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giovedì 24 ottobre 2013

Un saggio sul Concilio Vaticano II di Cristina Siccardi


«L’inverno della Chiesa»

di Piero Vassallo  (Riscossa Cristiana)


Da alcune descrizioni si ha l’impressione che dopo il Vaticano II tutto sia cambiato e tutto quanto lo precede non sia più valido o lo sia solo alla luce del Vaticano II. … Ci domandiamo se la Chiesa di oggi sia davvero ancora la Chiesa di ieri, oppure se sotto di essa non sia stata fatta scivolare un’altra Chiesa, senza nemmeno chiederglielo”   (Card. Joseph Ratzinger)
                                                                                                           
L'inverno_della_ChiesaIl 2 febbraio del 1634, a Quito (Ecuador) la Madonna apparve a Madre Mariana de Jesus per annunciare che "alla fine del XIX secolo e per gran parte del  XX, si diffonderanno varie eresie, e sotto il loro potere, la luce preziosa della fede si spegnerà nelle anime".
L’allarmante contenuto della rivelazione a Madre Mariana è rammentato da Cristina Siccardi, autrice di un avvincente, documentato e sempre equilibrato saggio sulle cause nascoste della crisi cattolica in atto.
Eloquente titolo della pregevole opera della nota studiosa torinese è "L’inverno della Chiesa dopo il Vaticano II". Il volume è distribuito in questi giorni nelle librerie dalla milanese casa editrice Sugarco.
Il libro di Siccardi, si segnala e si raccomanda per l’eccezionale volume e varietà delle fonti, per la citazione di testimonianze inedite sulla crisi post-conciliare, dichiarazioni tradizionaliste raccolte nei testi di autori estranei alla comunità degli infaticabili difensori  della sacra tradizione, infine per il rigore  dell’analisi e per la straordinaria limpidezza dello stile.
Inconsueta è ad esempio la citazione delle opinioni di Andrea Riccardi, presidente della Comunità di Sant’Egidio e protagonista delle infelici giornate di Todi, un autore del tutto estraneo al vasto e tacitato ambiente degli irriducibili difensori della dottrina ortodossa e tuttavia incapace di nascondere le cause del devastante malessere.
Quasi contestando l’opinione del maestro bolognese Alberto Melloni, Riccardi ammette che “Gli anni di Paolo VI sono un tempo di crisi, ma non solamente. La crisi è al centro del dibattito tra i Vescovi. Tra i cattolici italiani non c’è unanimità sulla causa della crisi: per un settore è l’innovazione conciliare, per un altro l’inevitabile fine della cristianità, infine per altri è la limitata applicazione del Concilio. Dopo il Concilio [Vaticano II] il cattolicesimo diviene estremamente al plurale, non solo per il dissenso, ma anche per la crescente soggettivazione dell’esperienza religiosa. … Le stesse diocesi italiane hanno atteggiamenti diversi nei confronti del Concilio: la posizione di Lercaro a Bologna è differente di quella di Siri a Genova”.
Analogo il giudizio, di Jean Guitton, un pensatore che non ha militato nel movimento  tradizionalista: “era prevedibile anzi inevitabile che ci dovesse essere una crisi all’interno della Chiesa dopo Il Concilio”.
Il gesuita Henri-Marie de Lubac (1896-1991), negli anni Trenta banditore di una discussa teologia della storia, dopo il Vaticano II, sosteneva che,, “il pericolo non è più solamente quello di un’apostasia da immanentismo, è, come ha giustamente diagnosticato Jacques Maritain, quello di un’apostasia immanente".
Perfino Paolo VI, promotore e sostenitore delle riforme attuate dal Vaticano II, manifestò il suo disagio di fronte agli orientamenti antiromani del partito progressista in continua agitazione nell’aula del Vaticano II.
Vero è che, per sconfessare l’opinione della maggioranza conciliare, favorevole al governo collegiale della Cristianità, Papa Montini fu costretto a intervenire in modo inusuale: “in venti secoli di Cristianesimo è la prima volta che un Papa, mentre la Chiesa è riunita in Concilio, compie un atto solenne di magistero ordinario prendendo una decisione autonoma su un aspetto che era oggetto di un documento conciliare”.
Accertato che i dubbi e le apprensioni sui risultati del Vaticano II sono stati condivisi anche da esponenti di scuole teologiche non influenzate dalle tesi dei contestatori lefevriani, Siccardi può sviluppare la sua tesi utilizzando le testimonianze autorevoli dei cattolici fedeli alla sacra tradizione, che denunciarono tempestivamente gli errori operanti sotto traccia, ovvero l’esistenza di un’eresia nascosta tra il dire e il non dire e/o nelle nebbie emanate dall’uso alluvionale del tranquillante quodammodo nei più spericolati documenti del Vaticano II.
