IL Natale e la Croce
È noto a tutti il testo di uno dei canti natalizi più popolari d'Italia e più caro agli italiani: “Tu scendi dalle stelle”. È noto a tutti, così noto che rischiamo di non riflettere più sulle parole che cantiamo e su quanti riferimenti alla sofferenza di Dio e alla Croce in esso siano contenuti.
Qualcuno dirà già: ma questi parlano di sofferenza anche a Natale e non parlano mai della dolcezza di Dio!
Ma la dolcezza di Dio erompe dalla Croce come da una sorgente e la Croce è già contenuta nel presepio.
Sappiamo che l'autore di “Tu scendi dalle stelle” è niente di meno che Sant'Alfonso Maria de' Liguori. Il grande santo napoletano del '700, grande teologo e patrono dei teologi morali. Il santo che più di tutti ha combattuto il Rigorismo morale di stampo giansenistico; il santo che ha insistito tanto nel ricordare a tutti la misericordia di Dio e nel raccomandare la fiducia nel perdono di Dio. Il santo della dolcezza e della tenerezza di Dio. Ebbene, il santo della Misericordia del Signore non dimenticava mai la Croce, nemmeno a Natale, perché era cattolico!
Ma rileggiamo attentamente il testo del canto...
Tu scendi dalle stelle, o Re del cielo,
e vieni in una grotta al freddo e al gelo.
O Bambino mio divino,
io ti vedo qui a tremar;
o Dio beato!
Ah, quanto ti costò l'avermi amato!
A te, che sei del mondo il Creatore,
mancano panni e fuoco, o mio Signore.
Caro eletto pargoletto,
quanto questa povertà
più m'innamora,
giacché ti fece amor povero ancora.
Tu lasci il bel gioir del divin seno,
per giunger a penar su questo fieno.
Dolce amore del mio core,
dove amore ti trasportò?
O Gesù mio, per ché tanto patir?
per amor mio!
Ma se fu tuo voler il tuo patire,
perché vuoi pianger poi, perché vagire?
mio Gesù, t'intendo sì!
Ah, mio Signore!
Tu piangi non per duol, ma per amore.
Tu piangi per vederti da me ingrato
dopo sì grande amor, sì poco amato!
O diletto - del mio petto,
Se già un tempo fu così, or te sol bramo
Caro non pianger più, ch'io t'amo e t'amo.
Tu dormi, Ninno mio, ma intanto il core
non dorme, no ma veglia a tutte l'ore
Deh, mio bello e puro Agnello
a che pensi? dimmi tu. O amore immenso,
un dì morir per te, rispondi, io penso.
Dunque a morire per me, tu pensi, o Dio
ed altro, fuor di te, amar poss'io?
O Maria. speranza mia,
se poc'amo il tuo Gesù, non ti sdegnare
amalo tu per me, s'io non so amare!
Vedete quanti riferimenti alla Croce? Ne è intessuto tutto il testo: freddo e gelo... tremar... povertà... penar... perché tanto patir... piangi... poco amato... un dì morir per te...
Tutto questo dovrebbe farci riflettere: non si può parlare del Natale senza la Croce. Nostro Signore Gesù Cristo è venuto nel mondo, Dio si è fatto uomo, per poter poi salire al Calvario e dare la sua vita per noi, per la nostra salvezza.
Che tenerezza avrebbe il Natale se non ricordasse questo? Quale dolcezza avrebbe per le nostre anime se non portasse dentro il ricordo che l'amore di Dio per ciascuno di noi è diventato totale dono di sé sulla Croce? “Dilexit me”... “Mi ha amato e ha dato se stesso per me”. L'amore, la tenerezza di Dio per me, povero peccatore, ha un volto, il Santo Volto di Cristo Crocifisso. E quando guardo il Santo Bambino del presepio, lo riconosco già l'uomo della Passione, l'uomo del Calvario.
Ma oggi nella Chiesa si dimentica troppo spesso la Croce, e si pensa di parlare della tenerezza di Dio quasi fosse un sentimento.
La tenerezza di Dio per me è un'azione, è un'opera: l'opera della mia salvezza operata da Cristo al Calvario. E il suo sacrificio redentore inizia, è già presente nella grotta di Betlemme.
“Deh, mio bello e puro Agnello a che pensi? dimmi tu. O amore immenso, un dì morir per te, rispondi, io penso”, ci fa cantare Sant'Alfonso.
Tutti i mistici, tutti i santi, tutte le anime cristiane hanno sempre vissuto così il Natale.
Un grande sacerdote rosminiano, vero mistico, don Clemente Rebora, così scriveva sul Natale:
Oh Comunion vera e sol beata,
se con te, Cristo, son crocifisso
quando nell'Ostia Santa m'inabisso!
Intollerabil vivere del mondo
a bene stare senza l'Ognibene!
Penitenza scansar, che penitenza!
Se ancor quaggiù mi vuoi, un giorno e un giorno,
con la tua Passion che vince il male,
Gesù Signore, dammi il tuo Natale
di fuoco interno nell'umano gelo,
tutta una pena in celestiale pace
che salva la gente e innamorata
del Cielo se nel cuore pur le parla.
O Croce o Croce o Croce tutta intera
nel tuo abbraccio a trionfar di Circe,
sola sei buona e bella, e come vera!
Abbraccio della Madre, ove già vince
nel suo Figlio lo strazio che l'avvince.
Ed ecco ancora il Natale e la Croce.
Oggi nella Chiesa non si nega la Croce, questo no, ma la si dimentica. La si considera un punto, un momento, mentre è tutto! È tutto! “Stat Crux dum volvitur orbis”, la Croce resta ferma mentre il mondo vi gira attorno, è il motto di San Bruno e dei Certosini da lui fondati, ma è in verità il motto del Cristiano.
Dimenticare la centralità della Croce è grave, anzi gravissimo.
Quanti natali senza Croce, in una Chiesa senza Croce, con una Messa Nuova senza Croce, in un cristianesimo senza Croce: ma questa è una nuova religione.
Guardando i nostri presepi, nelle nostre case e nelle nostre chiese, raccogliamoci in silenzio e pensiamo alla Croce. Che il Bambino Gesù doni a noi quella pace che nasce di fronte alla grotta, ai piedi del Calvario. Quella pace di chi si sente immensamente amato da Dio, che nasce nel tempo e muore per lui. La doni a noi e a tutta la sua Chiesa. Buon Natale.
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