Presentiamo qui una raccolta di testi del Magistero ordinario riguardanti il canto gregoriano, da S. Pio X a Benedetto XVI ; evitiamo di farci il sangue marcio, considerando come questi preziosi documenti sono lasciati riposare dal clero in loco refrigerii.
Ma quando trionferà il Cuore Immacolato di Maria - almeno chi sopravviverà -, sapremo cosa fare.
S. Pio X –
Motu proprio Tra le sollecitudini
(22-11-1903)
2. La musica sacra deve […] possedere nel grado migliore le
qualità che sono proprie
della liturgia, e precisamente la santità
e la bontà
delle forme, onde sorge spontaneo l’altro
suo carattere, che è l’universalità.
Deve
essere santa, e quindi escludere ogni profanità, non solo in se medesima, ma anche
nel modo onde viene proposta per parte degli esecutori.
Deve
essere arte vera, non essendo possibile che altrimenti abbia sull’animo di chi l’ascolta quell’efficacia, che la Chiesa intende
ottenere accogliendo nella sua liturgia l’arte
dei suoni.
Ma dovrà insieme essere universale in
questo senso, che pur concedendosi ad ogni nazione di ammettere nelle
composizioni chiesastiche quelle forme particolari che costituiscono in certo
modo il carattere specifico della musica loro propria, queste però devono essere in tal maniera
subordinate ai caratteri generali della musica sacra, che nessuno di altra
nazione all’udirle debba
provarne impressione non buona.
3. Queste qualità
si riscontrano in grado sommo nel canto gregoriano, che è
per conseguenza il canto proprio della Chiesa Romana, il solo canto che
essa ha ereditato dagli antichi padri, che ha custodito gelosamente
lungo i secoli nei suoi codici liturgici, che come suo direttamente propone ai
fedeli, che in alcune parti della liturgia esclusivamente prescrive e che gli
studi più recenti hanno sì felicemente
restituito alla sua integrità
e purezza.
Per tali motivi il canto gregoriano fu
sempre considerato come il supremo modello della musica sacra, potendosi
stabilire con ogni ragione la seguente legge generale: tanto una composizione
per chiesa è più sacra e liturgica, quanto più
nell’andamento, nell’ispirazione
e nel sapore si accosta alla melodia gregoriana, e tanto è
meno degna del tempio, quanto più da quel supremo modello si
riconosce difforme.
L’antico canto gregoriano
tradizionale dovrà dunque restituirsi largamente
nelle funzioni del culto, tenendosi da tutti per fermo, che una funzione
ecclesiastica nulla perde della sua solennità,
quando pure non venga accompagnata da altra musica che da questo soltanto.
In particolare si procuri di restituire il
canto gregoriano nell’uso del popolo, affinché
i fedeli prendano di nuovo parte più attiva all’officiatura
ecclesiastica, come anticamente solevasi.
4. Le
anzidette qualità sono
pure possedute in ottimo grado dalla classica polifonia, specialmente della
Scuola Romana, la quale nel secolo XVI ottenne il massimo della sua perfezione
per opera di Pier Luigi da Palestrina e continuò
poi a produrre anche in seguito composizioni di eccellente bontà
liturgica e musicale. La classica polifonia assai bene si accosta al supremo
modello di ogni musica sacra che è
il canto gregoriano, e per questa ragione meritò di essere accolta insieme col canto gregoriano,
nelle funzioni più solenni
della Chiesa, quali sono quelle della Cappella Pontificia. Dovrà dunque anche essa restituirsi
largamente nelle funzioni ecclesiastiche, specialmente nelle più insigni basiliche, nelle chiese
cattedrali, in quelle dei seminari e degli altri istituti ecclesiastici, dove i
mezzi necessari non sogliono fare difetto.
Pio XII – Lettera enciclica Musicae Sacrae Disciplina (25-12-1955)
Perciò tale musica [la musica sacra] -
come già saggiamente ammoniva il Nostro
predecessore san Pio X - "deve possedere le qualità proprie della liturgia, in primo
luogo la santità e la
bontà
della forma; onde di per sé si
raggiunge un'altra caratteristica, la universalità".
