di Don Alfredo Morselli
Il nostro amato presidente della
CEI, Sua Em.za Rev.ma Cardinale Angelo Bagnasco, si è trovato tra le mani
quella che potrebbe essere definita la “pesca del secolo”, ovvero la
celebrazione delle esequie di Don Andrea Gallo: sacerdote questi
discutibilissimo – con abbondante fundamento
in re – nelle sue idee e nella sua prassi, ma pur sempre – sacramentalmente
– figlio dello stesso Arcivescovo di
Genova.
Il complicato inghippo, in cui si è
trovato il Presule, rassomiglia molto alla trappola preparata dai farisei a
Gesù, quando gli chiesero se era lecito pagare il tributo a Cesare, oppure se avrebbero
dovuto lapidare o meno l’adultera: qualunque fosse stata la risposta di Gesù,
pensavano i perfidi, avrebbero potuto accusarlo.
In una situazione analoga si è
trovato l’Arcivescovo di Genova, al quale spettava decidere se celebrare lui
stesso le esequie di don Gallo, al costo poi di non poter evitare l’incontro-scontro
con tutta la fauna di personaggi che si sarebbero presentati al funerale.
Se non ci fosse andato, apriti
cielo! Al povero don Gallo sono negate le
esequie del suo Vescovo! E, attenzione – anche questo sarebbe stato uno
scandalo. E se ci fosse andato, come è successo, anche qui botte da orbi.
Tra Scilla e Cariddi, il Presule ha
deciso di andare, con grande spirito di pietà: il suo gesto mi ha ricordato
quando il re Davide ha pianto sul figlio morto Assalonne. Questi aveva usato
violenza in pubblico con le mogli del
padre e lo avrebbe voluto uccidere. Assalonne, pubblicissimo peccatore, ha avuto le lacrime del padre; così don
Gallo ha avuto le preghiere del suo Vescovo.
Presa la decisione di andarci, Mons.
Bagnasco era atteso dalle forche caudine dei pro-Gallo da una parte, e il fucile puntato dei cosiddetti tradizionalisti (tra i quali spererei di
esserci anch’io, pur senza puntare il fucile in questa occasione) dall’altra.
Evitare la presenza di quel pubblico
sinistrorso sarebbe stato impossibile; ci sarebbe voluta una vera e propria
azione di forza. Negare il microfono a certi personaggi era praticamente
irrealizzabile, pena un’ulteriore degenerazione di ciò che era già degenerato.
Non è stata umiliata la Chiesa da
quegli schiamazzi; o meglio, quell’umiliazione assomiglia molto alle umiliazioni
ricevute da Gesù durante la Passione: umiliazioni che poi si sono rivelate una
vittoria e non una sconfitta.
Ma so bene che lo scandalo degli scandali è stata la S.
Comunione data al sig. Wladimiro Guadagno, alias Vladimir Luxuria: rispondo che
nessuno poteva essere sicuro che Luxuria non si fosse pentito (ancorché ciò fosse improbabile) e non avesse le condizioni richieste per accostarsi alla Comunione.
E se il Sig. Guadagno non ha
ricevuto il Sacramento pentito, ha sbagliato lui, non il Card. Bagnasco. Un
assioma della morale tradizionale, per risolvere i dubia facti, suona così: in
dubio pro reo.
Si potrebbe obiettare che Luxuria è
un pubblico peccatore: ma non esiste alcun obbligo canonico, per chi
ha commesso peccati in pubblico (salvo casi particolari ben definiti), di
ritrattare pubblicamente lo scandalo prima di accostarsi alla S. Comunione.
Personalmente sono convinto che è
molto più grave ammettere alla Comunione i cosiddetti cattolici adulti, ovvero i negatori del diritto naturale e della
sua non negoziabilità, piuttosto che il povero Luxuria: intendo quei sedicenti
cattolici che militano in partiti nel cui programma è esplicitamente menzionato
l’appoggio all’aborto, al riconoscimento delle unioni tra omosessuali e altre
nefandezze simili.
Questo accade tutti i giorni, e
nessuno dice niente: e questo è uno scandalo ben peggiore della S. Comunione a
una povera persona, più vittima di chi lo usa che protagonista del male.
In ogni caso, dopo aver scritto
queste righe, dichiaro che la mia intenzione non è assolutamente quella di
emettere un verdetto di innocenza o colpevolezza nei confronti di un Principe della Chiesa: lascio a un Altro
il compito.
Ho voluto solo mettere qualcosa sull'altro piatto della bilancia, perché sono infastidito da chi spara sulla croce rossa; ed è fin troppo facile, dalla propria scrivania, sparare sull’operato
del Cardinale.