Ringraziamo commossi il Ch.mo Professore Enrico Maria Radaelli, puntuale lettore di MiL, per il dono del testo completo della Lectio Magistralis offerta a Loreto lo scorso Venerdì 9 maggio.
La Lectio sarà pubblicata in 2 parti.
A.C.
GENESI METAFISICA,
SVILUPPO TELEOLOGICO, SUO STATO ATTUALE.
( parte prima )
PROEMIO
Ringrazio l’Osservatorio Medico “Ottaviano Paleani”, benemerito
organo del Centro Studi Lauretani, in specie nella persona
del chiarissimo Professor Fiorenzo Mignini (nella foto assieme al Conferenziere N.d.R ) , per l’onore
che mi fa di poter tenere oggi qui questa Lectio Magistralis su
un tema che si vedrà decisivo:
Il sorriso di Dio, il sorriso
dell’uomo; ringrazio il Legato Pontificio del Santuario della
Santa Casa, S. E. l’Arcivescovo Giovanni Tonucci, e la Professoressa
Teresa Schiavoni, Assessore alla Cultura del Comune
di Loreto, per il Loro alto e benevolo patrocinio, e ringrazio
altresì tutti i convenuti per la generosa e immeritata attenzione
che pur mi concederanno.
Gli antichi poeti, in epoche e luoghi pagani ma ancor pieni
di religione, solevano iniziare i loro poemi, come si sa, con
invocazioni alla loro dea e Musa, che li conducesse per mano
tra i tumulti degli eventi, i trambusti delle battaglie, gli squassi
dei destini.
Da duemila anni, i cristiani hanno ricevuto dalla
Rivelazione il nome della vera Athena, della vera Sedes Sapientiæ,
la Mater Dei Maria santissima, cui poter rivolgere con
deferenza la preghiera: “Tu hai visto e goduto, o Madre, nell’umile
casa di Nazaret angelicamente portata in questa sacra
città di Loreto, il sorriso di Dio; lo hai tenuto sulle ginocchia,
gli hai dato il latte, lo hai cullato, sapendo che un giorno Egli
si sarebbe alzato, sarebbe stato innalzato, per essere glorificato
dal Padre di quella Gloria che Egli possedeva « prima che il
mondo fosse ».
Tocca, ora, o Madre, le labbra di un tuo povero
servo che vuole cantare, con le parole più vicine a quelle delicate
bellezze, quello stesso sorriso di Dio, affinché i cuori di
chi ti ama possano aprirsi alle grazie della Verità e della Bellezza
che solo quel sorriso, solo quel sorriso può dare.”
LECTIO
Benedetto XVI, nell’omelia della Messa con i malati tenuta
a Lourdes il 15-11-2008, pronunciò la parola ‘sorriso’ 23 volte,
e ci tenne a sottolineare che la Vergine volle far conoscere
alla giovane Bernadette « innanzitutto il suo sorriso, quasi fosse
la porta d’accesso più appropriata alla rivelazione del suo mistero ».
Qui a Loreto il sorriso come « porta d’accesso alla rivelazione
del suo mistero » è di casa, visti i miracoli da cui la sua terra è
beneficata. ‘Miracolo’ infatti, come si sa, deriva da miraculum,
‘cosa meravigliosa’, da distinguere da ‘prodigio’, perché questo
non oltrepassa la natura, come quando si dice “i prodigi
della scienza e della tecnica”, mentre quello meravigliosamente
la sorpassa, ossia la sorpassa sprigionando splendore. La
risposta a un prodigio è lo stupore, a un miracolo la gioia.
Ma
specialmente: la nostra intelligenza, davanti al prodigio, si arrovella;
davanti al miracolo ringrazia. Tanto più se consideriamo
che chi compie un prodigio, spesso, come satana, ciò
fa proprio per stupirci, e così intimorirci, e da qui renderci
suoi schiavi, mentre chi compie un miracolo – e l’unico che
può compierlo è Dio, se pur attraverso suoi altissimi quanto
umilissimi strumenti – lo fa sempre e solo per allietarci, per
salvarci, per portarci pace e gioia, così da renderci suoi amici.
Sicché vediamo che il miracolo suscita in noi il più beato
sorriso, lo straripamento della nostra felicità.
