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martedì 17 febbraio 2015

Il Card. Berhaneyesus Demerew Souraphiel che ha perdonato il suo carceriere

Citta' del Vaticano, 16 Febbraio 2015 (Zenit.org) Luca Marcolivio 
Tra i nuovi porporati, creati sabato scorso durante l’ultimo Concistoro Ordinario Pubblico, spicca una toccante storia di perdono. 
Il 66enne cardinale Berhaneyesus Demerew Souraphiel, dal 1999 Arcieparca di Addis Abeba, è stato vittima del regime filocomunista ed anticlericale di Menghistu Hailè Mariàm, scontando sette mesi di carcere nel 1980, quando era un giovane sacerdote. 
Alcuni anni dopo la fine della dittatura, Souraphiel andò a incontrare l’uomo che lo aveva condannato senza vere accuse, né processo e lo perdonò. 
Questo episodio è stato raccontato in esclusiva a ZENIT dal neocardinale, che si è anche soffermato sull’apertura del pontificato di papa Francesco verso le periferie del mondo e della Chiesa, confidando la propria emozione per l’inaspettata nomina cardinalizia. Souraphiel, che è anche presidente della Conferenza Episcopale dell’Etiopia e dell’Eritrea, ha ricordato che l’Etiopia è “un paese cristiano sin dall’antichità”, dove il patrimonio più prezioso è sempre stata la fede, nonostante il cristianesimo (a maggioranza copto-ortodosso ma sono numerosi anche i fedeli alla Chiesa di Roma), anche in questa terra, debba affrontare le sfide della modernizzazione e della secolarizzazione. 
L’Etiopia è l’unico paese – ha sottolineato – che ha conservato la sua fede, nonostante le tante sfide che hanno coinvolto l’area del Corno d’Africa e, dopo la Russia, è il paese con il maggior numero di cristiani al mondo”. 
L’arcieparca di Addis Abeba ha poi annunciato: “Inviteremo il Santo Padre a visitare l’Etiopia, anche perché il nostro paese è la capitale dell’Africa”. 
Ha quindi espresso l’auspicio che il Pontefice possa rivolgersi a tutto il popolo etiopico, riconoscendo quanto l’Africa sia custode di quei “valori tradizionali”, a partire dal “rispetto per la vita e per l’umanità, che possiamo condividere con il resto dell’umanità”. 

Eminenza, che cosa ha provato quando ha appreso di essere stato nominato cardinale? 
Nel primo pomeriggio del 4 gennaio scorso era l’ora della siesta ed io stavo dormendo, quando i miei segretari mi hanno bussato alla porta, annunciandomi: “Eccellenza, il Papa l’ha nominata cardinale!”. 
E io ho detto: “Ah, non ne sapevo nulla…”. 
Allora ho chiesto loro di cercare su Internet, sui social network e sulle agenzie stampa - ZENIT compresa - per verificare se questa notizia fosse vera. 
L’ho saputo in questo modo e per me è stata una vera sorpresa. 
Ringrazio il Santo Padre per averci ricordato che la Chiesa Cattolica, per definizione, è universale. 
La Chiesa è l’unica istituzione presente davvero in tutto il mondo. 
Penso, ad esempio, alle foreste pluviali del Congo, dove alcune tribù sono state cacciate dai loro villaggi, per lo sfruttamento delle risorse naturali: lì i missionari e le suore non abbandonano mai il popolo e sono sempre presenti. 
Il Papa ha voluto quindi dare un riconoscimento alla Chiesa Cattolica in paesi come Tonga, Vietnam, Etiopia, Colombia, alle periferie del mondo. 
Quindi, ringrazio il Signore per concedermi di servire la Chiesa universale. 
Il Papa ci ha raccomandato di dire a noi stessi che, anche quando avremo servito la Chiesa, rimarremo sempre “servi inutili” che hanno fatto ciò che Dio ha voluto. 


Com’è la situazione della libertà religiosa nel vostro paese? 
Grazie a Dio la nostra nuova Costituzione riconosce la libertà religiosa e l’uguale dignità di tutti i culti, compreso quello cattolico, ma siamo reduci da un regime dittatoriale di stampo comunista che ha mandato in carcere molti dissidenti, tra cui sacerdoti e religiosi. 
Anch’io sono stato in prigione a causa della mia appartenenza religiosa e ho sofferto per la mia fede. Ricordo che fui arrestato senza un vero capo d’accusa… 
Ci può raccontare della sua esperienza in carcere? 
In prigione rimasi sette mesi, fu davvero terribile ma grazie a Dio ne sono uscito vivo. 
I tribunali di questo regime comunista, come molte dittature, potevano condannarti anche alla fucilazione, senza alcun processo e senza alcun diritto alla difesa, e ciò avveniva con molta facilità. 


È stato difficile perdonare chi le ha fatto del male? 
Perdonare è sempre difficile ma chiunque si definisca cristiano deve essere il primo a farlo. 
Del resto lo diciamo ogni giorno nel Padre nostro: “rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. 
Anche in famiglia il perdono è essenziale. Il perdono è fondamentale nella nostra convivenza, è una grazia del Signore. 
Per me non è stato facile riconciliarmi con chi mi ha fatto del male, comunque, molti anni dopo la mia prigionia, sono andato a trovare la persona che mi mise in carcere, quando lui, a sua volta, finì in carcere per i crimini commessi durante la dittatura. 
Lo andai a cercare e lui rimase molto commosso per la mia visita, quindi mi chiese perdono: io gli risposi che lo avevo perdonato già molti anni prima. 
È quello che dovremmo fare tutti con i nostri persecutori. 
Noi cristiani dovremmo essere i primi a chiedere perdono e a perdonare: penso a quello che fece San Giovanni Paolo II con l’uomo che attentò alla sua vita. 


L’Italia e l’Etiopia sono legate dal passato coloniale: come sono attualmente i rapporti tra i nostri due paesi? 
Grazie a Dio i rapporti tra Italia ed Etiopia sono molto buoni e l’ambasciatore italiano ad Addis Abeba è davvero molto in gamba. 
In Etiopia lavorano molti italiani e la Chiesa Cattolica, attraverso la Conferenza Episcopale Italiana, ci aiuta molto. 
Il passato è il passato ma il presente lo trovo particolarmente positivo. [Ha collaborato Deborah Castellano Lubov]

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