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Elenchi dei Vescovi (e non solo) pro e contro Fiducia Supplicans #fiduciasupplicans #fernández

Pubblichiamo due importanti elenchi. QUI  un elenco coi vescovi contrari, quelli favorevoli e quelli con riserve. QUI  un elenco su  WIKIPED...

domenica 8 novembre 2015

Noi crediamo nella vittoria della grazia: 1 Cor 10,13.

di don Alfredo Morselli

1. Il vomito di Dio.

Tra gli argomenti di coloro che vorrebbero permettere ai divorziati risposati civilmente e conviventi more uxorio di accedere alla S. Comunione, compare la tesi secondo la quale i suddetti carissimi fratelli non sarebbero in grado di vivere in grazia di Dio, cioè astenendosi dagli atti coniugali; e questo perché "Non siamo in grado, come esseri umani, di raggiungere sempre l'ideale, la cosa migliore" e "…l'eroismo non è per il cristiano medio" (Card. W. Kasper) [1]; i conviventi sono infatti esposti alla "forza soverchiante della tentazione", data la "forte occasione inevitabile, che vince la resistenza di una buona volontà contraria" (P. G. Cavalcoli O.P.) [2]. Per ammetterli alla S. Comunione, non si dovrebbe dunque esigere l'impossibile.

Per quanto riguarda l'"eroismo" che non sarebbe per il "cristiano medio", i nostri autori passano bellamente sul cadavere della "vocazione universale alla santità", che potrebbe essere definito come il cuore del messaggio complessivo del "vero" Vaticano II: il Concilio proclama, nei vari documenti, questa vocazione propria di tutti i battezzati, dei laici, dei sacerdoti e dei religiosi.

Cito qualche frase dal capitolo V (§ 40-41 passim) di Lumen gentium:
"39. … tutti nella Chiesa, sia che appartengano alla gerarchia, sia che siano retti da essa, sono chiamati alla santità, secondo le parole dell'Apostolo: «Sì, ciò che Dio vuole è la vostra santificazione» (1 Ts 4,3; cfr. Ef 1,4). Orbene, questa santità (…) si esprime in varie forme in ciascuno di quelli che tendono alla carità perfetta nella linea propria di vita ed edificano gli altri; (…) 40. Il Signore Gesù, maestro e modello divino di ogni perfezione, a tutti e a ciascuno dei suoi discepoli di qualsiasi condizione ha predicato quella santità di vita, di cui egli stesso è autore e perfezionatore: «Siate dunque perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste» (Mt 5,48) (…) I seguaci di Cristo, chiamati da Dio, non a titolo delle loro opere, ma a titolo del suo disegno e della grazia, giustificati in Gesù nostro Signore, nel battesimo della fede sono stati fatti veramente figli di Dio e compartecipi della natura divina, e perciò realmente santi. Essi quindi devono, con l'aiuto di Dio, mantenere e perfezionare con la loro vita la santità che hanno ricevuto. (…) È dunque evidente per tutti, che tutti coloro che credono nel Cristo di qualsiasi stato o rango, sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità". (grassetto redazionale)
Purtroppo sappiamo tutti come il Vaticano II, il "Concilio della Santità", sia stato indebitamente trasformato in "Concilio delle novità", e siccome la santità è troppo di vecchia data, è finita nel dimenticatoio.

Siamo dunque davanti al trionfo della "tiepidezza", di ciò che l'Apocalisse chiama "il vomito di Dio": "Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca" (Ap 3,16).

2. La presunta "forza soverchiante della tentazione".

Per quanto riguarda la presunta "forza soverchiante della tentazione", il magistero della Chiesa non manca certo di mostrarci quanto false siano queste parole.

