Un botta e risposta su "Libero" tra il sociologo Massimo Introvigne, che scrive una lettera per contestare un pezzo dello scrittore cattolico Antonio Socci sul silenzio del Papa circa il martirio dei cristiani ad opera degli islamici (Vedi qui), e quest’ultimo che risponde.
Caro Antonio,
Leggo sempre i tuoi articoli con interesse, e non di rado ne traggo alimento spirituale e utili informazioni. So che sei mosso da una passione per la Chiesa, per la verità e per l’umano che condividiamo, e proprio per questo mi permetto di dirti quanto a disagio mi trovi nel leggere alcuni dei tuoi ultimi articoli, specialmente quello del 10 agosto sulla «vergogna» che il Papa dovrebbe provare per quella che in gergo giuridico si chiamerebbe omessa denuncia dei crimini dell’islam.
Consentimi anzitutto di dirti che non condivido una certa deriva generale di ostilità nei confronti di Papa Francesco e di «nostalgia» nei confronti dei Pontefici che lo hanno preceduto. Nell’enciclica «Caritas in veritate» Benedetto XVI ci ha insegnato ad applicare l’ermeneutica della «riforma nella continuità» non solo ai documenti del Vaticano II, ma a tutto il Magistero della Chiesa. La formula è stata talora capita male, ma tu sai come lo so io che invita ad accettare lealmente le riforme – anche quando non ci piacciono – interpretandole però non «contro» il Magistero precedente ma nella continuità dell’unico soggetto Chiesa. La preziosa regola vale anche per le novità di Papa Francesco. Qualche volta sono accusato di essere un «normalista», cioè uno che non vede la novità radicale delle riforme. Ma penso di vederla benissimo, e di accettarla applicando la regola aurea di Benedetto XVI.
Vengo all’islam. Un certo mondo cattolico, e molto di più «ateo devoto» alla Giuliano Ferrara, si fa un’immagine mitica degli atteggiamenti di San Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI. Ora questi pontefici, con grande precisione, hanno condannato il fondamentalismo come perversione della fede e hanno ripetuto l’insegnamento del «Catechismo della Chiesa Cattolica» – da cui anche Papa Francesco ci invita spesso a farci guidare – secondo cui, quando gli innocenti sono attaccati e massacrati la legittima difesa, anche con il ricorso alle armi e da parte della comunità internazionale e non solo dei singoli Stati, è – più che un diritto – un dovere. Benedetto XVI – oltre le interpretazioni caricaturali del discorso di Ratisbona, che farebbero sorridere se non alimentassero precisamente il fondamentalismo islamico – ha messo bene in luce come la tentazione della violenza non sia accidentale ma intrinseca all’islam a causa del rapporto non corretto che propone tra fede e ragione.
Nello stesso tempo, Benedetto XVI ha, con altri, scritto, e San Giovanni Paolo II ha promulgato, il «Catechismo della Chiesa Cattolica» dove si legge al numero 841, a proposito delle «relazioni della Chiesa con i Musulmani», che «il disegno della salvezza abbraccia anche coloro che riconoscono il Creatore, e tra questi in primo luogo i Musulmani, i quali, professando di tenere la fede di Abramo, adorano con noi un Dio unico, misericordioso, che giudicherà gli uomini nel giorno finale».
Tu citi giustamente San Giovanni Paolo II e la sua fermezza. Ma è lo stesso Papa che ad Ankara nel 1979 disse: «Mi domando se non sia urgente, proprio oggi in cui i cristiani e i musulmani sono entrati in un nuovo periodo della storia, riconoscere e sviluppare i vincoli spirituali che ci uniscono». Tu pensi che questi «vincoli spirituali» non esistano?
Sempre ad Ankara, Benedetto XVI affermò nel 2006 che il dialogo con i musulmani «non può essere ridotto ad un extra opzionale: al contrario, esso è una necessità vitale, dalla quale dipende in larga misura il nostro futuro». Per quanto ovviamente divisi su tante cose, spiegava allora Papa Ratzinger, «i cristiani e i musulmani, seguendo le loro rispettive religioni, richiamano l’attenzione sulla verità del carattere sacro e della dignità della persona. È questa la base del nostro reciproco rispetto e stima».
Lo so io, e lo sai tu: «rispetto e stima» non risolvono da soli i problemi di un dialogo difficilissimo. Ma segnano il perimetro di una dottrina del dialogo e di uno stile al di fuori del quale ci si può sentire più o meno bellicosi, ma non si è più cattolici.
Con stima
Massimo Introvigne
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Caro Introvigne,
io mi accontento di essere un semplice cattolico che fa il giornalista, cioè che serve la verità. Tu vedo che ti dai un gran da fare nel metterti in mostra come ultrapapalino, molto zelante nel voler dimostrare quotidianamente, con spericolate operazioni linguistiche, che le cose che dice Francesco sono le stesse che hanno insegnato Benedetto XVI, Giovanni Paolo II e Paolo VI,
Auguri, ma dovrebbe essere Bergoglio – e non tu – a mostrare la continuità del Magistero. Forse ti sei allargato troppo, come nel finale della tua lettera in cui decidi addirittura chi può dirsi cattolico e chi no.
Nel merito ti faccio sommessamente notare che sei totalmente fuori tema, perché nel mio articolo che tu contesti non mi sono minimamente occupato del dialogo fra Chiesa cattolica e Islam.
Casomai del rapporto dei cristiani con la violenza islamista, con i regimi o le forze islamiste che perseguitano e massacrano i cristiani. E’ cosa diversa.
Mi sono occupato di persone crocifisse e lapidate, di donne violentate e vendute come schiave e bambini massacrati. Mi spiace che tu non ne faccia menzione perché è questo l’oggetto dell’articolo.
E la mia critica a Bergoglio riguarda la sua evidente reticenza: nei suoi pochi interventi su questa tragedia in corso evita accuratamente di dire chi sono i responsabili di questo dramma umanitario e quali le cause. Così come evita accuratamente di chiedere – seguendo Giovanni Paolo II – quell’ “ingerenza umanitaria” che potrebbe scongiurare un massacro totale e definitivo.
Eppure ti faccio notare che è esattamente quello che stanno chiedendo i vescovi di quella chiesa (cito per tutti Louis Raphael I Sako, patriarca caldeo di Baghdad e presidente della conferenza episcopale irachena). Ed è anche la soluzione che ha prospettato in una intervista di due giorni fa alla Radio Vaticana mons. Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite.
Perché il Papa non si decide a far sua questa proposta alla comunità internazionale? Più passano le ore più il massacro va avanti. Aspettiamo che siano totalmente distrutte quelle comunità cristiane?
E perché pure tu non spendi una sola parola su questo? Tutto questo a me appare vergognoso.
Antonio Socci
Fonte: Papalepapale
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