E che il sorriso
sia un’eminente « porta d’accesso » non solo al Mistero divino,
ma, in generale, alla vita intelligente, lo constatiamo tutti i giorni
con i nostri sorrisi e più ancora con i sorrisi innocenti dei fanciulli:
gli occhi brillano, l’intelligenza che vi è celata palpita viva,
e, messa da parte la sobria serietà con cui un bimbo segue le
nostre parole con attenzione, quell’intelligenza si irradia e strarìpa
nella felicità per averle poi afferrate nella sua piccola ma viva
intelligenza.
Sì: il sorriso è davvero una « porta d’accesso » dove
transita il mistero della vita, e dove vi transita in entrambi i
sensi: aprendosi l’uscio del sorriso, esce dal volto e dagli occhi
in tutta la sua purezza e luce l’intelletto che vi è dietro e ne
entra in certo modo il nostro, almeno per cogliere, di quella
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vivezza che gli è aperta davanti, il profumo degli angeli « che –
come ricorda il Maestro – vedono Dio » (Mt 18,10).
Il sorriso dunque.
Ma come mai il sorriso è così importante?
Parrebbe quasi che esso sia persino l’espressione massima
cui anelare; che sia la morbida, gioiosa manifestazione finale
da raggiungere al sommo della nostra vita.
E in verità è proprio così.
Ma il motivo per cui è così il fine,
che conclude i nostri sforzi riconsegnandoci nella più
perfetta somiglianza da noi raggiungibile alla divina Imago del
Padre che è il suo Figlio diletto, ecco: il motivo profondo è
che nel Figlio diletto questa divina Imago che ci attende è armoniosamente
sorridente, è gioiosamente contemplante, nel
seno del Padre, l’Essere infuocato dalla bontà di sé – e dalla
bellezza, e dalla verità – che lo genera ab æterno.
L’assunto di questa Lectio è in cinque punti: primo, la vita è
intelligente; secondo, essendo intelligente, la vita è di per sé felice;
terzo, essendo intelligente e felice, la vita è di per sé positiva,
bella e sorridente; quarto, essendo tutto ciò in Dio, nell’Essere
che è intensivamente vita, lo è poi, se pur analogicamente
e solo per grazia, anche nell’uomo; quinto, la sofferenza,
che contrasterebbe leopardianamente tutto ciò, si vedrà
avere invece un ruolo primario e indispensabile.
Conclusione: l’uomo, se tiene in pugno l’analogia dovuta,
guadagnerà, con la sofferenza…
Ma questa è una sorpresa
che potremo capire e afferrare solo alla fine.
DIMOSTRAZIONE.
Con l’aiuto di santi Dottori come Agostino, Bonaventura e
Tommaso, ci spingeremo nel seno stesso della ss. Trinità, dove
potremo conoscere la vita qual è nella speciale intensività
dell’Essere divino. Infatti, come nota don Nicola Bux nel suo
La riforma di Benedetto XVI.
La liturgia tra innovazione e tradizione,
« per capire [sulla terra] qualsiasi cosa, è necessario partecipare
della natura di Dio » (p. 16).
Se potessimo in qualche modo rappresentarci antropomorficamente
l’atteggiamento della Seconda Persona della ss.
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Trinità riguardo alla Prima – cosa che post Revelationem possiamo
senz’altro e largamente permetterci contemplando il volto
glorioso di Cristo –, potremmo constatare che questo suo
volto, nell’infinitamente amorosa contemplazione in Se stesso
della perfezione paterna, deve irradiare l’espressione più
propria della beatitudine, quella che, in tutto simile all’espressione
della Vergine di Lourdes, noi riconosciamo come un
vivo e aperto sorriso (la « porta d’accesso »).
Ora, se dal volto di Cristo ci spostassimo in qualche modo
allo status imperituro delle tre Persone, ovvero dall’aspetto
per così dire esistenziale a quello propriamente ontologico,
immergendoci nei tre gloriosi e danteschi « giri di tre colori e
d’una contenenza » della Terza Cantica (Par 33,116-7), ci troveremmo
di fronte a qualcosa di analogo, ma fissato in quella
che con perdonabile neologismo potremmo chiamare, pur
nella sua ineffabilità, una “sorridente serietà”, che non è un
ossimoro, ma lo status di eternata “sorridenza” di Dio, giacché
l’Essere essente in cui il Figlio, l’Intelletto, è ab æterno generato,
è una Persona e non un astratto e inespressivo “essere”:
il Padre è una Mente-Persona che genera il proprio Pensiero-
Persona perché il Padre è, come ci insegnano i nostri grandi
Dottori con efficace figura, una Mente vivente e spiritualmente
pulsante, generatrice cioè del proprio Pensiero per via
del Moto-Persona del suo Spirito di vitale amore.
