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martedì 13 maggio 2014

" Il sorriso di Dio, il sorriso dell’uomo " Lectio Magistralis del Prof. Enrico Maria Radaelli

Ringraziamo commossi il Ch.mo Professore Enrico Maria Radaelli, puntuale lettore di MiL, per  il  dono del testo completo della Lectio Magistralis offerta a Loreto lo scorso Venerdì 9 maggio. 
La Lectio sarà pubblicata in 2 parti. 
A.C. 

GENESI METAFISICA, 
SVILUPPO TELEOLOGICO, SUO STATO ATTUALE.  

( parte prima ) 

PROEMIO
Ringrazio l’Osservatorio Medico “Ottaviano Paleani”, benemerito organo del Centro Studi Lauretani, in specie nella persona del chiarissimo Professor Fiorenzo Mignini (nella foto assieme al Conferenziere N.d.R ) , per l’onore che mi fa di poter tenere oggi qui questa Lectio Magistralis su un tema che si vedrà decisivo: 
Il sorriso di Dio, il sorriso dell’uomo; ringrazio il Legato Pontificio del Santuario della Santa Casa, S. E. l’Arcivescovo Giovanni Tonucci, e la Professoressa Teresa Schiavoni, Assessore alla Cultura del Comune di Loreto, per il Loro alto e benevolo patrocinio, e ringrazio altresì tutti i convenuti per la generosa e immeritata attenzione che pur mi concederanno. 

Gli antichi poeti, in epoche e luoghi pagani ma ancor pieni di religione, solevano iniziare i loro poemi, come si sa, con invocazioni alla loro dea e Musa, che li conducesse per mano tra i tumulti degli eventi, i trambusti delle battaglie, gli squassi dei destini. 
Da duemila anni, i cristiani hanno ricevuto dalla Rivelazione il nome della vera Athena, della vera Sedes Sapientiæ, la Mater Dei Maria santissima, cui poter rivolgere con deferenza la preghiera: “Tu hai visto e goduto, o Madre, nell’umile casa di Nazaret angelicamente portata in questa sacra città di Loreto, il sorriso di Dio; lo hai tenuto sulle ginocchia, gli hai dato il latte, lo hai cullato, sapendo che un giorno Egli si sarebbe alzato, sarebbe stato innalzato, per essere glorificato dal Padre di quella Gloria che Egli possedeva « prima che il mondo fosse ». 
Tocca, ora, o Madre, le labbra di un tuo povero servo che vuole cantare, con le parole più vicine a quelle delicate bellezze, quello stesso sorriso di Dio, affinché i cuori di chi ti ama possano aprirsi alle grazie della Verità e della Bellezza che solo quel sorriso, solo quel sorriso può dare.” 

