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NOSTRE INFORMAZIONI di mons. Eleuterio Favella: il Chirografo «Ruinarum ingravescentes»

Per tramite del suo segretario diacono Ambrogio Fidato, abbiamo ricevuto la seguente informazione ex Aedibus da S.E.R. Mons. Eleuterio Fave...

venerdì 21 marzo 2014

L’inutile persecuzione : “ A voi il tempo. A noi l’eternità”

« Vedete quella formica che sta scalando la cupola di San Pietro per installarsi al vertice, pacifica coinquilina del Papa? 
La vedete? 
E' il signor Palmiro Togliatti, compagno paziente e perfidioso ». 
Così incominciava un articolo, apparso esattamente vent'anni fa su questo giornale ( Il Tempo N.d.R), all'indomani di un discorso che il capo dei comunisti italiani aveva pronunciato alla Costituente, con la sicurezza di chi crede di « veder lungo », indifferente alle proteste, alle interruzioni, allo scandalo che le sue parole andavano suscitando nell'aula. 
Formica in marcia sul cupolone! 
Faccio grazia delle ironie che seguivano codesta immagine: esse rivelerebbero nello scrittore di allora (che è poi il medesimo estensore di questa nota), assai più inesperienza che spirito, come vedremo. 
Ma che aveva detto, dunque, l'oratore? 
Sul traliccio di una logica apparentemente ineccepibile, sciorinando un seguito di sillogismi incatenati l'uno all'altro, in modo che il predicato della prima proposizione fosse il soggetto della seconda, e così via; egli aveva proiettato sullo schermo politico dell'assemblea la possibilità di un incontro fra due mondi, di cui il minimo che si poteva dire, era che l'uno escludesse l'altro. 
La tesi così macchinosamente elaborata, aveva una conclusione messianica: « Tra cinquant'anni, due grandi idee, il cristianesimo e il marxismo, si daranno la mano ». 
( Carlo Belli : Altare deserto – Breve storia di un grande sfacelo – Roma 1983- Giovanni Volpe Editore, pag.27 - 28. ). 
Dal quotidiano L’Unità  un Articolo di Claudio Sardo che, per la verità, non si discosta molto da altre analoghe valutazioni espresse nei confronti del cosiddetto mondo tradizionale da alcune riviste o da giornalisti “cattolici”, alcuni dei quali, regnante Benedetto XVI, apparentemente sembravano fossero  nostri amici. 
Nel giro di qualche mese  chi è cambiato noi o loro ?
Noi, che con assoluta e pura idealità, confidando solo nella misericordia che Dio ci offre soltanto attraverso la Chiesa e Suoi ministri, cerchiamo  di salvare le nostre misere e cence anime  non siamo cambiati ... 
Stiamone però certi : la storia insegna che la scure cadrà con assoluta parità sia sulle nostre povere teste che su quelle dei giornalisti “cattolici” che dall’11 febbraio 2013 , in un macabro crescendo, stanno attaccando con una specie di odio fraticida i fedeli tradizionali
Nel frattempo non potendo imputare ai fedeli tradizionali accuse di corruzione, perché essi non hanno parte attiva nel comando della Chiesa, vengono additati alla pubblica opinione come “gli untori” , i biechi reazionari che si oppongono alla “modernizzazione” della Chiesa e della società. 
La ghigliottina mediatica è già pronta. 
E’ il momento del martirio e della gloria. 
“ A voi il tempo. A noi l’eternità ! ” 
A.C. 


