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martedì 31 maggio 2016

Osservazioni su alcuni punti controversi dell'Esortazione apostolica Amoris laetitia - 2.3 - AL e CCC

 di don Alfredo Morselli 

A partire dal 30 maggio 2016, MiL ha presentato studio approfondito su alcuni punti controversi dell'esortazione Amoris laetitia: data l'ampiezza, lo scritto è stato diviso in più post: è possibile scaricare il testo completo in formato PDF.

Beato Angelico, Matrimonio della Vergine

Osservazioni su alcuni punti controversi
dell'Esortazione apostolica

Amoris laetitia


II.         Verità irrinunciabili (3)

Scholion II: Considerazioni circa l'uso, in Amoris Laetitia, di alcuni passi del Catechismo della Chiesa Cattolica e di Reconciliatio et paenitentia

Esaminiamo ora il § 302 di Amoris laetitia, dove vengono citati il Catechismo della Chiesa Cattolica e Familiaris consortio, in riferimento a circostanze che attenuano la responsabilità morale. Riportiamo il testo del paragrafo, comprensivo delle note, inserite di continuo nel testo, tra parentesi quadra:
"302. Riguardo a questi condizionamenti il Catechismo della Chiesa Cattolica si esprime in maniera decisiva: «L'imputabilità e la responsabilità di un'azione possono essere diminuite o annullate dall'ignoranza, dall'inavvertenza, dalla violenza, dal timore, dalle abitudini, dagli affetti smodati e da altri fattori psichici oppure sociali». [343 = N. 1735.] In un altro paragrafo fa riferimento nuovamente a circostanze che attenuano la responsabilità morale, e menziona, con grande ampiezza, l'immaturità affettiva, la forza delle abitudini contratte, lo stato di angoscia o altri fattori psichici o sociali. [344 = Cfr. ibid., 2352; Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. Iura et bona sull'eutanasia (5 maggio 1980), II: AAS 72 (1980), 546. Giovanni Paolo II, criticando la categoria della “opzione fondamentale”, riconosceva che «senza dubbio si possono dare situazioni molto complesse e oscure sotto l'aspetto psicologico, che influiscono sulla imputabilità soggettiva del peccatore» (Esort. ap. Reconciliatio et paenitentia [2 dicembre 1984], 17: AAS 77 [1985], 223)]. Per questa ragione, un giudizio negativo su una situazione oggettiva non implica un giudizio sull'imputabilità o sulla colpevolezza della persona coinvolta. [345 = Cfr. Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, Dichiarazione sull'ammissibilità alla Comunione dei divorziati risposati (24 giugno 2000), 2.] Nel contesto di queste convinzioni, considero molto appropriato quello che hanno voluto sostenere molti Padri sinodali: «In determinate circostanze le persone trovano grandi difficoltà ad agire in modo diverso. […] Il discernimento pastorale, pur tenendo conto della coscienza rettamente formata delle persone, deve farsi carico di queste situazioni. Anche le conseguenze degli atti compiuti non sono necessariamente le stesse in tutti i casi». [346 = Relatio finalis 2015, 85]".
1. Catechismo della Chiesa Cattolica § 1735

La prima frase del Catechismo citata è tratta dal n. 1735:
"L'imputabilità e la responsabilità di un'azione possono essere sminuite o annullate dall'ignoranza, dall'inavvertenza, dalla violenza, dal timore, dalle abitudini, dagli affetti smodati e da altri fattori psichici oppure sociali".
E adesso cerchiamo di spiegare questo testo[1]: ipotizziamo il caso di una povera ragazza in India o in Cina che viene sterilizzata subendo pressioni, o una ragazza di oggi in Italia che viene indotta ad abortire dai parenti suoi e del fidanzato... In questi casi sicuramente l'imputabilità è sminuita o annullata, ma non direttamente (simpliciter) per le tristi circostanze, ma per l'imperfezione dell'atto: un atto moralmente giudicabile - un atto umano, in termini più precisi - deve essere libero e consapevole.
Oggi, anche in Italia, con la cattiva educazione che si riceve fin dalla scuola materna, una ragazza può benissimo non rendersi conto che l'aborto è un omicidio: inoltre potrebbe essere psicologicamente fragile e non avere costitutivamente la grinta per andare contro tutti e tutto. È chiaro che la responsabilità morale di questa ragazza è attenuata.
Altro è il caso di un divorziato, risposato civilmente, che ha ritrovato la fede a giochi fatti: ipotizziamo sia stato abbandonato dalla moglie, che si sia risposato civilmente con l'errata idea di rifarsi una famiglia, e che non possa più ritornare con la prima vera unica moglie (magari questa si è riaccompagnata con un altro uomo e ha avuto di figli da lui); questo fratello, pur pregando e partecipando attivamente alla vita della parrocchia, benvoluto dal parroco e da tutti i fedeli, consapevole del suo stato di peccato e neppure ostinato a volerlo giustificare, vive more uxorio con la moglie meramente civile, non riuscendo a vivere con lei come fratello e sorella. In questo caso, la scelta di accostarsi alla nuova moglie è un atto perfettamente libero e consapevole, e quanto detto dal § 1735 del Catechismo della Chiesa Cattolica non si può applicare nel modo più assoluto, pena deresponsabilizzare moralmente il prossimo per una improvvida compassione.