 LECTIO
Benedetto XVI, nell’omelia della Messa con i malati tenuta a Lourdes il 15-11-2008, pronunciò la parola ‘sorriso’ 23 volte, e ci tenne a sottolineare che la Vergine volle far conoscere alla giovane Bernadette « innanzitutto il suo sorriso, quasi fosse la porta d’accesso più appropriata alla rivelazione del suo mistero ». 
Qui a Loreto il sorriso come « porta d’accesso alla rivelazione del suo mistero » è di casa, visti i miracoli da cui la sua terra è beneficata. ‘Miracolo’ infatti, come si sa, deriva da miraculum, ‘cosa meravigliosa’, da distinguere da ‘prodigio’, perché questo non oltrepassa la natura, come quando si dice “i prodigi della scienza e della tecnica”, mentre quello meravigliosamente la sorpassa, ossia la sorpassa sprigionando splendore. La risposta a un prodigio è lo stupore, a un miracolo la gioia. 
Ma specialmente: la nostra intelligenza, davanti al prodigio, si arrovella; davanti al miracolo ringrazia. Tanto più se consideriamo che chi compie un prodigio, spesso, come satana, ciò fa proprio per stupirci, e così intimorirci, e da qui renderci suoi schiavi, mentre chi compie un miracolo – e l’unico che può compierlo è Dio, se pur attraverso suoi altissimi quanto umilissimi strumenti – lo fa sempre e solo per allietarci, per salvarci, per portarci pace e gioia, così da renderci suoi amici. 
Sicché vediamo che il miracolo suscita in noi il più beato sorriso, lo straripamento della nostra felicità. 
E che il sorriso sia un’eminente « porta d’accesso » non solo al Mistero divino, ma, in generale, alla vita intelligente, lo constatiamo tutti i giorni con i nostri sorrisi e più ancora con i sorrisi innocenti dei fanciulli: gli occhi brillano, l’intelligenza che vi è celata palpita viva, e, messa da parte la sobria serietà con cui un bimbo segue le nostre parole con attenzione, quell’intelligenza si irradia e strarìpa nella felicità per averle poi afferrate nella sua piccola ma viva intelligenza. 
Sì: il sorriso è davvero una « porta d’accesso » dove transita il mistero della vita, e dove vi transita in entrambi i sensi: aprendosi l’uscio del sorriso, esce dal volto e dagli occhi in tutta la sua purezza e luce l’intelletto che vi è dietro e ne entra in certo modo il nostro, almeno per cogliere, di quella 3 vivezza che gli è aperta davanti, il profumo degli angeli « che – come ricorda il Maestro – vedono Dio » (Mt 18,10). 
Il sorriso dunque. 
Ma come mai il sorriso è così importante? 
Parrebbe quasi che esso sia persino l’espressione massima cui anelare; che sia la morbida, gioiosa manifestazione finale da raggiungere al sommo della nostra vita. 
E in verità è proprio così. 
Ma il motivo per cui è così il fine, che conclude i nostri sforzi riconsegnandoci nella più perfetta somiglianza da noi raggiungibile alla divina Imago del Padre che è il suo Figlio diletto, ecco: il motivo profondo è che nel Figlio diletto questa divina Imago che ci attende è armoniosamente sorridente, è gioiosamente contemplante, nel seno del Padre, l’Essere infuocato dalla bontà di sé – e dalla bellezza, e dalla verità – che lo genera ab æterno. 
L’assunto di questa Lectio è in cinque punti: primo, la vita è intelligente; secondo, essendo intelligente, la vita è di per sé felice; terzo, essendo intelligente e felice, la vita è di per sé positiva, bella e sorridente; quarto, essendo tutto ciò in Dio, nell’Essere che è intensivamente vita, lo è poi, se pur analogicamente e solo per grazia, anche nell’uomo; quinto, la sofferenza, che contrasterebbe leopardianamente tutto ciò, si vedrà avere invece un ruolo primario e indispensabile. 
Conclusione: l’uomo, se tiene in pugno l’analogia dovuta, guadagnerà, con la sofferenza… 
Ma questa è una sorpresa che potremo capire e afferrare solo alla fine. 

