Riccardo Cascioli
Se guardiamo il rilievo dato dai principali quotidiani italiani si deve dire che il V Convegno ecclesiale italiano, chiusosi ieri a Firenze, non ha lasciato traccia. A parte l’intervento del Papa martedì scorso – salutato come sempre come «l’inizio di una Chiesa nuova», qualsiasi cosa voglia dire - dei contenuti del convegno e del cammino che la Chiesa vuole intraprendere in Italia non interessa nessuno.
E ad essere onesti non è solo colpa dei media: a parte la ripresa continua di questo o quel passaggio del discorso del Papa si sono sentite tante chiacchiere che sanno di aria fritta. Valga per tutte l’emblematica intervista al segretario della Conferenza episcopale, monsignor Nunzio Galantino, apparsa ieri su Avvenire: si capisce che il Convegno di Firenze non è stato importante per il contenuto – di cui infatti nell’intervista non c’è traccia – ma per il metodo, il famoso “stile sinodale” che è ormai diventato un mantra. Ma che cos’è questo “stile sinodale”? Il povero giornalista di Avvenire lo chiede a monsignor Galantino per ben otto volte, cercando di porre la domanda in tutti i modi possibili, ma alla fine si deve arrendere. Dialogo, confronto, ascolto, ma alla fine si capisce che non lo sa neanche monsignor Galantino: «Si cresce nella sinodalità esercitandola, si capisce meglio in cosa consiste cominciando a lavorare e a confrontarsi insieme sulle questioni concrete delle nostre comunità», ha detto sfidando anche la logica. Insomma, «ciò che si è cercato di fare a Firenze è proprio questo: avviare un esercizio di sinodalità».
La cosa peraltro non è stata molto gradita da tutti i vescovi: nei corridoi un certo malumore serpeggiava tra chi ritiene che per poter essere reale «il dialogo necessita di interlocutori che siano diversi e coscienti della propria diversità», come diceva il “sindaco santo” di Firenze, Giorgio La Pira. Bisogna aver chiaro in quale realtà questo dialogo si deve esercitare, dicono costoro, bisogna guardare all'Italia reale, a quel che c'è veramente. In Italia domina una cultura laicista arrivata ormai a tutti gli strati della popolazione: solo negli ultimi giorni c’è stata una scolaresca impedita di recarsi a una importante mostra a tema religioso, con il pretesto di non offendere i non cattolici; e la Corte Costituzionale con una sentenza clamorosa ha formalmente sdoganato l’eugenetica. E molti altri esempi si potrebbero portare. Ma nulla di tutta questa realtà ha sfiorato gli oltre 2mila delegati di Firenze, neanche ci si è chiesto se c’è qualcuno che voglia dialogare seriamente con la Chiesa. Giusto nove anni fa, nel precedente convegno della Chiesa italiana a Verona, papa Benedetto XVI invitava a valorizzare quanti si sentivano interpellati dall’annuncio della Chiesa, riconoscendo che in generale la cultura dominante, avendo tagliato i ponti «con le tradizioni religiose e morali dell’umanità», non è «in grado di instaurare un vero dialogo con le altre culture, nelle quali la dimensione religiosa è fortemente presente». Un giudizio pesante quanto preciso, oggi abbandonato in nome di un ingenuo ottimismo sul mondo.
Il presidente della Conferenza episcopale, cardinale Angelo Bagnasco, nel suo discorso conclusivo ha cercato di rimediare in parte a questo vuoto di proposta, seppur con scarsi risultati. Più interessante la conferenza stampa, dove – seppur con il suo usuale modo discreto e sempre ringraziando il Papa per il suo intervento – ha marcato una netta differenza da certi accenti usati da Bergoglio (e soprattutto dalle interpretazioni dei giornalisti di corte) e da monsignor Galantino.
A chi veicola un’immagine di Chiesa che ha scoperto solo con papa Bergoglio l’attenzione ai poveri, Bagnasco ha ribattuto: «Se uno è informato correttamente e pensa con la sua testa non può non vedere i 6 milioni di pasti serviti dalle mense legate alla Chiesa, le 115mila istituzioni cattoliche che soccorrono i bisognosi di ogni tipo, i 500mila poveri aiutati ogni giorno da Caritas e realtà ecclesiali non solo con prestazioni assistenziali ma soprattutto con uno sguardo e una prossimità che restituisce dignità a chi è povero, invisibile o solo. Ognuno tiri le sue conseguenze». Tutte cose che c’erano già tre anni fa.
Analoga la reazione di fronte al tentativo di dipingere tutti i vescovi e i preti come dediti alla ricerca di potere e soldi, intenti ad aggiudicarsi lussuosi appartamenti o a sfrecciare sull’ultimo modello di auto sportiva. Prendendo a pretesto il «dolorosissimo e penoso» caso dell’ex abate di Montecassino, accusato di aver sottratto 500mila euro alla sua comunità spendendoli in cene e vizi vari, Bagnasco ha tenuto a dire che «va ricordato che in mezzo a un grande popolo di persone consacrate generose e trasparenti può capitare un caso di vita contraddittoria» e che «nessuna ombra deve oscurare la luce di chi è fedele alla vocazione».
Nessun commento:
Posta un commento