Il Concilio di Trento (Sessio VI, cap. 11) definisce: 
"Nessuno, poi, per quanto giustificato, deve ritenersi libero dall'osservanza dei comandamenti, nessuno deve far propria quell'espressione temeraria e proibita dai padri sotto pena di scomunica, esser cioè impossibile per l'uomo giustificato osservare i comandamenti di Dio"; di seguito vien citato S. Agostino (De natura et gratia, 43): "Dio infatti non comanda cose impossibili [ordinando di resistere a qualunque tentazione], ma ordinando ammonisce di fare ciò che puoi, e di chiedere ciò che non puoi e aiuta perché tu possa"; infine la Scrittura: "I suoi comandamenti non sono gravosi (1 Gv 5,3), il suo giogo è soave e il suo peso è leggero (cf. Mt 11,30)" (DS/36 1536) [4].
In seguito, Innocenzo X ha condannato la proposizione giansenista che suona:
"Alcuni precetti di Dio sono impossibili agli uomini giusti, nonostante il volere e gli sforzi, secondo le presenti forze; pure manca loro quella grazia, che li rende possibili" (DS/36 2001),
definendola come "temeraria, empia, blasfema, condannata con anatema, eretica" (DS/36 2006) [5]

3. Per fortuna c’è San Paolo.

A fronte del giro mentale che imprigiona l'uomo nella sua miseria senza considerare gli effetti salutari della redenzione, ogni buon cristiano non può che confessare la fede nella vittoria della grazia; se con San Paolo piangiamo: 
"…nel mio intimo acconsento alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un’altra legge, che combatte contro la legge della mia ragione e mi rende schiavo della legge del peccato, che è nelle mie membra. Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte?" (Rm 8, 22-24), 
con lo stesso Apostolo cantiamo il peana di vittoria: 
"Ora, dunque, non c’è nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù. Perché la legge dello Spirito, che dà vita in Cristo Gesù, ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte. Infatti ciò che era impossibile alla Legge, resa impotente a causa della carne, Dio lo ha reso possibile: mandando il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato e a motivo del peccato, egli ha condannato il peccato nella carne, perché la giustizia della Legge fosse compiuta in noi, che camminiamo non secondo la carne ma secondo lo Spirito. (…) in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore" (Rm 8, 1-4. 37b-39).
4. 1 Cor 10,13.

Se Rm 8 è il canto di vittoria del redento, il testo paolino che elimina definitivamente il timore di soccombere necessariamente alla tentazione e al peccato è 1 Cor 10,13. 

Il nostro versetto viene dopo una pericope (1 Cor 9,24-10,12) in cui l'Apostolo racconta la sua vita  da asceta, perché l'impeccabilità non è affatto garantita; inoltre egli esorta, con un tono convenientemente un po' severo, a non cadere in peccato;
"9,23. Non sapete che, nelle corse allo stadio, tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? (…) faccio pugilato, ma non come chi batte l’aria; 27 anzi tratto duramente il mio corpo e lo riduco in schiavitù, perché non succeda che, dopo avere predicato agli altri, io stesso venga squalificato. 10:1   Non voglio infatti che ignoriate, fratelli, che i nostri padri furono tutti sotto la nube (…) 5 Ma la maggior parte di loro non fu gradita a Dio e perciò furono sterminati nel deserto 6  Ciò avvenne come esempio per noi, perché non desiderassimo cose cattive (…) 7 Non diventate idolatri (…) 8 Non abbandoniamoci all’impurità (…) 9 Non mettiamo alla prova il Signore (…) 10 Non mormorate,(…) 11 Tutte queste cose però accaddero a loro come esempio, e sono state scritte per nostro ammonimento, di noi per i quali è arrivata la fine dei tempi. 12 Quindi, chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere".
Dopo questi moniti e prima di trattare nuovi argomenti (effetti dell'Eucarestia, non entrare in comunione con i demoni, evitare lo scandalo - 1 Cor 10, 14-33), San Paolo compone un versetto che da un punto di vista retorico serve da transizione, e, quanto al contenuto, rassicura i Corinti che il combattimento spirituale non è condannato alla sconfitta, a motivo della fedeltà di Di; ecco il nostro testo:
1 Cor 10,13: "Nessuna tentazione, se non umana, vi ha colto (oppure "ha avuto la meglio", oppure, con la Vulgata, "vi catturi" = "vi tenga in scacco") ; Dio infatti è degno di fede, cosicché Egli non lascerà che siate tentati più di ciò che potete, ma costituirà - insieme con la tentazione - anche la via di uscita per poter[la] sopportare" [6].
Parafrasiamo ora il versetto, aggiungendo qualche spiegazione:

Nessuna tentazione, se non umana… =  se non quelle in cui necessariamente l'uomo si trova.