Secondo il condivisibile giudizio dell’autrice, il contributo decisivo all’identificazione delle cause dell’inverno calato sulla Chiesa cattolica fu conferito dal padre domenicano Roger-Thomas Calmel (1914-1975), autore di un fondamentale saggio, “Teologia della storia“, pubblicato tempestivamente nel 1965, anno della chiusura del Vaticano II.
Padre Calmel ruppe il silenzio attonito e impaurito dei cardinali e dei vescovi, i quali (uniche eccezioni Ottaviani e Ruffini) udirono il suono sgradevole della disarmonia squillante nell’aula del Vaticano II, ma tacquero, per pusillanimità, per malintesa devozione al papato o per nascosta e alta ambizione.
Padre Calmel ebbe invece il coraggio di leggere l’errore imperversante nelle tesi di Karl Rahner,  discepolo del fumoso apostata Martin Heidegger e conclamato protagonista del Vaticano II: “Respiriamo un’aria di hegelianesimo. Numerosi preti in articoli eruditi o in modeste conferenze sembrano volerci irretire in un diffuso hegelianesimo. Anche se non affermano chiaramente, come Hegel, che Dio è immerso nella storia e si compie con la storia, cionondimeno parlano come se lo pensassero Pur non osando dire grossolanamente che la Chiesa è in stato di dipendenza intrinseca nei confronti delle grandi correnti storiche, lasciano intendere che essa vi si dovrebbe allineare, modificandosi a loro piacimento. Conferiscono alla storia un ruolo messianico e mescolano il regno di Dio con la storia così concepita”.
Indirizzata dalla teologia di padre Calmel, Siccardi risale alla vera causa del disorientamento clericale: la trionfante ideologia liberale e, nascosto in essa, la teologia libertina propalata dagli autori neognostici, teologia che ha elevato le colonne della cultura onusiano ed europeista: omicidio dei nascituri e sodomia.
Il vento della suggestione impetuosa, che soffiava nei pensieri dei padri conciliari, infatti, aveva origine dal liberalismo di nuovo conio radicale-libertino, trapiantato in America dal francofortese Herbert Marcuse.
In seguito la puntuale diagnosi di padre Calmel sarà ripresa da monsignor Marcel Lefebvre, il quale, nel saggio “Il colpo maestro di satana”, sosterrà che il vento del Vaticano II soffiava a favore dei cardinali liberali.
Le indicazioni contenute nell’opera di Cristina Siccardi consentono di risalire finalmente alla vera causa della sopravvivenza della teologia progressista dopo e nonostante il tramonto del comunismo sovietico: l’origine occidentale, americana e non sovietica, dell’errore che ha fatto scendere il gelo di un pensiero invernale nella Chiesa cattolica.
L’identificazione dell’origine liberale del disordine nella Chiesa e nel mondo, non esclude l’esistenza del cattocomunismo ma ne segnala la struttura debole, patetica e gregaria. E ne rammenta la collocazione nelle parrocchie marginali, dove risuona l’urlo del disordine vissuto da personaggi in precario equilibrio tra la pittoresca trasgressione e la coniugazione del trapassato remoto. Un’attività “religiosa” in cui si cimentano stalinisti affranti, furenti zitelle di parrocchia, gramsciani a fumetti, finti ciechi con pensioni democristiane, erinni ecumeniche/escatologiche, nomadi del sesso, spretati con mogli civili al seguito, teologi sincretisti, monache danzanti e figuranti, preti di varia e dichiarata incredulità.
Ora la rifondazione della teologia della storia è l’insostituibile condizione della rinascenza cattolica. Occorre pertanto, evitare l’estenuante e inutile contemplazione/confutazione dell’agonia cattocomunista ed avviare il rigetto della cultura liberal/libertina, madre della disgraziata vicenda contemporanea. Operazione impossibile senza la restaurazione del pensiero cattolico mediante la necessaria terapia tomistica.
Infatti nella insuperata ma negletta filosofia di San Tommaso d’Aquino, i cattolici possono imparare la confutazione degli ateismi mediante le indeclinabili prove dell’esistenza di un perfettissimo Dio.

Siccardi conclude auspicando un cattolicesimo capace di contrastare l’errore, che intossica la società liberale/libertina: “I cattolici dovrebbero essere più pronti, più attenti e più dinamici nel combattere gli errori e le aberrazioni del mondo laicista, radicale e dissacrante; dovrebbero essere più onesti e più coerenti con se stessi, con i loro fratelli in Cristo, dei quali sono in qualche modo responsabili e, soprattutto, di fronte all’Onnipotente: c’è un mondo che profana e calpestai diritti di Dio … si fa tanto rumore per reclamare i propri diritti, reali o presunti, e poi si ignorano quelli più essenziali, perché appartengono alla vita eterna".

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