Premettiamo subito che ovviamente non facciamo parte di coloro che esecrano l'introduzione del microfono nella liturgia nè che rimpiangono i tempi in cui non c'era!
E' vero che molti aspetti della liturgia erano stati studiati e perfezionati proprio in considerazione del fatto che un tempo, appunto, il microfono non c'era e quindi la voce non poteva sentirsi bene come diffusa dall'altoparlate. Parimenti anche l'assenza di luce elettrica aveva stimolato la creatività dei liturgisti, facendo diventare prassi alcuni rimedi a evidenti necessità legate al tempo.
Facciamo qualche esmpio.
Il suddiacono cantava l'epistola e il diacono cantava il Vangelo stando vicino alle balaustre (o su un pulpito a ridosso delle balaustre in cornu epistolae o Evangelii) proprio per avvicinarsi ai fedeli e farsi sentire.
La bugia, ora insegna per cardinali, vescovi e prelati privilegiati, trae ovviamente origine dalla necessità di illuminare il messale e permetere agli augusti celebranti - spesso anziani - di leggere più agevolmente nei presbiteri illuminati da alti lampadari illuminati con candele e lontani (faldistorio o trono) dalla (pur fioca) luce delle candele poste sull'altare.
Ciò premesso, e senza stigmatizzare quindi il provvidenziale ingresso del microfono durante le stupende celebrazioni "vetus Ordo" (per cui abbiamo potuto ascoltare la voce del Venerabaile Pio XII e di San Giovanni XXIII durante le benedizioni Urbi et Orbi, ad esempio) apprezziamo il breve studio che l'articolo seguente fa di alcune particolari peculiarità e ricchezze della litugia che si potevano apprezzare - e sperimentare - solo un tempo, quando non vi era ancora l'uso del microfono.
L'autore però saggiamente, non vagheggia un ritorno al passato senza corrente elettrica! Ma auspica un uso più sapiente dell'uso del microfono e dell'illuminazione elettrica delle chiese, valorizzando la "modernità", piegandola a vantaggio e nel rispetto di tempi e luoghi liturgici. E questo sì che si potrebbe fare.
Roberto
Mi ha colpito l’affermazione di un amico sacerdote: “Sai
chi ha fatto la riforma liturgica”? – mi disse – “Il microfono” – mi
rispose. Può essere?
da Aleteia, del 19.05.2015
Questa è una domanda interessante. Proviamo
ad immaginare di ritornare improvvisamente nel passato prima che vi
fossero i microfoni e prima ancora, quando non c’era la luce elettrica. Con
questo ideale ritorno al passato potremmo comprendere più facilmente il
significato di riti e disposizioni liturgiche che a noi oggi potrebbero
sembrare insignificanti o superate. L’avvento dei microfoni ha costituito un notevole impatto nella celebrazione liturgica.
In particolare:
- Quando i ministri celebravano in luoghi e posizioni diverse all’interno della chiesa si udiva la loro voce provenire da quei luoghi e spontaneamente i fedeli si orientavano verso di essi. Bastava il suono della voce per capire se il sacerdote stava all’altare o se parlava dal pulpito o se si muoveva in processione; così per gli altri ministri e per il coro. Con l’uso del microfono la voce viene diffusa dovunque in modo uniforme al punto che non è più percepibile la posizione logistica di chi parla: può parlare dall’altare, dall’ambone, dalla navata, dall’atrio, dalla sagrestia o anche dall’esterno della chiesa e tutti ovunque si trovino odono con la stessa intensità la voce di colui che parla. Il luogo liturgico, dal punto di vista uditivo è diventato indifferente: il Preconio pasquale anche se cantato dall’ambone monumentale non subisce alcuna variazione acustica e non dà alcuna indicazione logistica. Subentra allora solo l’aspetto visivo: salire sull’ambone non ha più una funzione fisica di trasmissione della voce, ma simbolico-visiva di luogo della Parola.
- Anche l’impiego della voce ne è alquanto influenzato. Infatti, la cantillatio delle letture, ma anche delle orazioni, aveva nel passato anche un ruolo di efficacia comunicativa, in quanto la voce assumeva potenza e raggiungeva i lontani. In tal senso si poteva comprendere l’arte oratoria del predicatore. Anche la musicalità dei testi liturgici, la ripetizione e una certa cadenza erano orientati ad una più efficace comunicazione. Il microfono, invece, consente la diffusione della voce senza necessità di particolari accorgimenti e chiunque può leggere in tono normale. In questo modo certamente viene rispettato il modo di porsi e di comunicare di ciascun lettore, tuttavia vi è il pericolo di ridurre le orazioni e le letture al livello di una comunicazione sempre identica e feriale. Se si coglie soltanto l’opportunità della comunicazione fisica offerta dal microfono tutto l’aspetto simbolico e solenne della liturgia svanisce. Questa è una tentazione continua: i fedeli odono quindi non ha più senso alcuna forma di cantillatio. In realtà sia il canto delle orazioni, come quello dei testi biblici ha subito una larga incomprensione e una drastica riduzione nell’immediato postconcilio.