Deve
essere santa; non ammetta in sé ciò che sa di profano, né permetta che si insinui nelle
melodie con cui viene presentata. A
questa santità
soprattutto si presta il canto gregoriano, che da tanti secoli si usa
dalla chiesa, sì da poterlo dire di suo
patrimonio. Questo canto, per la intima aderenza delle melodie con le parole
del sacro testo, non solo vi si addice pienamente; ma sembra quasi
interpretarne la forza e l'efficacia, istillando dolcezza all'animo di chi ascolta;
e ciò
con mezzi musicali semplici e facili, ma pervasi di così
sublime e santa arte, da suscitare in tutti sentimenti di sincera
ammirazione e da divenire per gli stessi intenditori e maestri di musica sacra
fonte inesauribile di nuove melodie. Conservare con cura questo prezioso tesoro
del canto gregoriano e farne ampiamente partecipe il popolo spetta a tutti
coloro, ai quali Gesù Cristo affidò
di custodire e di dispensare le ricchezze della Chiesa. Però, quello che i Nostri
predecessori san Pio X, a buon diritto chiamato restauratore del canto
gregoriano, e Pio XI hanno sapientemente ordinato e inculcato, ancor Noi
vogliamo e prescriviamo che si faccia, portando l'attenzione a quelle
caratteristiche che sono proprie del genuino canto gregoriano; che cioè nella celebrazione dei riti
liturgici si faccia largo uso di tale canto, e si provveda con ogni cura
affinché sia eseguito con
esattezza, dignità e pietà.
[...]
Non è Nostra intenzione, con ciò che abbiamo detto per lodare e
raccomandare il canto gregoriano, rimuovere dai riti della chiesa la polifonia
sacra, la quale, purché ornata
delle debite qualità, può giovare
assai per la magnificenza del culto divino e per suscitare pii affetti
nell'animo dei fedeli. È ben
noto infatti che molti canti polifonici, composti soprattutto nel secolo XVI,
risplendono per tale purezza d'arte e tale ricchezza di melodie, da essere del
tutto degni di accompagnare e quasi illuminare i riti della chiesa. Che se la
genuina arte della polifonia nel corso dei secoli a poco a poco è decaduta e non di rado vi si
sono mescolate melodie profane, negli ultimi decenni, per l'opera indefessa di
insigni maestri, essa felicemente si è
come rinnovata, con un più accurato
studio delle opere degli antichi maestri, proposte all'imitazione ed emulazione
degli odierni compositori.
Concilio Ecumenico Vaticano II
– Costituzione Sacrosanctum Concilium (4-12-1963)
116. La Chiesa riconosce il canto gregoriano
come canto proprio della liturgia romana; perciò nelle azioni liturgiche, a parità di condizioni, gli si riservi il posto principale. Gli
altri generi di musica sacra, e specialmente la polifonia, non si escludono
affatto dalla celebrazione dei divini uffici, purché rispondano allo spirito dell'azione liturgica, a
norma dell'art. 30.
117. Si
conduca a termine l'edizione tipica dei libri di canto gregoriano; anzi, si
prepari un'edizione più critica
dei libri già editi
dopo la riforma di S. Pio X. Conviene
inoltre che si prepari un'edizione che contenga melodie più
semplici, ad uso delle chiese più piccole.
Sacra Congregazione Dei Riti
– Istruzione Musicam Sacram (5 marzo 1967)
51.
Inoltre, tenendo presenti le condizioni dell’ambiente,
l’utilità pastorale dei fedeli e la natura
di ogni lingua, vedano i pastori di anime se —
oltre che nelle azioni liturgiche celebrate in latino — parti del patrimonio di musica
sacra, composta nei secoli precedenti per testi in lingua latina, possano
usarsi anche nelle celebrazioni fatte in lingua volgare. Niente infatti
impedisce che in una stessa celebrazione si cantino alcune parti in un’altra lingua.