 DIMOSTRAZIONE. 
Con l’aiuto di santi Dottori come Agostino, Bonaventura e Tommaso, ci spingeremo nel seno stesso della ss. Trinità, dove potremo conoscere la vita qual è nella speciale intensività dell’Essere divino. Infatti, come nota don Nicola Bux nel suo La riforma di Benedetto XVI. 
La liturgia tra innovazione e tradizione, « per capire [sulla terra] qualsiasi cosa, è necessario partecipare della natura di Dio » (p. 16). 
Se potessimo in qualche modo rappresentarci antropomorficamente l’atteggiamento della Seconda Persona della ss. 4 Trinità riguardo alla Prima – cosa che post Revelationem possiamo senz’altro e largamente permetterci contemplando il volto glorioso di Cristo –, potremmo constatare che questo suo volto, nell’infinitamente amorosa contemplazione in Se stesso della perfezione paterna, deve irradiare l’espressione più propria della beatitudine, quella che, in tutto simile all’espressione della Vergine di Lourdes, noi riconosciamo come un vivo e aperto sorriso (la « porta d’accesso »). 
Ora, se dal volto di Cristo ci spostassimo in qualche modo allo status imperituro delle tre Persone, ovvero dall’aspetto per così dire esistenziale a quello propriamente ontologico, immergendoci nei tre gloriosi e danteschi « giri di tre colori e d’una contenenza » della Terza Cantica (Par 33,116-7), ci troveremmo di fronte a qualcosa di analogo, ma fissato in quella che con perdonabile neologismo potremmo chiamare, pur nella sua ineffabilità, una “sorridente serietà”, che non è un ossimoro, ma lo status di eternata “sorridenza” di Dio, giacché l’Essere essente in cui il Figlio, l’Intelletto, è ab æterno generato, è una Persona e non un astratto e inespressivo “essere”: il Padre è una Mente-Persona che genera il proprio Pensiero- Persona perché il Padre è, come ci insegnano i nostri grandi Dottori con efficace figura, una Mente vivente e spiritualmente pulsante, generatrice cioè del proprio Pensiero per via del Moto-Persona del suo Spirito di vitale amore. 
L’intelletto, dunque, l’intelligenza, c’è, è evidente. 
Ma perché dico che c’è anche la “sorridenza”? 
Il fatto è che una mente che genera un pensiero è già di per sé qualcosa di lieto, perché essa compie quel qualcosa per il quale è precisamente preposta, sicché la Mente del Padre è da se stessa in immane letizia di vita in quanto, simpliciter, fa quel che deve fare una mente: genera. 
Questo è lo stato d’essere che noi scopriremmo proprissimo della ss. Trinità, se, per così dire, potessimo coglierla in flagrante nel suo eternato Actus Essendi: di essere allietata di letizia da Se stessa medesima nel compiere il proprio eterno, generativo, vitale e – dice san Tommaso – intensivo Atto d’essere: l’Atto della Mente divina che pensa Se stessa. In ciò consiste la Trinità, o, per meglio 5 dire, il Mistero trinitario (v. S. Th., I, 39, 6). 
Atto ‘intensivo’, e non solo ‘intenso’, perché l’Atto d’essere, nota padre Battista Mondin, primo, ha il primato su ogni altro atto; secondo, è di una ricchezza strepitosa; terzo, è di un’intimità irraggiungibile. 
Dunque il sorriso, la letizia, anzi, come dicevo, “la sorridenza”, è lo “stato d’essere” ontologico, intensivamente positivo, peculiare a Dio, all’Essere divino, puro intelletto. 


IL FIGLIO UNIGENITO DI DIO, CROCEVIA DI TUTTO. 
E dunque, se le cose stanno così, se lo status trinitario è di per sé tale positivo, lieto e largo modo d’essere, la cosa ci riguarda moltissimo, giacché, come ci ricorda la Scrittura, noi siamo chiamati a somigliare alla ss. Trinità, a conformarci intimamente a tale suo status: « Come abbiamo portato l’immagine dell’uomo di terra, così porteremo anche l’immagine dell’Uomo celeste » (I Cor, 15,49), porteremo cioè l’immagine di Cristo, “l’uomo Celeste”, a sua volta immagine del Padre, v. Gv, 14,9b: « Chi ha visto me ha visto il Padre », o Col 1,15 e II Cor 4,4: « Il Figlio è l’immagine del Padre », o ancora Eb 1,3: « Egli [il Cristo] è riflesso della gloria di Dio e figura della sua sostanza », dove ‘riflesso’ e ‘figura’ (o ‘impronta’, come traduce il Ramorino) dipendono ancora da ‘immagine’. 
Dunque Cristo permette a chi gli si conforma di essere immagine del Padre come lo è Lui, infatti « noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come Egli è » (I Gv, 3,2); « E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno Specchio la gloria del Signore [ossia riflettendo in quello Specchio che è Cristo la gloria del Padre], veniamo trasformati in quella stessa Immagine [nell’Immagine che il Figlio è del Padre] » (II Cor, 3,18). 
Cristo è in qualche modo per noi, sul piano spirituale e nel tragitto della salvezza, quello che sul materiale e nell’opera pedagogica del regno animale sono i ‘neuroni specchio’ di Giacomo Rizzolatti. 
Si tratta di vedere allora da dove germina esattamente questa peculiarità di Cristo, di essere per noi il Tramite e l’Insegnamento tra Dio e noi, ossia tra il Suo letificante Intelletto e i nostri, affinché i nostri intelletti non si abbrutiscano nei pensieri di morte, per definizione atei. 6 4.

( continua QUI )

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