Le critiche reazionarie a Papa Francesco 

Tanto è stato scritto sul primo anno di pontificato di Francesco. 
E non certo perché la Chiesa, assediata dal mondo secolarizzato, abbia rimontato un solo centimetro del temporalismo perduto. 
Al contrario la percezione diffusa, tra i cattolici e non, è che la rivoluzione del Papa argentino muova da una ricerca di autenticità evangelica e parli alla crisi del nostro tempo con una profondità e un’intensità che sono oggi irraggiungibili dal «potere». 
Piuttosto hanno a che fare con il «contropotere», con un possibile riscatto dell’uomo dall’«economia che uccide» (espressione dell’Evangelii gaudium) o dall’egoismo che riduce la persona ad individuo. 
Non tutti i commenti, però, sono stati positivi. 
Critiche si sono levate anche dall’interno della Chiesa. 
Ma la stessa manifestazione, così precoce e agguerrita, di un’opposizione tradizionalista rafforza l’idea che ci troviamo in un tornante storico. 
La contestazione reazionaria di matrice cattolica ha preso di mira in particolare l’impianto del Sinodo sulla famiglia. 
L’apertura, pur condizionata, del cardinale Kasper alla riammissione dei divorziati risposati ai sacramenti della penitenza e della comunione ha scatenato la più feroce ed emblematica delle polemiche. 
La purezza della dottrina è stata contrapposta all’impurità del perdono e della misericordia. La fede è stata separata dalla carità. 
La missione della Chiesa è stata recintata nella legge canonica e nella teologia, come se ad esse competesse il giudizio ultimo, il principio di verità. 
Il Sinodo sulla famiglia sarà un passaggio importante nel rapporto tra Chiesa e mondo. 
Non è un Concilio, non c’è un dogma in discussione. 
Ma per i tradizionalisti includere il vangelo della famiglia in un cammino di conversione che attraversa il nostro tempo e le sofferenze concrete delle persone è un rischio insopportabile. Vedono comunque il dogma incrinato. 
Non hanno fiducia nella presenza di Dio nella storia. E senza dogma non riconoscono la verità. 
Non sono a confronto soltanto due idee di Chiesa. 
Dentro questa disputa ci sono diverse idee dell’uomo e della sua vocazione. «La dottrina è soggetta anche a uno sviluppo», ha detto Kasper suscitando scandalo. 
Prima del Vaticano II i divorziati erano scomunicati. Ora sono ammessi alla comunione spirituale. 
E una maggiore accoglienza domani potrebbe riavvicinare alla Chiesa tanti giovani, figli di coppie che si sono ricostruiti una famiglia, dopo il dolore e a volte senza colpa. Cosa fa muovere la dottrina? 
Non la resa allo spirito del tempo, che per i tradizionalisti è propaggine del demonio. L’epistola di Giacomo dice del demonio che anche lui crede e teme Dio, ma la differenza è che non sa amare. Il comandamento evangelico dell’amore, quello che riassume l’intera legge giudaica, può far muovere la dottrina. 
È concepibile una comunità senza perdono, un’amicizia senza gratuità, una fede senza carità? 
Il dialogo con il mondo contemporaneo, così problematico per la Chiesa in Occidente, passa da qui. Se c’è una rivoluzione di Papa Francesco, questa consiste anzitutto in una lettura del vangelo senza mediazioni (senza glosse, come invocava il santo di Assisi). 
La storicità di questo papato sta nel richiamare i cristiani – divenuti ormai minoranza – alla loro vera origine. 
Essere sale e lievito. 
Non giudice al posto di Dio. 
L’accusa di relativismo o di modernismo, rivolta al Papa, si ammanta di austerità ma è particolarmente banale. Semmai c’è un relativismo cristiano con cui fare i conti. 
Un relativismo che ammette il limite umano. 
Non c’è legge che possa comprimere la libertà e la misericordia di Dio. 
La Chiesa e il Papa, per chi crede, sono posseduti dalla verità, ma non la possiedono per intero. 
La conoscenza della verità cresce nella relazione. 
Sono le sofferenze delle donne e degli uomini, le loro speranze, le loro cadute, il loro desiderio di giustizia a consentire ai credenti di progredire. In questo senso, è vero che l’azione pastorale di Francesco, alla fine, toccherà la teologia e la dottrina. 
Ma la conversione – compresa la riforma della Chiesa – sarà valida se coinvolgerà il popolo, se non riguarderà solo i chierici, se sarà capace di portare l’annuncio al mondo. 
Il kerygma cristiano (la notizia della Resurrezione) viene prima della morale cristiana. 
E di ogni clericalismo. 
La teologia del popolo di Bergoglio non è una teologia politica. 
Una teologia politica, o forse solo un’ideologia, è quella dei conservatori che cercano nella dottrina cristiana un collante per la società capitalistica in crisi o una giustificazione estrema per il liberismo che ha aperto la strada al dominio del denaro. 
Ma tutto ciò sfugge definitivamente con Papa Francesco, che chiede ai cristiani di condividere le povertà. 
Certe critiche reazionarie al documento Kasper hanno più a che fare con la disperazione dei teocon che con la teologia morale. I tradizionalisti provano a contrapporre Ratzinger a Bergoglio. Ma non sanno spiegare le dimissioni di Benedetto XVI e la sua fiducia nella Chiesa. T
utto ciò non lascia indifferente neppure il discorso laico, civile. 
Un cristianesimo che rivitalizza la radice evangelica è una risorsa di liberazione in questa società sempre più omologata. 
Non la sola risorsa. 
Ma una risorsa tanto più importante se affidata, nell’azione pubblica, alla piena responsabilità dei laici cristiani. 
Un’altra novità di Papa Francesco sta proprio nella rottura di molte mediazioni del passato.
Nessuno può pretendere di parlare a nome della fede: chi vuole la può servire. 

Fonte : Unità

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