Benedetto XVI - Lettera al gran cancelliere del Pontificio Istituto di Musica Sacra in
occasione del 100°
anniversario di fondazione dell’istituto
(13-5-2011)
Per cogliere
chiaramente l’identità e la missione del Pontificio
Istituto di Musica Sacra, occorre ricordare che il Papa san Pio X lo fondò otto anni dopo aver emanato il
Motu proprio Tra le sollecitudini, del 22 novembre 1903, col quale operò una profonda riforma nel campo
della musica sacra, rifacendosi alla grande tradizione della Chiesa contro gli
influssi esercitati dalla musica profana, specie operistica. Tale intervento
magisteriale aveva bisogno, per la sua attuazione nella Chiesa universale, di
un centro di studio e di insegnamento che potesse trasmettere in modo fedele e
qualificato le linee indicate dal Sommo Pontefice, secondo l’autentica e gloriosa tradizione
risalente a san Gregorio Magno. Nell’arco
degli ultimi cento anni, codesta Istituzione ha pertanto assimilato, elaborato
e trasmesso i contenuti dottrinali e pastorali dei Documenti pontifici, come
pure del Concilio Vaticano II, concernenti la musica sacra, affinché possano illuminare e guidare l’opera dei compositori, dei
maestri di cappella, dei liturgisti, dei musicisti e di tutti i formatori in
questo campo.
Un aspetto fondamentale, a me
particolarmente caro, desidero mettere in rilievo a tale proposito: come, cioè,
da san Pio X fino ad oggi si riscontri, pur nella naturale evoluzione, la
sostanziale continuità
del Magistero sulla musica sacra nella Liturgia. In particolare, i
Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, alla luce della Costituzione conciliare
Sacrosanctum Concilium, hanno voluto ribadire il fine della musica sacra, cioè
"la gloria di Dio e la santificazione dei fedeli" (n. 112), e
i criteri fondamentali della tradizione, che mi limito a richiamare: il senso
della preghiera, della dignità
e della bellezza; la piena aderenza ai testi e ai gesti liturgici; il
coinvolgimento dell’assemblea e, quindi, il
legittimo adattamento alla cultura locale, conservando, al tempo stesso, l’universalità del linguaggio; il
primato del canto gregoriano, quale supremo modello di musica sacra, e la
sapiente valorizzazione delle altre forme espressive, che fanno parte del
patrimonio storico-liturgico della Chiesa, specialmente, ma non solo, la
polifonia; l’importanza della schola cantorum, in particolare
nelle chiese cattedrali. Sono criteri importanti, da considerare attentamente
anche oggi. A volte, infatti, tali elementi, che si ritrovano nella Sacrosanctum Concilium, quali, appunto,
il valore del grande patrimonio ecclesiale della musica sacra o l’universalità che è caratteristica del canto gregoriano, sono stati
ritenuti espressione di una concezione rispondente ad un passato da superare e
da trascurare, perché limitativo
della libertà e della
creatività del
singolo e delle comunità. Ma dobbiamo sempre chiederci nuovamente: chi è l’autentico
soggetto della Liturgia? La risposta è
semplice: la Chiesa. Non è il
singolo o il gruppo che celebra la Liturgia, ma essa è primariamente azione di Dio attraverso la Chiesa,
che ha la sua storia, la sua ricca tradizione e la sua creatività.
La Liturgia, e di conseguenza la musica sacra, "vive di un corretto e
costante rapporto tra sana traditio e
legitima progressio", tenendo
sempre ben presente che questi due concetti - che i Padri conciliari
chiaramente sottolineavano - si integrano a vicenda perché "la tradizione è una realtà viva, include perciò in se stessa il principio dello
sviluppo, del progresso" (Discorso al Pontificio Istituto Liturgico, 6
maggio 2011).
Benedetto XVI alle Scholae
Cantorum: udienza ai partecipanti all’incontro promosso dall’associazione
italiana Santa Cecilia (10.11.2012).
“… impegnatevi a migliorare la qualità
del canto liturgico, senza aver timore di recuperare e valorizzare la
grande tradizione musicale della Chiesa, che nel gregoriano e nella polifonia
ha due delle espressioni più alte… la partecipazione
attiva dell’intero Popolo di Dio alla liturgia non consiste
solo nel parlare, ma anche nell’ascoltare, nell’accogliere
con i sensi e con lo spirito la Parola, e questo vale anche per la musica
liturgica”.