In particolare:
- Quando i ministri celebravano in luoghi e posizioni diverse all’interno della chiesa si udiva la loro voce provenire da quei luoghi e spontaneamente i fedeli si orientavano verso di essi. Bastava il suono della voce per capire se il sacerdote stava all’altare o se parlava dal pulpito o se si muoveva in processione; così per gli altri ministri e per il coro. Con l’uso del microfono la voce viene diffusa dovunque in modo uniforme al punto che non è più percepibile la posizione logistica di chi parla: può parlare dall’altare, dall’ambone, dalla navata, dall’atrio, dalla sagrestia o anche dall’esterno della chiesa e tutti ovunque si trovino odono con la stessa intensità la voce di colui che parla. Il luogo liturgico, dal punto di vista uditivo è diventato indifferente: il Preconio pasquale anche se cantato dall’ambone monumentale non subisce alcuna variazione acustica e non dà alcuna indicazione logistica. Subentra allora solo l’aspetto visivo: salire sull’ambone non ha più una funzione fisica di trasmissione della voce, ma simbolico-visiva di luogo della Parola.
- Anche l’impiego della voce ne è alquanto influenzato. Infatti, la cantillatio delle letture, ma anche delle orazioni, aveva nel passato anche un ruolo di efficacia comunicativa, in quanto la voce assumeva potenza e raggiungeva i lontani. In tal senso si poteva comprendere l’arte oratoria del predicatore. Anche la musicalità dei testi liturgici, la ripetizione e una certa cadenza erano orientati ad una più efficace comunicazione. Il microfono, invece, consente la diffusione della voce senza necessità di particolari accorgimenti e chiunque può leggere in tono normale. In questo modo certamente viene rispettato il modo di porsi e di comunicare di ciascun lettore, tuttavia vi è il pericolo di ridurre le orazioni e le letture al livello di una comunicazione sempre identica e feriale. Se si coglie soltanto l’opportunità della comunicazione fisica offerta dal microfono tutto l’aspetto simbolico e solenne della liturgia svanisce. Questa è una tentazione continua: i fedeli odono quindi non ha più senso alcuna forma di cantillatio. In realtà sia il canto delle orazioni, come quello dei testi biblici ha subito una larga incomprensione e una drastica riduzione nell’immediato postconcilio.
Si tratta allora di usare il microfono senza cancellare sia la
diversità logistica dei luoghi celebrativi, sia la ricchezza e la
varietà delle espressioni linguistiche nell’annunzio della Parola di Dio
e nell’orazione sacerdotale. Anzi il microfono, se di
qualità e usato con professionalità, favorisce una migliore trasmissione
di un testo cantato, che può essere percepito nelle sue sfumature dalla
totalità dell’assemblea liturgica. In tal senso la
liturgia viene arricchita dall’uso del microfono piuttosto che
impoverita, proprio a causa di un uso funzionalistico dello strumento,
che la dovrebbe elevare, potenziare e trasmettere con maggior efficacia.
Una simile argomentazione si deve fare anche a proposito della luce elettrica nelle chiese.
I libri liturgici vigenti non hanno ancora assunto adeguatamente le
indicazione necessarie per regolare l’illuminazione elettrica nel
contesto dei riti. E’ tuttavia quanto mai opportuno che
l’impianto elettrico di una chiesa non sia fatto con i criteri della
comune funzionalità e neppure col solo criterio di valorizzare la chiesa
come ambiente artistico e museale. E’ necessario assumere
un criterio liturgico, per cui l’illuminazione risponde alle esigenze
dei vari riti e tiene presente l’intero ciclo festale della Chiesa. Si tratta di evidenziare la solennità, la festa, il giorno feriale e quello penitenziale. Un
criterio interessante potrebbe certamente essere la Veglia pasquale
nella quale proprio le luci hanno un ruolo simbolico fondamentale. I
tre gradi di intensità, che potremo denominare: lucernale, vigiliare e
solare e che interessano momenti diversi della Veglia (liturgia della
luce – liturgia della Parola – liturgia eucaristica) potrebbero essere
una indicazione interessante per impostare un criterio di illuminazione a
servizio della liturgia nelle tante sue espressioni distribuite
nell’intero Anno liturgico.
Bel contributo. Lo trovo in larga parte condivisibile. Resta tuttavia a mio avviso auspicabile, sebbene non realizzabile facilmente né ovunque, una estromissione completa di microfoni ed elettricità dalle chiese. Sebbene ciò possa sembrare utopistico e nostalgico insieme, accade invece ancora in alcune bellissime realtà e chi ha avuto la fortuna di assistervi conosce il beneficio che ne deriva. Quanto alla difficoltà di compiere un simile passo, si pensi invece a quanto è più difficile (e costoso e di fatto mai veramente compiuto) progettare, realizzare e manutenere una strumentazione elettronica che rispetti i desideri dell'autore dell'articolo e di chi lo presenta (ammesso inoltre che corrispondano ai desideri di tutti in evidente assenza di regolamentazione), e quanto è invece più facile ed immediato spegnere la luce. Abbiamo abbiamo rivestito le candele di significati altissimi e le abbiamo usate per millenni. Ci è diventato impossibile proprio ora?
RispondiEliminaAndrea dM Arbore
Davvero ci vorrebbero studi filosofici approfonditi per capire le potenzialità e i danni dei ritrovati moderni, microfoni, video, foto, schermi, e mille altri strumenti di cui ciascuno dovrebbe avere una trattazione a sé. Non cadiamo in facilonerie. Un solo pensierino: molti si impossessano del microfono come di uno scettro di potere. preti e laici, e lo brandiscono sopra e contro gli astanti.
RispondiEliminaSono stata in un Paese dell'America centrale, il sacerdote teneva in mano il microfono persino durante la consacrazione e l'elevazione (e l'ho notato in tutte le S.Messe cui ho partecipato)
RispondiEliminaChe il microfono abbia avuto una parte importante in tutto ciò l'ha detto per primo un cattolico amante della messa antica, Marshall McLuhan; chi è interessato può leggerlo in La luce e il mezzo (Armando Editore, 2009).
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