Da Libero del 25-5-2015
Che l’Irlanda, antica roccaforte del cattolicesimo, vari a furor di popolo le nozze gay ("e chi sono io per giudicare", dirà il vescovo di Roma…), è un evento storico. Si avverte un cupo rumore di frana, come se una montagna - effetto Bergoglio? - stesse venendo giù.
Del resto in Sudamerica già da anni la Chiesa sta crollando (i dati sono terribili): ora l’Europa, il cuore della cristianità.
Ciò che rende dominante il laicismo - diceva il cardinal De Lubac - è che si imbatte e strumentalizza «un cristianesimo sempre più minorato, ridotto ad un teismo vago e impotente».
Oggi solo questo teismo è permesso. Invece della Chiesa cattolica conosciuta finora è minacciata perfino la sopravvivenza. C’è posto solo per una sua ridicola parodia laicizzata, da «cortigiana» umanitaria (per dirla con Andrea Emo), per una «agenzia religiosa» che sui grandi temi della vita si sottomette al diktat ideologico obamiano, che rinuncia al proselitismo e al «Dio cattolico» («non esiste un Dio cattolico», dice Bergoglio), che si scioglie nell’ecumenismo massonizzato delle tante religioni, che si occupa del clima e della spazzatura differenziata, insegnando le buone maniere (buongiorno, buonasera, grazie e scusa) e facendo pipponi assistenziali sui poveri.
Ma per la vera Chiesa Cattolica non c’è più posto, come mostra il dramma dell’ultimo grande papa, Benedetto XVI, «dimissionato», autorecluso e silenziato.
La Chiesa che ha illuminato e vinto il tenebroso mondo degli dèi e ha ribaltato la storia pagana e antiumana, la Chiesa del Verbo di Dio fatto carne che ha la pretesa di annunciare la Verità, la Chiesa dei grandi santi, dei martiri, dei missionari, la Chiesa della liturgia divina e della grande arte, la Chiesa di Madre Teresa e del pensiero forte, dei grandi papi e di padre Pio, con l’irrompere del soprannaturale, la Chiesa che ha tenuto testa per secoli alla ferocia musulmana e ai grandi totalitarismi genocidi del XX secolo, questa Chiesa oggi non ha più diritto di cittadinanza.
Ieri, monsignor Galantino - secondo un tweet di Alberto Mingardi - pare abbia detto in un convegno: «Quando la Chiesa era cattolica e la messa era in latino…».
Un lapsus freudiano rivelatore ed esplosivo. Infatti ora siamo all’ultimo atto della «liquidazione della Chiesa Cattolica», come preconizzò Giuseppe Prezzolini, laico ma preoccupato per il baratro verso cui stava correndo il mondo cattolico, ansioso di «modernizzarsi» e arrendersi a tutte le mode ideologiche del momento.
Però a liquidare la Chiesa non sono le persecuzioni, né l’odio laicista, ma - come disse Paolo VI - è «l’autodemolizione» dall’interno. La via del baratro fu imboccata non con il Concilio - come credono certi lefebvriani - ma alla sua fine, esattamente 50 anni fa, con il «post-Concilio».
Nei giorni scorsi sui giornali, si è ricordato che sono cinquant’anni anche dalla prima messa in lingua italiana e un altro intellettuale laico come Elémire Zolla, in quei giorni, arrivò a sottolineare l’avvenimento con toni apocalittici: «7 marzo: muore la Messa, muore il Gregoriano. Ascoltato per l’ultima volta. Oramai, come un ramo secco, la Chiesa verrà bruciata».
In realtà il problema non fu tanto l’uso della lingua volgare nella liturgia (cosa, secondo me, positiva), ma la successiva «riforma liturgica» del 1969 e soprattutto la sostanziale (non legale) messa al bando della precedente, millenaria liturgia cattolica.
Joseph Ratzinger ha fatto capire bene, molti anni dopo, l’enorme errore, anche teologico, che fu commesso allora. Che ebbe conseguenze colossali, anche nel tragico smarrimento della fede.
Ma curiosamente a quel tempo a lanciare l’allarme in modo drammatico per una Chiesa che di colpo rifiutava il suo rito bimillenario (quello attorno al quale erano state costruite le nostre cattedrali), furono soprattutto gli intellettuali laici.
Che protestarono con la stessa costernazione con cui oggi consideriamo le tragiche devastazioni compiute dall’Isis nell’antico Medio oriente.