Ho seguito, nel proporre questa parafrasi, San Gregorio Magno: "è certamente umano che il cuore sopporti una tentazione, ma è demoniaco, nella lotta con la tentazione, lasciarsi vincere da essa mettendola in opera". [7]

…vi ha colto oppure vi intrappoli: nel primo senso, ad esempio S. Cipriano: "Tentatio vos non occupavit nisi umana" [8]. La seconda traduzione suppone una importante variante (gr. καταλάβῃ) - da cui dipendono la Vulgata e le precedenti versioni latine ("adprehendat") - potrebbe essere tradotta: "non vi catturi", "non vi intrappoli"; cf. Gv 12,35: "perché le tenebre non vi intrappolino" (CEI 2008: "non vi sorprendano"), gr. "ἵνα μὴ σκοτία ὑμᾶς καταλάβῃ".

Dio infatti è degno di fede…

La parola greca tradotta con "degno di fede", pistós (πιστὸς δὲ ὁ θεός) presuppone la radice ebraica 'mn (da cui deriva, ad esempio e per intenderci, la parola "amen") [9], che indica per eccellenza il permanere di Dio nella sua essenza, e quindi nel non venir meno alle sue promesse.
Noi possiamo stare in piedi (cf. il v. precedente, "chi vuol stare in piedi, cerchi di non cadere"), perché - secondo l'etimologia ebraica - Dio è appoggio sicuro. Ma pistós indica anche la fedeltà di Dio nell'operare conformemente alla sua natura e alle sue promesse…

…cosicché Egli non lascerà che siate tentati più di ciò che potete…

Ecco la promessa che dissolve ogni "etica della situazione": quest'ultima, da un lato nega la natura (in sé e come principio di operazione) immutabile dell'uomo, il quale non è più in condizione di ricreare continuamente se stesso, agendo conforme alla sua essenza (perduta), ma è schiavo degli eventi e della concupiscenza; di fatto egli è persino irredimibile (essendo svanito il terminus ad quem univoco della ricreazione per grazia); dall'altro lato, il misconoscimento dell'azione di Dio a fianco dell'uomo in ogni situazione, porta a una assolutizzazione del caso concreto - in pratica a una divinizzazione della storia - che è cosa ben diversa dall'intervento gratuito di Dio nella storia stessa.
Dio è il Signore di ogni situazione concreta, non solo con la sua legge eterna partecipata in ogni situazione, ma con la sua presenza preveniente e coadiuvante in ciascun caso concreto, "caso per caso". Quindi, il giudizio morale di un atto "caso per caso" non può non tener conto della vicinanza del Dio fedele "in ogni caso", vicinanza finalizzata alla vittoria morale dell'uomo.

Ma adesso vediamo come, concretamente, il Dio fedele non permette che siamo tentati sopra le nostre forze. 

La tentazione, a cui tutti sono sottoposti in questa vita, è una sorta di stato di fronte ad due porte che si aprono verso due mondi esistenziali opposti; si può "entrare" nella tentazione e allora si pecca, oppure, se ne può uscire verso la grazia e la libertà, "rimanendo" così nell'amore di Gesù.
In questo senso si comprende la VI petizione del Padre nostro, "e non ci indurre in tentazione".
Non ci indurre (lat. "et ne nos inducas", gr. μὴ εἰσενέγκῃς ἡμᾶς) presuppone l’ebraico ’al tebî’ênu (אל תביאנו o forme aramaiche analoghe) e può essere parafrasato con "fa' sì che non entriamo nella tentazione" [10].
Non si chiede di non essere tentati (cosa impossibile in questa vita, "al modo umano"), ma si invoca l'azione di Dio che "non ci faccia entrare" nella trappola e nell'atmosfera diabolica.
Le parole di San Paolo descrivono esattamente ciò che Dio compie per far sì che non entriamo nella tentazione:

… ma costituirà - insieme con la tentazione - anche la via di uscita per poter[la] sopportare.

Dio fedele creerà (costituirà gr. poiései, ποιήσει, Vg. faciet) egli stesso, insieme alla tentazione, anche la via di uscita (gr. kaì tèn ékbasin, καὶ τὴν ἔκβασιν, Vg. etiam proventum).