Lo stesso Catechismo insegna infatti, al § 1754:
"Le circostanze, in sé, non possono modificare la qualità morale degli atti stessi; non possono rendere né buona né giusta un'azione intrinsecamente cattiva."
Abbiamo visto che il criterio ermeneutico di un testo, quando sorge un dubbio circa l'interpretazione di una frase, è la coerenza interna del testo stesso. Quindi il § 1735 del Catechismo non potrà essere usato per affermare che le circostanze esterne in quanto tali possono cambiare la moralità di un'azione.

Solo l'incapacità morale del soggetto (temporanea o abituale) di compiere un atto umano può ridurre o annullare la responsabilità umana, e solo tanto quanto ne toglie la volontarietà.

2. Reconciliatio et paenitentia § 17

Ora completiamo le nostre osservazioni sul § 302 di Amoris laetitia, prendendo in esame la citazione, alla nota 344, di una frase contenuta al § 17 di Reconciliatio et paenitentia:
"…senza dubbio si possono dare situazioni molto complesse e oscure sotto l'aspetto psicologico, che influiscono sulla imputabilità soggettiva del peccatore".
Credo che sia necessario utilizzare questo principio con molta cautela, e non, per esempio, a mo' di dubbio metodico sulla triste possibilità di peccare realmente e concretamente, o a mo' di quello slogan sessanttottino, per cui i delinquenti sono tali per colpa della società.

La stessa Reconciliatio et paenitentia, nello stesso § 17, afferma:
"Se è da apprezzare ogni tentativo sincero e prudente di chiarire il mistero psicologico e teologico del peccato, la Chiesa però ha il dovere di ricordare a tutti gli studiosi di questa materia la necessità, da una parte, di essere fedeli alla parola di Dio che ci istruisce anche sul peccato, e il rischio, dall'altra, che si corre di contribuire ad attenuare ancora di più, nel mondo contemporaneo, il senso del peccato".
Inoltre, vorrei ricordare quanto la Congregazione per la Dottrina della Fede scriveva a proposito della responsabilità morale delle persone con tendenza omosessuale:

"Dev'essere comunque evitata la presunzione infondata e umiliante che il comportamento omosessuale delle persone omosessuali sia sempre e totalmente soggetto a coazione e pertanto senza colpa. In realtà anche nelle persone con tendenza omosessuale dev'essere riconosciuta quella libertà fondamentale che caratterizza la persona umana e le conferisce la sua particolare dignità. Come in ogni conversione dal male, grazie a questa libertà, lo sforzo umano, illuminato e sostenuto dalla grazia di Dio, potrà consentire ad esse di evitare l'attività omosessuale"[2].

Analogamente dobbiamo ammettere che anche alle persone conviventi uxorio modo "dev'essere riconosciuta quella libertà fondamentale che caratterizza la persona umana e le conferisce la sua particolare dignità".
È ciò non sminuisce la misericordia, perché questa è offerta al peccatore reale, nel fango fino al collo, non a quello semplicemente compianto: al peccatore che, come ha usato o sta usando per ora la sua libera volontà per peccare, potrà usare quella stessa volontà libera, mossa e confortata dalla grazia, per raggiungere la vetta della santità.
Non si tratta dunque di accusare nessuno, né di giustificare nessuno: "io non giudico neppure me stesso" (1 Cor 4,3); si tratta di dire come stanno le cose.
Altrimenti, se diciamo che esistono sì degli atti che sono sempre immorali, ma poi questi atti, in pratica, non li fa nessuno, prediamo in giro la Verità e inganniamo tristemente noi stessi.




[1] Riprendo queste considerazioni da uno studio, redatto da chi scrive insieme a C. Barthes e A. Livi, diffuso da S. Magister con un titolo giornalisticamente a effetto «"Inaccettabile". Il documento base del sinodo "compromette la verità"», nel blog www.chiesa.espressonline.it, http://tinyurl.com/jotjuse.
[2] Congregazione per la dottrina della fedeLettera sulla cura pastorale delle persone omosessuali1º ottobre 1986, § 11.

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