Il 5 settembre 1966 uscì un primo appello a Paolo VI per la salvaguardia della liturgia latino-gregoriana (pochi mesi prima che l’alluvione devastasse l’antica bellezza cattolica di Firenze).
Quel manifesto-appello fu firmato da una quarantina di grandi intellettuali e impressiona rileggere oggi alcuni di quei nomi: Jorge Luis Borges, Salvatore Quasimodo, Eugenio Montale, Giorgio De Chirico, Robert Bresson, Jacques Maritain, François Mauriac, Gabriel Marcel, Maria Zambrano, Cristina Campo, Elena Croce, Wystan Hugh Auden, Jorge Guillen, Elémire Zolla, Philip Toynbee, Evelyn Waugh, Salvador De Madariaga, Carl Theodor Dreyer, Julien Green, Elsa Respighi, Francesco Gabrieli, José Bergamin, Fedele D’Amico, Luigi Dallapiccola, Victoria Ocampo, Wally Toscanini, Gertrud von Le Fort, Augusto Del Noce, Lanza Del Vasto.
L’appello fece molta impressione, anche in Vaticano, ma non riuscì a fermare la frana. Così nel 1971 ne uscì un altro e stavolta furono ancora di più gli intellettuali che si aggiunsero. Ricordo qualche nome: Agatha Christie, Graham Greene, Harold Acton, Mario Luzi, Andrés Segovia, William Rees-Mogg (il direttore del Times), Joan Sutherland, Guido Piovene, Giorgio Bassani, Adolfo Bioy Casares, Ettore Paratore, Gianfranco Contini, Giacomo Devoto, Giovanni Macchia, Massimo Pallottino, Rivers Scott, Wladimir Ashkenazy, Colin Davis, Robert Graves, Yehudi Menuhin, Kenneth Clark, Malcolm Muggeridge.
Fu pressoché inutile, ma di lì a poco lo stesso Paolo VI si rese conto della tragedia in corso: il crollo della frequenza religiosa, migliaia di preti e religiosi che lasciavano l’abito, intellettuali cattolici subalterni all’ideologia marxista, gran parte dei giovani sedotti dai miti della rivoluzione (da Fidel Castro a Mao, dai Vietcong a Che Guevara, fino a Stalin), il dilagare della Teologia della liberazione e di teologie moderniste che demolivano la dottrina cattolica.
Paolo VI negli ultimi anni pronunciò parole sempre più drammatiche: «Credevamo che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. E venuta invece una giornata di nuvole e tempeste, e di buio», «da qualche parte il fumo di Satana è entrato nel tempio di Dio», «l’apertura al mondo fu una vera invasione del pensiero mondano nella Chiesa... Noi siamo stati forse troppo deboli e imprudenti».
Paolo VI denunciò «coloro che tentano di abbattere la Chiesa dal di dentro» e prese a citare i libri di Louis Bouyer, «La décomposition du catholicisme» e «Religieux et Clercs contre Dieu».
All’amico Jean Guitton confidò: «C’è un grande turbamento in questo momento nel mondo e nella Chiesa, e ciò che è in questione è la fede. Capita ora che mi ripeta la frase oscura di Gesù nel Vangelo di san Luca: “Quando il Figlio dell’uomo tornerà, troverà ancora la fede sopra la terra?”. Ciò che mi colpisce quando considero il mondo cattolico», proseguiva il papa, «è che all’interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non-cattolico, e può avvenire che questo pensiero non-cattolico all’interno del cattolicesimo diventi domani il più forte. Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa».
Poi, grazie a Dio, arrivarono Giovanni Paolo II e Joseph Ratzinger. La barca di Pietro venne faticosamente riparata, la bussola della fede ritrovò la via e una generazione di giovani sperimentò di nuovo la bellezza del cristianesimo.
Ma questa primavera è stata gelata da qualcosa di potente e di oscuro che, per la prima volta nella storia della Chiesa, ci pone davanti al dramma di un «papa emerito» autorecluso in Vaticano e di «un vescovo vestito di bianco» che viene acclamato da tutti i nemici di sempre della fede cattolica e che ha riportato la Chiesa alla subalternità alle ideologie mondane degli anni Settanta (è stata riesumata perfino la Teologia della liberazione e il suo fondatore Gutierrez ora pontifica dal Vaticano).
Sembra il baratro finale. A meno che Dio….
di Antonio Socci
www.antoniosocci.com