L’intelletto, dunque, l’intelligenza, c’è, è evidente.
Ma perché
dico che c’è anche la “sorridenza”?
Il fatto è che una mente che genera un pensiero è già di
per sé qualcosa di lieto, perché essa compie quel qualcosa per
il quale è precisamente preposta, sicché la Mente del Padre è
da se stessa in immane letizia di vita in quanto, simpliciter, fa
quel che deve fare una mente: genera.
Questo è lo stato d’essere
che noi scopriremmo proprissimo della ss. Trinità, se, per così
dire, potessimo coglierla in flagrante nel suo eternato Actus
Essendi: di essere allietata di letizia da Se stessa medesima nel
compiere il proprio eterno, generativo, vitale e – dice san
Tommaso – intensivo Atto d’essere: l’Atto della Mente divina
che pensa Se stessa. In ciò consiste la Trinità, o, per meglio
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dire, il Mistero trinitario (v. S. Th., I, 39, 6).
Atto ‘intensivo’, e
non solo ‘intenso’, perché l’Atto d’essere, nota padre Battista
Mondin, primo, ha il primato su ogni altro atto; secondo, è di
una ricchezza strepitosa; terzo, è di un’intimità irraggiungibile.
Dunque il sorriso, la letizia, anzi, come dicevo, “la sorridenza”,
è lo “stato d’essere” ontologico, intensivamente positivo,
peculiare a Dio, all’Essere divino, puro intelletto.
IL FIGLIO UNIGENITO DI DIO, CROCEVIA DI TUTTO.
IL FIGLIO UNIGENITO DI DIO, CROCEVIA DI TUTTO.
E dunque, se le cose stanno così, se lo status trinitario è di per
sé tale positivo, lieto e largo modo d’essere, la cosa ci riguarda
moltissimo, giacché, come ci ricorda la Scrittura, noi siamo
chiamati a somigliare alla ss. Trinità, a conformarci intimamente
a tale suo status: « Come abbiamo portato l’immagine dell’uomo
di terra, così porteremo anche l’immagine dell’Uomo celeste »
(I Cor, 15,49), porteremo cioè l’immagine di Cristo, “l’uomo
Celeste”, a sua volta immagine del Padre, v. Gv, 14,9b: « Chi ha
visto me ha visto il Padre », o Col 1,15 e II Cor 4,4: « Il Figlio è
l’immagine del Padre », o ancora Eb 1,3: « Egli [il Cristo] è riflesso
della gloria di Dio e figura della sua sostanza », dove ‘riflesso’
e ‘figura’ (o ‘impronta’, come traduce il Ramorino) dipendono
ancora da ‘immagine’.
Dunque Cristo permette a chi gli si conforma di essere
immagine del Padre come lo è Lui, infatti « noi saremo simili a
lui, perché lo vedremo così come Egli è » (I Gv, 3,2); « E noi tutti,
a viso scoperto, riflettendo come in uno Specchio la gloria del Signore
[ossia riflettendo in quello Specchio che è Cristo la gloria del
Padre], veniamo trasformati in quella stessa Immagine [nell’Immagine
che il Figlio è del Padre] » (II Cor, 3,18).
Cristo è in qualche modo per noi, sul piano spirituale e nel tragitto della salvezza, quello che sul materiale e nell’opera pedagogica del regno animale sono i ‘neuroni specchio’ di Giacomo Rizzolatti.
Cristo è in qualche modo per noi, sul piano spirituale e nel tragitto della salvezza, quello che sul materiale e nell’opera pedagogica del regno animale sono i ‘neuroni specchio’ di Giacomo Rizzolatti.
Si tratta di vedere allora da dove germina
esattamente questa peculiarità di Cristo, di essere per noi il
Tramite e l’Insegnamento tra Dio e noi, ossia tra il Suo letificante
Intelletto e i nostri, affinché i nostri intelletti non si abbrutiscano
nei pensieri di morte, per definizione atei.
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4.
( continua QUI )
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