5. Conclusione

Il Card. Kasper aveva dichiarato: "Non riesco a pensare ad una situazione in cui un essere umano è caduto in un buco e non c'è via d'uscita" [11].
Dopo le nostre osservazioni, possiamo rispondergli che può stare tranquillo, che la "via di uscita" c'è: è una via divina però, non una soluzione umana che, ammettendo ai sacramenti dei vivi chi è in stato di peccato, distrugge contemporaneamente la dottrina cattolica del matrimonio, dell'Eucarestia, della confessione e i fondamenti della morale naturale e cristiana.
Può darsi che questa divina via di uscita talvolta sia inclusa nella magna charta del cristianesimo: "Se uno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua" (Mc 1,34). 
In questa sequela, realizzata da tanti cristiani e da tanti martiri, la presenza del Dio fedele è vicinissima in Gesù Cristo, e con lui, vincitori della morte e di ogni tentazione, giungeremo alla gloria della Resurrezione. Non conosciamo altro Evangelii gaudium che questo.


NOTE

(1) «Ecco gli argomenti per la comunione ai divorziati risposati» intervista di A. Tornielli al Card. Kasper, 8-5-2014, http://vaticaninsider.lastampa.it/nel-mondo/dettaglio-articolo/articolo/kasper-33955/. 

(2) «La comunione ai risposati non tocca la dottrina ma la disciplina», intervista di Andrea Tornielli a P. Giovanni Cavalcoli O.P., 17-10-2015,http://vaticaninsider.lastampa.it/vaticano/dettaglio-articolo/articolo/sinodo-famiglia-43987/.

(3) "Cap. 11. Nemo autem, quantumvis iustificatus, liberum se esse ab observatione mandatorum (can. 20) putare debet; nemo temeraria illa et a Patribus sub anathemate prohibita voce uti, Dei praecepta homini iustificato ad observandum esse impossibilia (can. 18 et 22; cf. DS 397). 'Nam Deus impossibilia non iubet, sed iubendo monet, et facere quod possis, et petere quod non possis', et adiuvat ut possis; 'cuius mandata gravia non sunt' (I Jo 5, 3), cuius 'iugum suave est et onus leve' (cf. Mt 11, 30). Qui enim sunt filii Dei, Christum diligunt: qui autem diligunt eum, (ut ipsemet testatur) servant sermones eius (Jo 14, 23), quod utique cum divino auxilio praestare possunt". (DS/36 1536).

(4) Decreto sulla giustificazione, 13-1-1547.

(5) Innocenzo X, Costituzione apostolica Cum occasione, 1653 (condanna dell'Augustinus di Giansenio).

(6) La traduzione è mia; CEI 2008 traduce: "Nessuna tentazione, superiore alle forze umane , vi ha sorpresi; Dio infatti è degno di fede e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze ma, insieme con la tentazione, vi darà anche il modo per poterla sostenere"; Il testo greco è il seguente: "1Cor. 10:13 πειρασμὸς ὑμᾶς ⸂οὐκ εἴληφεν⸃ εἰ μὴ ἀνθρώπινος· πιστὸς δὲ ὁ θεός, ὃς οὐκ ⸀ἐάσει ⸉ὑμᾶς πειρασθῆναι⸊ ὑπὲρ ὃ δύνασθε ἀλλὰ ποιήσει σὺν τῷ πειρασμῷ καὶ τὴν ἔκβασιν τοῦ δύνασθαι ⸆ ὑπενεγκεῖν (Nestle Aland, 28^ ed.; app. critico: ⸂ ου καταλαβη F G lat; Ambst | ⸀ αφησει D F G | ⸉ B 1175 | ⸆ υμας ℵ (D) K Ψ 104. 1241. 1505 𝔐 ╎ txt 𝔓 ℵ✱ A B C D✱ F G L P 6. 33. 81. 365. 630. 1175. 1739. 1881. 2464; Or →)
La Vulgata traduce: "temptatio vos non adprehendat nisi humana; fidelis autem Deus qui non patietur vos temptari super id quod potestis sed faciet cum temptatione etiam proventum ut possitis sustinere".

(7) Regola Pastorale, 11.

(8) Testimoniorum Libri Tres adversus Judaeos, l. III, c. XCI, ML 4, 774.

(9) F. Delitzsch retroverte con נֶאֱמָן, ne'eman. Ho consultato il testo offerto dal software Accordance.

(10) Per una spiegazione più accurata, cf. il mio «Non abbandonarli alla tentazione di cambiare il Padre nostro», http://blog.messainlatino.it/2010/11/non-abbandonarli-alla-tentazione-di.html.

(11) Vedi nota 1.