo quello della metropoli Palermo ma in stato di clandestinità.
In buona sostanza ogni forma di Cristianesimo pubblico scomparve.
Solo nelle località più impervie sopravvisse il culto cristiano (di rito greco), alimentato anche dallo zelo dei monaci basiliani.
...
Attingendo da diverse fonti, ho avuto modo anche io di farmi un'idea di cosa dovette essere la dominazione araba in Sicilia (una delle poche vere "dominazioni" che l'isola ha conosciuto).
A conti fatti, più o meno come oggi il daesh tratta i cristiani nei territori occupati.
Basti pensare al vescovo di Lilibeo gettato nell'olio bollente o ai profughi siracusani emigrati in Calabria, o ai testi arabi del tempo che additano i Siciliani come pessimo esempio (con mia soddisfazione) di attinenza ai precetti coranici, ecc.
In buona sostanza: falsa tolleranza e vera discriminazione.
Per fortuna si è trattato di una parentesi relativamente breve dell'affascinante storia della Sicilia."
Di conseguenza, nelle città e nei centri più grossi, gli abitanti furono costretti a convertirsi all'islam o a pagare la tassa dei dhimmi, le chiese furono distrutte, convertite in moschee o lasciate deperire.
Tutti i vescovati furono aboliti, rimase attivo solo quello della metropoli Palermo ma in stato di clandestinità.
In buona sostanza ogni forma di Cristianesimo pubblico scomparve.
Solo nelle località più impervie sopravvisse il culto cristiano (di rito greco), alimentato anche dallo zelo dei monaci basiliani.
...
Attingendo da diverse fonti, ho avuto modo anche io di farmi un'idea di cosa dovette essere la dominazione araba in Sicilia (una delle poche vere "dominazioni" che l'isola ha conosciuto).
A conti fatti, più o meno come oggi il daesh tratta i cristiani nei territori occupati.
Basti pensare al vescovo di Lilibeo gettato nell'olio bollente o ai profughi siracusani emigrati in Calabria, o ai testi arabi del tempo che additano i Siciliani come pessimo esempio (con mia soddisfazione) di attinenza ai precetti coranici, ecc.
In buona sostanza: falsa tolleranza e vera discriminazione.
Per fortuna si è trattato di una parentesi relativamente breve dell'affascinante storia della Sicilia."
Immagini:
1-2) Scicli ( Ragusa) Madonna delle milizie (QUI)
3) Biancavilla (Catania) Icona bizantina della Madonna dell'Elemosina (portata dai fedeli albanesi fuggiti dopo l'invasione islamica).
La veneratissima Icona sarà esposta il 4 settembre in Piazza San Pietro in occasione della canonizzazione della beata Madre Teresa di Calcutta e del Giubileo Operatori e dei Volontari della Misericordia.
4) Ruggero II riceve dagli Arabi le chiavi della Città di Palermo
5) Palermo Chiesa della Martorana N.S.G.C. incorona Ruggero II Re di Sicilia, mosaico